Per indicare il superamento del paganesimo il papa aveva
consacrato il Pantheon, luogo romano dedicato a tutti gli dei, come chiesa
cristiana dedicandola al culto della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi. E
fu scelto come giorno il primo del mese di novembre. Intorno all’anno Mille,
nell’Abbazia di Cluny in Francia, alla fine dei Vespri solenni di tutti i Santi
i monaci si portavano in processione presso il loro cimitero e facevano un
ufficio di suffragio per tutti i loro morti. Pian piano dal solo ufficio
vespertino si passò ad un ufficio vero e proprio durante le ore canoniche del
giorno seguente e questa tradizione si diffuse così rapidamente che la chiesa
concesse di commemorare il due novembre tutti i fedeli defunti in ogni luogo
della cristianità. Nacque così la “festa” dei morti in un giorno particolare
del calendario liturgico, ma non certo il ricordo dei morti: questo si fa in
ogni celebrazione della Messa in cui si fa memoria della “Comunione dei Santi”,
cioè viene ricordato come tutti, quelli che ancora peregriniamo qui sulla terra
(= la Chiesa Militante), quelli che sono morti (= la Chiesa purgante ) e i
santi che sono già in Paradiso (= la Chiesa trionfante) formiamo tutti un’unica
Chiesa perché tutti accomunati dal Battesimo. Comunione dei santi qui sta
appunto per Comunione dei battezzati perché “Santo, Santità” era l’appellativo
scambievole con cui si chiamavano i primi cristiani (ora rimasto in uso solo
per il papa). E a partire da questa “comunione”, cioè esperienza di amore
scambievole e di grazia divina, che si capisce anche il ricordo dei morti: se
tutti siamo una sola famiglia e se non valgono i vincoli della morte, allora
tra santi in cielo, morti e fedeli in terra può continuare ad esistere un
fecondo rapporto di amicizia. Ad esempio io posso pregare e chiedere
l’intercessione dei santi e suffragare i defunti perché la mia azione, essendo
per così dire ancora in contatto tra noi può essere efficace. E questo a
partire dalla esperienza di fede nella risurrezione dei morti e nella vita eterna.
Mi scuso per questa lunga
introduzione, ma credo che questo è l’unico modo per comprendere la genesi di
una festa che da noi (grazie a Dio) è ancora abbastanza sentita: la festa dei
morti, appunto. E dico grazie a Dio non solo per un motivo religioso ( potrebbe
altrimenti il mio sembrare solo un discorso da prete) ma anche profondamente
umano. E’ stato bello nella mia infanzia aspettare il giorno dei morti per
ricevere i regali (“i muorti, i murticieddi”) perché è un modo con cui la
sapienza e la fede popolare ti passava un messaggio bellissimo: i cari morti
non sono scomparsi nel nulla, ci sono ancora accanto, noi preghiamo per loro e
loro si interessano ancora per noi (non si parlava una volta di scambio di
amorosi sensi tra vivi e morti?). Un modo per ribadire la fede cristiana e per
far vivere serenamente la morte (all’opposto di oggi in cui la morte è stata
banalizzata nei serial TV e nascosta ed esorcizzata dalla vita reale). Un modo
per dire che i morti ci sono amici e di loro non si può avere paura (la
sapienza popolare sempre ammonisce che è dei vivi che invece bisogna aver
timore!). Perché, attenti, se so guardare serenamente alla morte so vivere
anche serenamente la vita. Adesso si scappa dalla visione della morte e non si
coglie più il senso della vita! Poveri genitori che non fanno vedere ai figli i
nonni morti: non sanno che li preparano a essere sconfitti dalla vita! Viva
dunque il culto dei morti e la festa dei morti, perché appunto e
paradossalmente è la festa della vita. Meglio dunque un giorno di cimiteri
affollati (certo più spesso non farebbe male) che lasciare morti e morte nel
dimenticatoio. E qui siamo proprio all’opposto del neopaganesimo strisciante
della cultura anglosassone e americana che purtroppo sta sbarcando pure da noi
in cui i morti sono gli spettri che terrorizzano e che ritornano la notte di
Hallowen a fare baraonda sulla terra! E noi che davanti a queste americanate ci
caliamo le braghe! Quando abbiamo un patrimonio culturale da non temere
confronti! Perché non è certo questo un segno di modernità, anzi! Ma da
un’europa che dimentica di essere figlia del cristianesimo cosa ci si poteva
aspettare?