giovedì 26 aprile 2012

Pro multis

La lettera del papa ai vescovi tedeschi sulla traduzione del "pro multis" nella formula di consacrazione ha portato alla ribalta un dibattito su un problema che finora tanti avevano cercato di tenere sottobanco.
Perchè in verità già dall'indomani della sua elezione papale, Benedetto XVI aveva fatto diramare una direttiva dalla Congregazione competente ai Presidenti delle conferenze episcopali nazionali con cui si invitava, nel provvedere alla nuove traduzioni della terza edizione tipica del messale romano (resa ufficiale il 20 aprile del 2000) di uniformarsi al testo originale latino che dice "pro multis".
Si è cercato di silenziare questa direttiva con la scusa che un ritorno, come in Italia, dalla traduzione "per tutti" a quella "per molti" sarebbe stata incompreso da parte della gente comune.
A parte il fatto che già questo atteggiamento paternalista, fra l'altro di comodo, di un episcopato che si nasconde dietro la gente comune per approvare o bocciare le indicazioni liturgiche della Santa Sede è qualcosa che genera quantomeno perplessità: qui per non cambiare la formula si dice che la gente non avrebbe capito, poi ad esempio non ci si fa scrupolo di proporre di cambiare il Padre Nostro e stavolta si dice che la gente capirà? Ma cos'è? Una comprensione a comando, dall'alto?
Ma quello che fa specie è quello che si sussurra in giro: che anche queste indicazioni del papa siano state sottoposte a referendum da parte delle conferenze episcopali: come dire che il papa può disporre quello che vuole, tanto poi sono le maggioranze modaiole dei vescovi che dicono l'ultima parola!
Ma una volta al papa non si doveva ubbidire? E se l'esempio dei vescovi fosse seguito da preti e fedeli di una chiesa locale, in cui le direttive espiscopali fossero sottoposte ogni volta a referendum, dove andremmo a finire? Come ci rimarrebbero i nostri vescovi?
Se i primi a disobbedire al papa sono i vescovi, cosa debbono dire e pensare e fare i fedeli? E un vescovo disobbediente al papa può ancora chiedere obbedienza ai suoi preti e ai suoi fedeli?
Siamo ancora cattolici? o di fatto siamo a tutti i livelli ad una forma di cristianesimo "a la page"?
Non voglio entrare nemmeno sul tema della opportunità o meno di tradurre fedelmente il "pro multis".
Il papa ha già dato motivazioni più che sufficienti.
Ma che non erano necessarie. Bastava il richiamo alla fedeltà al testo evangelico e alla Tradizione della chiesa.
Una tradizione immutata per secoli non solo nel rito romano ma anche in tutti gli altri riti.
Anche per una attenzione ecumenica: in qualsiasi altro rito, pur nelle varianti delle formule di istituzione, c'è sempre l'espressione "pro multis": e questo dovrà pur significare qualcosa?
Oppure le fisime di qualche liturgista o piccolo esegeta ormai si possono sostituire al grande sensus Ecclesiae che è, non dimentichiamolo, anche sensus fidei?
Ci riempiamo la bocca di slogan quali fedeltà e ritorno alle origini, ai padri ecc. e poi però si cerca di imporre l'ultima moda del momento o di sostituire la nostra sensibilità personale (spesso nemmeno correttamente formata) al "sentire" e "consentire cum ecclesia".
E questo tocca specialmente il problema delle traduzioni: non solo del pro multis, ma di tutta la formula dell'istituzione ad esempio in italiano: perchè non è rimasto il futuro del "tradetur/sarà offerto" che rendeva più intelligibile il momento dell'istituzione e il momento dell'effettiva consegna sulla croce del Cristo di se stesso? Ma tocca tutta la Messa: ha ragione il papa quando scrive che spesso le traduzioni hanno solo una lontana parvenza dell'originale latino. Di fatto non c'è più il messale romano ma tanti messali quante sono le lingue in cui è stato tradotto. Non voglio entrare qui nella polemica sull'uso della lingua volgare nella messa ma sul suo esito: in pratica non si può più dire che ad esempio una domenica, celebrando la stessa messa, pur in varie lingue eleviamo al Signore le stesse preghiere, e allora dove è finita l'unità del rito romano?
A volte mi chiedo se per rimanere fedeli alla Chiesa, al papa e al rito romano, non dobbiamo smettere di celebrare coi messali in volgare e ritornare all'uso del solo originale latino, giacchè non ci si può fidare nemmeno delle traduzioni delle conferenze episcopali!
Che fare? anzitutto pregare, sperando che alla fine la perseveranza del papa la spunti sulla caparbietà dei vescovi.

martedì 17 aprile 2012

Tutti i motivi per cui ringraziamo papa Benedetto e gli auguriamo lunga vita

di Stefano Fontana (da L'occidentale)

17 Aprile 2012
Il 16 marzo scorso Joseph Ratzinger ha compiuto 85 anni. Il prossimo 19 marzo Benedetto XVI concluderà il settimo anno di pontificato. C’è un affetto particolare che lega i fedeli alla persona del Papa, c’è una fede particolare che li collega a Pietro.
Il pontificato di Benedetto XVI rimarrà nella storia della Chiesa come uno dei più importanti.
La sua grandezza è inversamente proporzionale alla sua umiltà.
La linea da lui indicata è così nitida, argomentata, forte e rispettosa da sconfiggere anzitempo tutti i suoi detrattori.
Con Benedetto XVI la Chiesa sta uscendo dalla confusione del post concilio.
Ci vorrà ancora molto tempo perché il percorso indicato filtri nel tessuto ecclesiale, non ci facciamo troppe illusioni e probabilmente anche lui non se ne fa, ma indietro non si torna: dove miravano Paolo VI e Giovanni Paolo II, là ci ha condotto Benedetto XVI. Potranno essere precisati alcuni dettagli non trascurabili, ma il grosso è stato fatto.
Molte cose si dimenticheranno anche di lui, come si dimenticano di tutti perché il tempo non fa preferenze. Non si dimenticheranno però il discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 sull’interpretazione del Vaticano II, il discorso di Ratisbona del 2006 sul rapporto tra fede e ragione, il ripristino della messa antica con il motu proprio Summorum Pontificum del 2007 e la Lettera a tutti i vescovi del mondo dopo aver ritirato la scomunica ai quattro vescovi ordinati da Mons. Lefebvre del 10 marzo 2009. Sono i quattro pilastri del non ritorno.
Dopo che nel 1966 Johann Baptist Metz, il creatore della teologia politica che fece deviare il postconcilio fuori della tradizione, aveva dichiarato che il mondo è ormai completamente mondano e che in esso Dio non si incontra più, Benedetto XVI ha impostato tutto il suo pontificato chiedendo ai cristiani di aprire uno spazio a Dio nel mondo. Se tanti cristiani nel postconcilio sono stati più preoccupati di salvaguardare il senso dello Stato che riconoscere che nulla nel creato è estraneo al dominio del Creatore, Benedetto XVI ha ricordato questa signoria di Dio e non ha fatto passi indietro nel rivendicare un ruolo pubblico per la religione cristiana. Si è rifiutato di concedere che la fede sia ridotta ad hobby personale e la rivelazione cristiana a una delle tante opinioni di uno degli dèi del pantheon postmoderno: le religioni non sono tutte uguali, l’ecumenismo non è indifferentismo religioso, il dialogo non sostituisce l’annuncio. Contro le teorie che destrutturano la verità ritenendola una forma di ideologia, Benedetto XVI ha invece incentrato il suo insegnamento proprio sulla verità del Logos, insegnando che il Bambinello cha giace nella mangiatoia di Betlemme è anche la Sapienza eterna del Padre che ha fatto tutte le cose. Ci ha liberato dalle tentazioni del nominalismo, ha ridato consapevolezza alla ragione perché ha inteso la fede come conoscenza anziché come esperienza, ha chiesto all’ermeneutica di risollevarsi nella metafisica, ci ha ridato fiducia nell’ordine dell’essere, che non è riducibile ad una nostra costruzione.
Nel suo insegnamento di questi sette anni, le cose, ad una ad una, sono state rimesse al posto giusto. I riduzionismi, le ideologie, i vaneggiamenti postconciliari sono stati corretti e il quadro si è fatto chiaro. Il Concilio è stato collocato nella tradizione, come una novità nella continuità, all’ottimismo spesso ingenuo ha sostituito una grave e realistica riflessione sull’apostasia di tante folle alla fede dei padri, folle che si pensava di riconquistare inseguendo il mondo anziché parlando di Cristo. Ha ridato fiducia al fedele che si sentiva smarrito per i tanti “pontefici” nati nella contestazione e nel falso pluralismo, ha riparlato di autorità come elemento che favorisce una anamnesi interiore e dell’obbedienza come vera fonte di libertà, libertà non come la vuole il mondo, ci ha dato gli strumenti per combattere lo scientismo moderno dato che l’intelligenza umana non può essere frutto del caso o del determinismo materialistico, ha riposto la liturgia al centro della vita cristiana come Opus dei e non come momento di socializzazione.
I suoi interventi sono stati sempre precisi e coerenti, poco ha concesso alle tribune, si è come ritratto dai prosceni per rivendicare allo spirito i suoi spazi, alla fede la sua importanza, alla contemplazione e al silenzio la loro espressività. Ha detto che il Papa non governa solo con i decreti ma anche con la preghiera, ha detto che la realtà non si conosce solo con le scienze ma anche con la fede, ha detto che il mistero è più reale di quanto si vede e si tocca. Ha ridato alla fede cattolica la sua profondità spirituale incentrandola sull’invisibile che non muta senza con ciò – anzi, proprio per ciò – aprirle uno spazio nel mondo visibile che cambia.
Quanto dovremmo ringraziare questo Papa! Ha una viva consapevolezza della sporcizia presente anche nella Chiesa ed ha guidato la barca tra mille marosi, ma è riuscito a dare nuovo slancio missionario all’identità cristiana che aveva perduto il suo rapporto con la verità. Ha ricordato che il futuro della Chiesa dipende dalla santità e non dai piani pastorali. Ha confutato le dottrine esegetiche che vanno per la maggiore ed anche se in molte librerie cattoliche si preferiscono i libri di Hans Küng ai suoi, alla fine la linea da seguire sarà la sua. Anche se in molte università cattoliche si recalcitra davanti al suo insegnamento, alla fine la sua verità avrà la meglio. Anche se si pongono ostacoli a che i suoi insegnamenti vengano conosciuti e penetrino nella base della Chiesa, sicché spesso dottrina e pastorale nelle periferie ecclesiali sono ancora ferme agli anni Settanta, alla fine tutta la Chiesa lo seguirà. Egli sta davanti ed anticipa. Il popolo di Dio segue e arranca, tergiversa e in qualche caso indietreggia, nella titubanza anche di tanti uomini di Curia, ma la traccia è segnata.
  

sabato 14 aprile 2012

UTINAM UTINAM! FIAT! FIAT!

Volesse il Cielo!
sarebbe il più bel regalo per il suo compleanno!
Regalo fatto al Papa e perciò fatto a tutta la Chiesa!
Il crescente numero di anglicani che sta passando alla fede cattolica è sempre più in aumento e questo dimostra che l'indirizzo ecumenico scelto da Benedetto XVI sta dando i suoi frutti.
E a questi nostri fratelli diamo di cuore il nostro caldo benvenuto.
Ma se quanto sussurrano le voci delle ultime ore si dimostrerà vero, di un imminente accordo tra la FSSPX e la Santa Sede la nostra gioia sarà piena!
Dai, cari fratelli, un ultimo sforzo! da entrambe le parti: in tutti i riti della Settimana Santa abbiamo pregato per voi, adesso attendiamo con trepidante attesa.
Lo vuole la Chiesa, lo vuole il Signore: essere uno in lui affinchè il mondo creda!
Rinunciamo tutti a qualcosa, quello che importa è la salvezza delle anime!!!
Interceda per tutti la Madre dell'unità, Vergine della Pentecoste, dell'unica Chiesa.

mercoledì 11 aprile 2012

AD MULTOS ANNOS SANTITA'

Il Papa si avvicina al compimento dell'ottantacinquesimo anno di età.
E ci ha fatto dei regali stupendi.
La predica della messa crismale dimostra come Benedetto XVI tiene saldamente il timone della Chiesa, nonstante siano in tanti a non volerlo o a tentare di far credere che non sia più in grado di farlo.
Con garbo e dolcezza di padre, ma con la stessa fermezza che un vero padre deve avere quando occorre ha detto no all'appello alla disobbedienza che partito da un prete dell'Austria sta trovando seguaci in Nord Europa, nel silenzio dei vescovi interessati.
Stranamente i vescovi si lamentano del centralismo romano e vorrebbero avocare a sè tutti i poteri possibili ed immaginabili, relegando il Papa in un ruolo ideale di rappresentanza senza più vera voce in capitolo: poi però sono sempre gli stessi vescovi a tenere paurosamente chiusa la bocca quando occorre proteggere il gregge dei fedeli dall'attacco dei lupi: in questo caso allora meglio che a fare il duro sia Papa, così se qualcuno reagisce, ci si può subito tirarsene fuori!
E' per questo che davanti all'ignavia di tanti vescovi la mia prima reazione è stata quella di esclamare - mi si scusi l'apparente volgarità del termine - "abbiamo un papa con le palle!!!"
Un papa coraggioso, che non teme di attirarsi addosso gli strali di tanti cattolici, di fatto già passati tra le file di un protestantesimo a la carte.
Aveva già parlato in modo forte in occasione del concistoro, nelle due lectio ai seminaristi e ai parroci di Roma: adesso il suo no chiaro al sacerdozio alle donne e il rifiuto di stare a mercanteggiare sulla fede e le scelte pastorali ha fatto apparire l'atteggiamento di tanti per quello che è: una rottura della communio ecclesiale nella disobbedienza di fatto al magistero ecclesiale, seppur ammantato di amore per la chiesa.
Ma lo stesso amore per la chiesa non potrà mai sostituire l'amore per la verità.
Per questo ha indicato a tutti l'unica via possibile del vero rinnovamento ecclesiale: la via della conversione e della santità personale.
I veri riformatori della Chiesa sono i santi!
E giacchè l'esperienza della fede ecclesiale si vive nella liturgia, specie l'eucaristia, forma essa stessa della Chiesa, il Papa ha lanciato altri due forti segnali a vivere la Messa realmente come la fons ed il culmen della vita cristiana. E perchè lo sia sempre più bisogna recuperare la dimensione contemplativa, l'adorazione; bisogna ritornare ad inginocchiarsi davanti all'eucaristia, perchè la comunione diventi realmente l'espressione dell'incontro con Qualcuno e non la semplice condivisione di un pasto sacro.
E poi la celebrazione dell'eucaristia stessa non è il risultato di un bricolage in cui ognuno si ordina il rito come meglio gli aggrada: il no del papa è contro ogni creatività selvaggia, ma anche contro l'archeologismo liturgico giudeizzante dei neocatecumenali che finalmente ha sottoposto ad un giudizio critico da parte dei dicasteri competenti.
Bene ha fatto il papa in questi suoi interventi.
Era ora.
E il papa deve sapere che siamo con lui.
Il suo coraggio ci da coraggio.
E magari di fargli il più bel regalo da lui atteso per il suo compleanno: la celebrazione eucaristica ad orientem o almeno ad crucem e la comunione sulla lingua, in piedi o in ginocchio, ma mai più sulla mano?
Solo gesti formali? Non dimentichiamo che la forma contiene sempre la sostanza!
E dunque, grazie, santità!
E auguri: Dio lo conservi ancora a lungo fra noi, ne abbiamo bisogno!
AD MULTOS ANNOS PAPA BENEDETTO!

giovedì 5 aprile 2012

Ai fratelli presbiteri

Mons. Moraglia, nel saluto ai suoi preti nel suo ingresso a Venezia li ha invitati ad un esame di coscienza, dicendo tra l'altro: "amiamo più le nostre reti e le nostre barche che non il pescare, la fatica e l’impegno della pesca (cfr Lc 5, 9). Fuori di metafora, si rischia d’amare più le opere, i titoli accademici, le nostre pubblicazioni, le strutture che abbiamo costituito e ci circondano e servono alla nostra attività pastorale che non il fine per cui quelle cose sono state costituite, ossia le anime. Il rischio è essere organizzatori, impresari, docenti, intellettuali, psicologi, assistenti sociali e non pastori".
In questo giovedì santo un augurio ai miei confratelli presbiteri perchè il Signore ci rende sempre degni di essere pescatori di uomini.

IO ACCUSO…

Tra epidemia e calura estiva è passato sotto silenzio un importante responso della Congregazione della Dottrina della fede e approvato in pr...