Da Dibattito - Settembre 2016:
La rubrica che da anni tengo su questo giornale si intitola "confessioni ad alta voce". Se volete un titolo non originale, ma che scelsi per indicare ai lettori che il contenuto era da un lato strettamente privato, "confessioni" appunto, a partire dalle esperienze personali e dalle considerazioni altrettanto personali che non volevano e non vogliono coinvolgere il mio aspetto "istituzionale", ma d'altro lato confessioni proposte "in pubblico" perché motivato dalla convinzione che talune mie riflessioni, talvolta spinte fino anche alla provocazione, potessero essere utili ai miei lettori, non solo per la condivisione delle mie esperienze e riflessioni, ma anche per un confronto tra idee, seppur non sempre condivise o condivisibili, sulla linea dello stesso nome del giornale che mi ospita, Dibattito. E confesso che in questi anni non sono mancate le reazioni positive (bontà dei miei lettori) ai miei scritti, che mi hanno dato l'umana soddisfazione di sapere spesso di non essere il solo ad essersi formata una certa convinzione su un argomento, ma che il mio convincimento è compreso e condiviso anche da altri amici. Perché oggi scrivo tutto ciò ? Perché voglio mettere a parte i miei amici lettori di un'altra considerazione che sono andato via via maturando a partire dalla mia frequentazione delle rete web: mi riferisco a tutti i "luoghi" cosiddetti "social" quali Facebook, Messenger, WhatsApp e simili, per parlare solo dei più noti. Attenzione: non sono qui a fare la solita morale sulla bontà di tali mezzi o sulla loro negatività. Come ogni strumento la bontà o meno dipende da chi lo usa e come si usa: io internet lo uso ad esempio per cercare libri antichi altri per cercare invece immagini porno, ma come si dice, "ognunu arma a sua e cuscienzia a sua"! La mia considerazione va invece su un altro piano. Sul fatto che questi strumenti si dice siano nati "for connecting people" cioè per far incontrare le persone. E apparentemente sembra che siano riusciti nell'intento. Ognuno di noi su Facebook ha centinaia di amici; facciamo parte di diversi gruppi su WhatsApp e così via... Stiamo sempre a chattare in ogni ora e in ogni luogo... Questo dovrebbe aiutare e in un certo senso far crescere il confronto, la discussione, il dibattito, lo scambio di idee, la verifica su problematiche personali e comunitarie... Invece, paradossalmente, più siamo connessi, più banali sono i discorsi che si fanno: l'amico ci aggiorna di quando è come si sia alzato, di come ha fatto la cacca stamattina, l'amica della acconciatura o del piatto che farà a mezzogiorno... La mattina arrivano centinaia di buongiorno, ma mai uno che ti chieda come stai, che pena ti porti nel cuore, quale è la tua fatica di vivere, e, per chi crede, la fatica del credere. Magari c'è chi su Facebook mette "mi piace" a quello che scrivi o condividi: e questo è il massimo di quanto ci si possa aspettare, perché sono pochi quelli che hanno il coraggio di uscire allo scoperto e di manifestare apertamente le proprie idee. Ecco. Direi proprio che un nocciolo della questione stia proprio qui: nella scelta di non voler entrare mai pienamente in una questione per non esporsi, per un malinteso equivoco che tutte le idee si equivalgano e quindi "chi sono io per giudicare" se un altro ha una idea diversa dalla mia? E forse anche la paura di compromettersi, di dire cosa realmente si pensa, in cosa realmente si crede, in un mondo in cui è più facile e semplice seguire la moda dominante, pronti a cambiare idea appena il vento dell'opinione pubblica soffia in altra direzione o il politicamente corretto impone un linguaggio ipocrita buono per tutte le stagioni.
Talvolta su Facebook ho messo provocatoriamente la condivisione ad articoli proprio per provocare un dibattito, suscitando poche o nessuna reazione, poi metto una mia foto mentre mangio un vassoio di spaghetti o fumo il narghilè e allora vedo centinaia di condivisioni! Certo tutto ciò può essere pure gratificante, ma non è certo appagante.
Per me nato e cresciuto in un tempo in cui il dibattito e la dialettica erano il nostro pane quotidiano, così come la condivisione delle esperienze, anche in ambito ecclesiale, la banalità e la superficialità in cui tutti e a tutti i livelli ci si ferma, non soddisfa minimamente la mia voglia di apertura e di confronto. E perciò ho rivolto un invito ai miei amici: per favore, parliamo, di noi, dei nostri sogni, di cosa ci sta a cuore, dei problemi che ci affliggono... Per evitare che ognuno di noi se ne vada in giro chiuso come una monade nel suo mondo, senza porte e senza finestre, in mezzo agli altri ma non con gli altri. Alla ripresa delle attività dopo le ferie estive, credo che forse questo potrebbe essere un buon proposito: cercare e magari creare luoghi veri di incontro, dove si incontrino persone ed idee. Vere. Sincere. Perché tutto il resto sono chiacchiere vane.
Talvolta su Facebook ho messo provocatoriamente la condivisione ad articoli proprio per provocare un dibattito, suscitando poche o nessuna reazione, poi metto una mia foto mentre mangio un vassoio di spaghetti o fumo il narghilè e allora vedo centinaia di condivisioni! Certo tutto ciò può essere pure gratificante, ma non è certo appagante.
Per me nato e cresciuto in un tempo in cui il dibattito e la dialettica erano il nostro pane quotidiano, così come la condivisione delle esperienze, anche in ambito ecclesiale, la banalità e la superficialità in cui tutti e a tutti i livelli ci si ferma, non soddisfa minimamente la mia voglia di apertura e di confronto. E perciò ho rivolto un invito ai miei amici: per favore, parliamo, di noi, dei nostri sogni, di cosa ci sta a cuore, dei problemi che ci affliggono... Per evitare che ognuno di noi se ne vada in giro chiuso come una monade nel suo mondo, senza porte e senza finestre, in mezzo agli altri ma non con gli altri. Alla ripresa delle attività dopo le ferie estive, credo che forse questo potrebbe essere un buon proposito: cercare e magari creare luoghi veri di incontro, dove si incontrino persone ed idee. Vere. Sincere. Perché tutto il resto sono chiacchiere vane.