martedì 30 aprile 2013

L'incantesimo di papa Francesco. Tutto gli viene perdonato, anche quando dice cose che dette da Papa Benedetto furono investite dalle critiche.



La sua popolarità è in buona misura legata all'arte con cui parla. Ma le prime proteste cominciano ad affiorare

di Sandro Magister



ROMA, 29 aprile 2013 – Ha fatto rumore, sui media, il cenno critico che papa Francesco ha riservato allo IOR, Istituto per le Opere di Religione, la discussa "banca" vaticana, nell'omelia della sua messa mattutina nella Domus Sanctae Marthae, mercoledì 24 aprile:

"Quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ONG. E la Chiesa non è una ONG. È una storia d’amore... Ma ci sono quelli dello IOR… Scusatemi, eh!… Tutto è necessario, gli uffici sono necessari… eh, va bè! Ma sono necessari fino ad un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ONG. E questa non è la strada".

Queste sue omelie mattutine papa Jorge Mario Bergoglio le pronuncia interamente a braccio. E la frase riportata sopra è la trascrizione letterale fornita poche ore dopo dalla Radio Vaticana.

Ma lo stesso giorno, nel riferire in altro modo la stessa omelia, "L'Osservatore Romano" ha tralasciato l'inciso: "Ma ci sono quelli dello IOR… Scusatemi, eh!".

Questa disparità tra la radio e il giornale della Santa Sede è un indizio dell'incertezza che ancora regna in Vaticano su come trattare mediaticamente le omelie feriali del papa, quelle che egli pronuncia nella messa delle 7, nella cappella della residenza in cui abita.

A queste messe accede un pubblico selezionato, ogni mattina diverso. E il 24 aprile c'erano tra i presenti un buon numero di dipendenti dello IOR.

Queste omelie del papa vengono interamente registrate. Ma non seguono l'iter dei suoi discorsi ufficiali, per le parti improvvisate a braccio.

Non vengono cioè trascritte dalla registrazione audio, poi messe in bella copia nella lingua e nei concetti, poi sottoposte al papa e infine rese pubbliche nel testo approvato.

Il testo integrale delle omelie feriali di papa Bergoglio resta segreto. Ne vengono solo forniti due parziali resoconti, dalla Radio Vaticana e da "L'Osservatore Romano", redatti indipendentemente tra loro e quindi con una maggiore o minore ampiezza delle citazioni testuali.

Non si sa se questa prassi – mirata sia a tutelare la libertà di parola del papa, sia a difenderla dai rischi dell'improvvisazione – verrà mantenuta o modificata.

Sta di fatto che quanto si sa di queste omelie semipubbliche è ormai una parte importante dell'oratoria tipica di papa Francesco.

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È un'oratoria stringata, semplice, colloquiale, imperniata su parole od immagini di immediata presa comunicativa.

Ad esempio:

- l'immagine "Dio spray", usata da papa Francesco il 18 aprile per mettere in guardia dall'idea di un Dio impersonale "che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia";

- oppure l'immagine "Chiesa babysitter", usata il 17 aprile per stigmatizzare una Chiesa che solo "cura il bambino per farlo addormentare", invece che agire come una madre con i suoi figli;

- oppure la formula "cristiani satelliti", usata il 20 aprile per bollare quei cristiani che si fanno dettare la condotta dal "senso comune" e dalla "prudenza mondana", invece che da Gesù.

Stefania Falasca, amica da tempo di Bergoglio – che le telefonò la sera stessa della sua elezione a papa –, gli ha chiesto dopo una messa mattutina alla Domus Sanctae Marthae: "Padre, ma come le vengono queste espressioni?".

"Un semplice sorriso è stata la sua risposta". A giudizio di Falasca, l'uso di tali formule da parte del papa "in termini letterari si chiama 'pastiche', che è appunto l’accostamento di parole di diverso livello o di diverso registro con effetti espressionistici. Lo stile 'pastiche' è oggi un tratto tipico della comunicazione del web e del linguaggio postmoderno. Si tratta dunque di associazioni linguistiche inedite nella storia del magistero petrino".

In un editoriale del 23 aprile sul quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire", Falasca ha avvicinato l'oratoria di papa Francesco al "sermo humilis" teorizzato da sant'Agostino.

Papa Bergoglio introduce questo stile anche nelle omelie e nei discorsi ufficiali. Ad esempio, nell'omelia della messa crismale del Giovedì Santo, nella basilica di San Pietro, ha molto colpito il suo esortare i pastori della Chiesa, vescovi e preti, a prendere "l'odore delle pecore".

Un'altro tratto tipico della sua predicazione è l'interloquire con la folla, sollecitandola a rispondere in coro. L'ha fatto per la prima volta e ripetutamente al "Regina Coeli" di domenica 21 aprile, ad esempio quando disse: "Grazie tante per il saluto, ma anche salutate Gesù. Gridate 'Gesù' forte!". E il grido "Gesù" salì effettivamente da piazza San Pietro. 

*

La popolarità di papa Francesco è dovuta in buona misura a questo suo stile di predicazione e alla facile, diffusa fortuna che hanno i concetti su cui egli più insiste – la misericordia, il perdono, i poveri, le "periferie" – visti riflessi nei suoi gesti e nella sua stessa persona.

È una popolarità che fa velo alle altre cose più scomode che egli pure non manca di dire – ad esempio con i suoi frequenti richiami al diavolo – e che dette da altri scatenerebbero critiche, mentre a lui si perdonano.

In effetti, i media hanno sinora coperto di indulgenza e di silenzio non solo i riferimenti dell'attuale papa al diavolo ma anche tutta una serie di altri suoi pronunciamenti su punti di dottrina tanto capitali quanto controversi.

Il 12 aprile, ad esempio, parlando alla pontificia commissione biblica, papa Francesco ha ribadito che "l'interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa". E quindi "ciò comporta l'insufficienza di ogni interpretazione soggettiva o semplicemente limitata ad un’analisi incapace di accogliere in sé quel senso globale che nel corso dei secoli ha costituito la tradizione dell'intero popolo di Dio".

Di questa frustata del papa contro le forme di esegesi prevalenti anche in campo cattolico praticamente nessuno si è accorto, nel silenzio generale dei media.

Il 19 aprile, nell'omelia mattutina, si è scagliato contro i "grandi ideologi" che vogliono interpretare Gesù in una chiave puramente umana. Li ha definiti "intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla".

Anche in questo caso, silenzio.

Il 22 aprile, in un'altra omelia mattutina, ha detto con forza che Gesù è "l'unica porta" per entrare nel Regno di Dio e "tutti gli altri sentieri sono ingannevoli, non sono veri, sono falsi".

Con ciò ha quindi ribadito quella verità irrinunciabile della fede cattolica che riconosce in Gesù Cristo l'unico salvatore di tutti. Ma quando nell'agosto del 2000 Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger pubblicarono proprio su questo la dichiarazione "Dominus Iesus" furono contestati aspramente da dentro e fuori la Chiesa. Mentre ora che papa Francesco ha detto la stessa cosa, tutti zitti.

Il 23 aprile, festa di san Giorgio, nell'omelia della messa con i cardinali nella Cappella Paolina ha detto che "l’identità cristiana è un’appartenenza alla Chiesa, perché trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile".

E anche questa volta, silenzio. Eppure la tesi secondo cui "extra Ecclesiam nulla salus", da lui riaffermata, è quasi sempre foriera di polemica…

*

Questa benevolenza dei media nei confronti di papa Francesco è uno dei tratti che caratterizzano questo inizio di pontificato.

La soavità con cui egli sa dire le verità anche più scomode agevola questa benevolenza. Ma è facile prevedere che prima o poi essa si raffredderà e lascerà il passo a un riaffiorare delle critiche. 

Una prima avvisaglia si è avuta dopo che papa Bergoglio, il 15 aprile, ha confermato la linea severa della congregazione per la dottrina della fede nel trattare il caso delle suore degli Stati Uniti riunite nella Leadership Conference of Women Religious.

Le proteste che si sono subito levate da queste suore e dalle correnti "liberal" del cattolicesimo non solo americano sono suonate come l'inizio della rottura di un incantesimo.

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venerdì 19 aprile 2013

Non lo hanno eletto, ma parla e pensa da papa: al card. Scola tanto di cappello!!!


Se fosse una malattia, forse si chiamerebbe depressione. Colpisce l'Europa e le Chiese europee e si manifesta con «una grande stanchezza, una difficoltà a reggere il compito», un «disagio» sentito «acutamente» e che lui stesso, dopo Natale, aveva avvertito come una «percezione dolorosa».

Il cardinale Angelo Scola fa questa analisi come una confessione con un tratto persino intimo, perché nell'immaginario collettivo ha personificato e personifica la Chiesa occidentale, tanto che molti (anche nella Conferenza episcopale italiana) erano convinti che sarebbe stato lui ad affacciarsi in piazza San Pietro dopo il conclave. Una Chiesa europea che si sente inadeguata al ruolo, eppure lo ha e continua ad averlo, anche se lo Spirito Santo ha fatto uscire dalla Cappella Sistina Papa Francesco. Perché «la giovinezza» delle Chiese africane e latinoamericane, dice l'arcivescovo di Milano, non basta.

Scola non si unisce al coro di gridolini acritici per tutto ciò che riguarda Papa Francesco, a partire dall'Argentina e dal Sud America, il continente da cui proviene il nuovo vescovo di Roma. «Io non sono di quelli che pensano che la grande giovinezza delle Chiese latinoamericane o delle Chiese africane basti. È necessaria ma non basta» le parole del cardinale alla presentazione del suo libro «Non dimentichiamoci di Dio», martedì scorso nell'affollatissimo Auditorium milanese di largo Mahler. C'è qualcosa che si chiama «complessità» di cui le Chiese quasi alla fine del mondo, le chiese del Sud America e dell'Africa, hanno ancora bisogno, e che può arrivare solo da questa Europa affaticata, dalla ragione nata dall'esperienza occidentale, dalla sua storia.

«C'è una complessità della realtà, che l'Europa si porta sulle spalle da tanti secoli che sembra esserne estenuata». La faticosa «complessità» dell'Europa è una ricchezza, come dimostra la progressiva conquista ancora in atto della libertà religiosa, il tema che è al centro della riflessione nel libro del cardinale. Tra l'editto di Costantino del 313 e oggi ci sono diciassette secoli di storia sofferta e appassionata, un lungo travaglio che ha coinvolto i più grandi pensatori cattolici, ha attraversato Crociate e guerre di religione, ha impegnato il magistero della Chiesa, dal Sillabo di Pio IX al «diritto alla libertà religiosa» del Concilio Vaticano II.

Non si tratta certamente di una critica a Papa Francesco, semmai di un arricchimento alla riflessione. La prima cura al disagio occidentale - continua la piccola confidenza» di Scola - l'ha trovata lo Spirito Santo, nel suo «gioco» che ha regalato alla società e alla Chiesa europea stanche proprio Francesco, come «grande fattore di speranza e di novità», come «un'attuazione di ciò che Benedetto XVI nella Spe Salvi aveva chiamato la necessità di una speranza affidabile, a cui ci si possa consegnare». Ma come dimostra la storia dell'Occidente, le vie sono sempre più complesse di quanto appaiano.

E se Scola usa la parola «gioco» per parlare dell'intervento dello Spirito, è perché sembra davvero un gioco provvidenziale quello che ha «proprio girato la situazione». Un gioco in cui l'Europa ha ancora il suo bel ruolo.

(Sabrina Cottone, Il giornale di giovedì 17 aprile 2013)

martedì 16 aprile 2013

Tanti auguri Benedetto!


 Gli 86 anni del Papa emerito


Oggi Sua Santità Benedetto compie la bellezza di 86 anni. 
Il fisico fa le bizze, ma l'animo è quello di sempre, dolce e limpido. 
Praticamente tutti si sono ricordati del suo compleanno e fioccano gli auguri. 
Un vero peccato che nell'Osservatore Romano di oggi si siano dimenticati
di dedicargli un ricordino, un trafiletto.... 
Eppure fino all'anno scorso questo giorno
era una festa "di una certa importanza" in Vaticano.

Cosa fare per festeggiare Benedetto?
1) Pregare per lui come ha chiesto più volte prima del suo ritiro dal mondo.
2) Subito dopo fare una preghiera per lui, che tanto ci tiene.
3) Rivolgere infine un'altra orazione al buon Dio per il nostro caro Benedetto.
Mi sembra che una tripla razione di preghiera possa piacergli come regalo
Lui ci ha assicurato che prega (e sta certamente pregando) per noi. E noi? 
Ci siamo ricordati di questo debito di gratitudine
che gli dobbiamo per tutto quello che ci ha dato di sé negli anni del suo pontificato?


Testo preso da: Tanti auguri Benedetto! Gli 86 anni del Papa emerito
http://www.cantualeantonianum.com 

lunedì 8 aprile 2013

Ecco il vero Francesco


SAN FRANCESCO D'ASSISI,
PRIMA LETTERA AI CUSTODI: FF 241.
2.  Vi prego, più che se riguardasse mestesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici che debbano venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e isanti nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo.
3. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa.
4. E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione.

 SAN FRANCESCO D'ASSISI,
LETTERA A TUTTI I CHIERICI, I: FF 208A-209A.

4. Tutti coloro, poi, che amministrano così santi misteri, considerino tra sé, soprattutto chi li amministra illecitamente, quanto siano vili i calici, i corporali e le tovaglie, dove si compie il sacrificio del corpo e del sangue di lui.
5. E da molti viene collocato e lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato in forma miseranda e ricevuto indegnamente e amministrato agli altri senza discrezione.
Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate con i piedi,
 7. perché «l’uomo animale non comprende le cose di Dio».
8. Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si mette nelle nostre mani e noi lo tocchiamo e lo assumiamo ogni giorno con la nostra bocca?
9. Ignoriamo forse che dobbiamo venire nelle sue mani? Orsù, di tutte queste cose e delle altre,subito e con fermezza emendiamoci;
11. e dovunque il santissimo corpo del Signore nostro Gesù Cristo sarà stato collocato e abbandonato in modo illecito, sia rimosso da quel luogo e posto e custodito in un luogo prezioso.
12. Ugualmente, dovunque i nomi e le parole scritte del Signore siano trovate in luoghi immondi, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo decoroso.
13. Tutte queste cose, sino alla fine, tutti i chierici sono tenuti ad osservarle più di qualsiasi
altra cosa.
14. E quelli che non faranno questo, sappiano che dovranno renderne «ragione» davanti al Signore nostro Gesù Cristo «nel giorno del giudizio».

SAN FRANCESCO D'ASSISI,TESTAMENTO: FF 113–114.

8. E questi e tutti gli altri [sacerdoti] voglio temere, amare e onorare come miei signori.
9. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori.
10. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.
11. E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
12. E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso.

TOMMASO DA CELANO, MEMORIALE (COMUNEMENTE DETTO VITA SECONDA), 201: FF 789.

Un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero nel luogo più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro.

giovedì 4 aprile 2013

Qualcuno finalmente parla!


Occhio, la liturgia non può essere povera, la sua ricchezza è simbolo di alterità e divinità

L’undicesimo volume dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger, quello sulla “Teologia della Liturgia”, riporta sul retro della copertina una neanche troppo velata dichiarazione: “Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della chiesa”. Questi primi giorni di pontificato (anzi, di episcopato?) di papa Francesco la rendono tremendamente attuale e ci impongono inevitabilmente una riflessione sul rapporto tra la povertà (e non il pauperismo) e la liturgia. Una riflessione che, non va sottovalutato, è tra una dimensione umana, la povertà, e quella divina, la liturgia. Già, perché è sfuggito, in questi anni di convulsioni post conciliari, la natura squisitamente divina della liturgia: un affacciarsi del Cielo sulla terra, la prefigurazione terrena della Gerusalemme che, pertanto, ne deve richiamare la maestà e la gloria. Nella liturgia, attualizzazione incruenta del Sacrificio di Cristo sulla croce, è Dio che incontra l’uomo: essa non è fatta dall’uomo – altrimenti sarebbe idolatria – ma è divina, come richiama anche il Concilio Vaticano II.
In questo quadro, assume, evidentemente, una notevole importanza anche il discorso relativo ai paramenti. Lo ha già sottolineato magistralmente Annalena Benini nelle sue “Nostalgie benedettine” sul Foglio del 23 marzo scorso: “Benedetto XVI si rivestiva di simboli e di tradizione mostrando a tutti che lui non apparteneva più a se stesso, né tantomeno al mondo”. Era di Cristo, era l’“alter Christus” quale è il sacerdote nella liturgia. Con il paramento egli non è più un uomo privato, ma “prepara” (parare) il posto a qualcun altro: e quel qualcun altro è il Re dell’Universo. Impoverire la maestosità del paramento significa, inevitabilmente, impoverire Cristo. Ed è proprio Gesù stesso ad aver separato il concetto di povertà personale da quella dell’istituzione chiesa. Lo fa nel vangelo di Giovanni, laddove accettò l’unzione di una donna di Betania: “Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. Versando quest’olio sul mio corpo lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei” (Gv 12, 3-5). Innanzitutto, Egli giustifica il culto con oli costosi (e, guarda caso, Giovanni ricorda che è Giuda a lamentare lo spreco di danaro che, invece, avrebbe potuto essere destinato ai poveri) e, soprattutto, emerge l’esistenza di una cassa comune tra i dodici.
Torniamo alle origini? Allora si dovrà tornare ai drappi d’oro e porpora ritrovati nella tomba di Pietro. E’ evidente, dunque, che, non essendo il pauperismo un tratto distintivo della vita cultuale della chiesa, essa ci “trasmette ciò che ha ricevuto”, per usare un’affermazione dell’apostolo Paolo (1Cor 15, 3). Pio XII, emblema collettivo dell’opulenza liturgica, si dice che dormisse su tavole di legno nude e crude e seguisse modestissime diete. Ma in privato. L’ancoraggio liturgico alla tradizione fatta di mozzette, pianete e fanoni, è parziale manifestazione della Gerusalemme celeste, della liturgia degli angeli, come dice san Gregorio. Una tradizione fatta di canto gregoriano, che è incarnazione sonora della Parola di Dio, è garanzia di corretta risposta alla Parola stessa. Una tradizione fatta di una lingua sacra, il latino, immutabile nella quale ogni parola è già essa stessa teologia.
B-XVI, nella scuola di liturgia delle sue messe papali, ci ha insegnato magnificamente questo: ristabilire il primato della liturgia, fonte e culmine della vita della chiesa, e il primato di Cristo. “Non più io vivo, ma è Cristo che vive in me”, afferma san Paolo. Il sacerdote, coi paramenti, si “riveste” di Cristo (Gal 3, 27), dell’uomo nuovo (Ef 4, 24), per diventare per Cristo, con Cristo e in Cristo. Il Padre misericordioso, ci ha insegnato Joseph Ratzinger, dopo averlo abbracciato al suo ritorno, che è una risurrezione spirituale, ordina di andare a prendere “il vestito migliore” (Lc 15, 22).
E questo altro non è che l’applicazione di quel Concilio Vaticano II al quale molti si appellano per dimostrare il definitivo superamento dell’arte sacra della tradizione: “Una vigilanza speciale abbiano gli Ordinari nell’evitare che la sacra suppellettile o le opere preziose, che sono ornamento della casa di Dio, vengano alienate o disperse” (Sacrosanctum Concilium, 126) e precisa, inoltre, l’Ordinamento generale del Messale romano: “Nei giorni più solenni si possono usare vesti festive più preziose” (n. 346).

di Mattia Rossi

Come non essere d'accordo?

Tragicomica francescanite
di Fabio Colagrande | 04 aprile 2013 
L'effetto «papolatria» è sotto gli occhi di tutti. Ma l'antidoto l'hanno indicato proprio Ratzinger e Bergoglio spostando i riflettori là dove c'è Cristo e non il Papa


"Ma, secondo te, mi metto il blazer blu o è meglio un maglioncino?". Tra i dipendenti vaticani serpeggia il nervosismo in occasione di una possibile, estemporanea, visita di Papa Francesco nel loro ufficio. Preso atto che il nuovo Papa ama improvvisare, rompendo i cerimoniali, preferisce incontrare le persone in modo informale e inaspettato, molti vagheggiano un incontro personale e vogliono subito fare buona impressione. "Forse è meglio il pullover, magari marroncino, fa più francescano". "Sì, magari con le toppe ai gomiti". "E, per carità, niente cravatta!".
Da quando poi si è sparsa la notizia che il Papa celebra Messa ogni mattina nella cappella della 'Casa Santa Marta', dove per il momento ha scelto di abitare, e invita varie categorie di lavoratori della Santa Sede, il desiderio di esserci furoreggia. E il fatto che Francesco abbia invitato subito netturbini e giardinieri ha spiazzato, ma non scoraggiato, dipendenti più illustri e stipendiati. Tutti vogliono essere in prima fila, scambiare uno sguardo di assenso e intesa con un Papa così amichevole e disponibile. Come a dire: "Santità io sto dalla sua parte. Al Conclave facevo il tifo per lei mica per quello di Milano...". Forse, all'udienza con i giornalisti in Aula Paolo VI alcuni autorevoli direttori di testate italiane e straniere ambivano ad essere ammessi al baciamano e sono arrossiti di stizza, o vergogna, quando, a sorpresa, i cerimonieri hanno invitato a salutare il Papa un semplice collega giornalista non vedente con il suo cane.
Insomma, soffia un vento impetuoso di 'papolatria' che ha, in parte, aspetti positivi, ma anche, e soprattutto, effetti rischiosi, se non tragicomici. Alle udienze ci si spintona per arrivare alle transenne, in posizione strategica, per poi, un attimo prima del passaggio della jeep papale, gettare con perfetta sincronia il proprio perplesso neonato tra le braccia dei gendarmi, affinché poi lo porgano al Santo Padre per l'agognato bacio o carezza. Ci sono genitori che fanno le prove del lancio del pupo a casa, provando la presa, calcolando distanze, angolo di espulsione e possibile velocità del mezzo papale. Pur di inserire su Facebook una propria foto con Papa Francesco i più audaci si danno da fare con 'Photoshop', addirittura sovrapponendo la propria faccina a quella del Papa emerito.
È d'obbligo aver letto almeno uno dei 34 istant-book, biografie-raccolte di discorsi del Papa argentino, appena pubblicati e citare le frasi di Bergoglio sui social network. Tanto l'impresa non è complessa perché l'80% sono testi realizzati con il copia-incolla, tanto per essere subitaneamente in libreria battendo i concorrenti. Tutti - tranne qualche coerente testardo - sono grandi appassionati delle periferie e dei poveri, dicevano da anni che le chiese devono essere sempre aperte, volevano da secoli una Chiesa povera, una liturgia essenziale, e sono, naturalmente, felici che le Messe non siano cantate e le omelie siano brevi. Impazzano anche gli esperti di tango e i tifosi della, finora sconosciuta, squadra argentina del S. Lorenzo. C'è persino chi, non senza qualche malcelato rossore, 'fa' l'album delle figurine di Papa Francesco. Mentre si moltiplicano minacciose le prime inquietanti canzoncine a lui dedicate.
Intendiamoci, questa smania porta con sé un rinnovato interesse per il ministero petrino che può condurre anche i più svagati sulle strade della conoscenza e, forse, del Vangelo. Ma sorprende la paradossalità di certi innamoramenti. Ratzingeriani duri e puri, sono improvvisamente esaltati Bergogliani; acerrimi anti-clericali, usi, fino a quindici giorni fa, ad agitare gli spauracchi di vatileaks o della pedofilia nel clero, sono ora francescanamente e inopinatamente rasserenati. Persino i più convinti progressisti, fanatici del Concilio, spesso dimenticano che, finora, il gesto più riformatore l'ha compiuto il predecessore di Francesco, con la sua rinuncia.
Insomma, pare smarrita ogni sobrietà e ogni giudizio sfumato, riflettuto. Anche se non è così. Si sa, infatti, che i contrasti e le discontinuità attirano la mente umana e fanno vendere i giornali. Ci sono però molti - credenti e non - che hanno opinioni più ragionate e fondate su Francesco e Benedetto XVI. Ma sono idee che fanno meno rumore, più sottili e interessanti. Chi, per passione o lavoro, ha avuto la possibilità di conoscere davvero questi due uomini di Chiesa non può che apprezzarne la preziosa complementarietà per la nuova evangelizzazione, al di là di ogni speculazione mediatica. Ma, soprattutto, scorge nella condanna decisa e primaria di ogni 'papolatria' il fondamento del loro magistero. Perché, ripetono entrambi, i riflettori devono essere puntati al centro. Dove c'è Cristo, e non il Papa. Non dimentichiamolo, mentre compriamo le figurine.

martedì 2 aprile 2013

non c'è due senza tre: un altro articolo di p. Scalese che sottoscrivo in pieno. Povero papa Benedetto!


Pontificati virtuali


Nei giorni scorsi mi ha scritto dalla Germania (l’ultimo post è stato ripreso dal Müsteraner Forum für Theologie und Kirche, per cui ha avuto una certa diffusione nei paesi di lingua tedesca) una signora che esprimeva il suo sconcerto per l’atteggiamento assunto dai media nei confronti del neo-eletto Papa Francesco: «Tutti a sperticarsi in elogi al nuovo Vescovo di Roma. Ma  dove erano in questi otto anni? Papa Benedetto è stato crocifisso dal primo all’ultimo giorno, salvo quando ha dato le dimissioni, allora si sono fatti sentire! Il perché di tanto entusiasmo è  dato dal fatto che il nuovo Vescovo indossa la croce di ferro, le scarpe nere, i pantaloni neri?». La signora mi chiedeva di spiegare tale diverso atteggiamento tenuto dai media nei confronti di Papa Benedetto e di Papa Francesco.

Me la sono cavata con una citazione evangelica: «Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti ... Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti» (Lc 6:22-23.26).

A parte il Vangelo, che rimane sempre valido, ho continuato a riflettere sulla domanda della signora: come si spiega che quei media, che per otto anni hanno continuato ad attaccare Ratzinger per qualsiasi motivo, oggi per qualsiasi motivo continuano a elogiare Bergoglio? Che esista una disparità di trattamento, è sotto gli occhi di tutti. Mercoledí scorso Raffaella, riferendosi al fatto che Papa Francesco nell’udienza generale aveva parlato solo in italiano, si era giustamente chiesta: «Che cosa sarebbe accaduto se Papa Benedetto, a partire dal 2005, avesse adottato lo stesso sistema? … Quando Benedetto XVI andò in Polonia (2006) fu aspramente criticato da un vaticanista perché aveva deciso di tenere discorsi ed omelie in italiano. Scrisse: “Ci si aspettava che prendesse lezioni di polacco”. Dopo il primo Messaggio Urbi et Orbi (Natale 2005) ci fu chi ironizzò perché il Santo Padre aveva salutato in sole 33 lingue, circa la metà del suo predecessore. Quando, negli anni successivi, Benedetto arrivò a battere tutti i record precedenti nessuno gli fece i complimenti». Staremo a vedere se domani sui giornali i vaticanisti avranno da ridire sul fatto che ieri Papa Francesco ha fatto gli auguri soltanto in italiano. Ho i miei dubbi; anzi sono sicuro che sarà un’ulteriore occasione per tessere le lodi del nuovo Pontefice, a cui piace la semplicità e il contatto immediato con le folle. Ci sarà anche qualcuno che darà una lettura teologica della novità, sostenendo che Papa Bergoglio si sente soprattutto Vescovo di Roma e pertanto usa la lingua che si parla a Roma (qualcuno dovrà poi spiegarmi perché si debba andare a cercare il Vescovo di Roma alla “fine del mondo”, e scomodare tanti Cardinali provenienti da ogni dove, quando si potrebbe fare tutto in casa, con tanti bravi preti a disposizione nella diocesi di Roma).

Non so se avete notato che, per i media, ogni gesto di Papa Francesco diventa un evento: abbraccia un bambino o un disabile, e sembra che sia la prima volta che questo avviene, quando gli ultimi Pontefici ci avevano abituato a gesti simili, senza che ormai nessuno ci facesse piú caso. Qualsiasi cosa dice, anche la piú banale, diventa un oracolo. L’altro giorno mi è capitato di sentire, non ricordo se alla radio o in TV: «Parole forti quelle di Papa Bergoglio: “Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri”!». Non mi si fraintenda: non sto criticando Papa Francesco e non sto paragonando i suoi discorsi con quelli di Papa Benedetto. Ognuno si esprime a suo modo; c’è bisogno dellalectio magistralis, e c’è bisogno della semplice riflessione a braccio; ogni tipo di intervento può avere il suo valore, a seconda delle circostanze. Quel che mi dà noia sono le amplificazioni dei media.

Ho l’impressione che si stia creando un pontificato virtuale, in contrapposizione a un pontificato virtuale precedente, di segno opposto. Mi vado chiedendo in questi giorni: ma che fine hanno fatto tutti i gravissimi problemi che affliggevano la Chiesa durante il pontificato di Benedetto XVI, e che qualcuno pensa possano in qualche modo essere all’origine della sua rinuncia? Sono tre settimane che nessuno parla piú di pedofilia nella Chiesa; nessuno parla piú di Vatileaks e dei veleni della Curia Romana; nessuno parla piú dello IOR. Tutto risolto? È bastato eleggere il nuovo Papa per risolvere automaticamente tutti i problemi? Due son le cose: o era tutta una montatura mediatica allora, o è tutta una montatura mediatica adesso. Non è possibile che problemi che stavano facendo vacillare la Chiesa di punto in bianco scompaiano nel nulla. Si noti bene che, a parte le stupidaggini, finora non è stata fatta nessuna riforma; l’unica nomina che è stata fatta è quella del nuovo Arcivescovo di Buenos Aires; eppure tutto fila liscio come l’olio. Sembrerebbe che il problema fosse uno solo: Joseph Ratzinger.

Sinceramente faccio fatica a comprendere il motivo di tanta avversione. Certamente anche lui ha commesso degli errori (c’è qualcuno che ne è esente?). Personalmente ritengo che il suo maggior limite sia stata l’incapacità di scegliersi i collaboratori (basta vedere come il precedente conclave, formato da Cardinali nominati da Giovanni Paolo II, abbia preferito lui a Bergoglio; mentre questo conclave, composto in gran parte da Cardinali da lui creati, abbia eletto quello che era stato il suo “rivale”): Papa Ratzinger, che pure conosceva i meccanismi di Curia, si era circondato di carrieristi che, al momento opportuno, gli han voltato le spalle. Un’altra critica che gli si può muovere è che non è stato capace di realizzare le riforme che si era proposte: innanzi tutto la riforma della Curia Romana; poi la “riforma della riforma” in campo liturgico; infine la riconciliazione con i lefebvriani. Ma, d’altra parte, come avrebbe potuto realizzare tali riforme senza l’aiuto dei suoi collaboratori?

In ogni caso, queste o altre possibili critiche non giustificano l’avversione dei media nei confronti di Ratzinger. Ci deve essere qualche altro motivo che ci sfugge. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che il suo “peccato originale” fossero le origini tedesche. Non saprei: la Germania è stato forse il Paese dove lo si è maggiormente osteggiato. Forse la sua colpa principale è stata l’essere tradizionalista? Qualche anno fa avevo scritto un post dove sostenevo che Ratzinger fosse sempre rimasto fondamentalmente un “liberale”. Sinceramente si fa fatica a individuare il motivo reale per cui per otto anni (senza contare gli anni precedenti) i media si sono esercitati nel tiro al piattello contro Papa Benedetto.

Comunque, sono convinto che l’atteggiamento che i media hanno tenuto nei confronti di Ratzinger, da un momento all’altro potrebbero assumerlo anche nei confronti di Bergoglio. Fossi nei panni di Papa Francesco, non dormirei sonni tranquilli: mai fidarsi degli adulatori; di punto in bianco potrebbero rivoltarsi contro. Non so se vi siete accorti, ma sono già stati lanciati alcuni “avvertimenti” mafiosi: prima le accuse di aver sostenuto la dittatura militare, ora quelle di aver aderito alla “Guadia di Ferro” (senza parlare del film, del 2012, ma arrivato solo ora in Italia, Mea maxima culpa). Che poiIntrovigne o chi per lui dimostri l’inconsistenza di tali accuse, non serve a niente: nel momento in cui il New York Times decide di sferrare l’attacco, non c’è santo che tenga; può essere anche tutto falso, ma il semplice fatto che le stesse accuse rimbalzino da un giornale all’altro, le trasforma in “verità”. A quel punto anche la testimonianza dei Premi Nobel diventa superflua; ciò che conta è quanto dicono i media: una verità virtuale, come virtuale è il mondo in cui viviamo.Povero Papa 

IO ACCUSO…

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