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martedì 19 maggio 2020

QUARANTENA E QUARESIMA


Un mio caro amico mi ha fatto rilevare il rapporto tra quarantena e quaresima. Ma è solo per l'etimologia del nome dal numero 40. A parte che la quaresima è finita e la quarantena è continuata'. Ma non è un problema di giorni ma di esperienza interiore. Si può vivere aspettando che passino. Oppure facendo diventare la quarantena una vera quaresima. Come? Come momento di revisione di vita e di conversione cioè di cambiamento. L'epidemia non è una punizione di Dio. Ma forse Dio sta permettendo questa prova per farci comprendere che alcuni stili di vita sono sbagliati e quindi da correggere. E che il vero virus di cui avere paura è l'egoismo in tutte le sue forme. E finché c'è vita c'è speranza di cambiare. Altrimenti avremo sprecato quaresima quarantena e vita

Dio ha promesso a Noè che non avrebbe più distrutto l'umanità nonostante la cattiveria umana. L'arcobaleno ce lo ricorda. Dio non ha mandato il virus per distruggere gli uomini. È la natura che fa il suo corso. Ma sostenere che dobbiamo aspettare che faccia il suo corso in attesa passiva non è da credenti. Perciò non solo dobbiamo pregare che Dio ci sostenga nella prova e illumini le menti degli scienziati per trovare presto rimedi efficaci ma dobbiamo pregare che Dio metta fine al contagio. Non pregare significherebbe negare che il Dio creatore non può più intervenire nella sua creazione. Ma questo dipende dalla conversione dei cuori. La fine è tanto in Dio quanto nelle nostre mani.


 

venerdì 19 luglio 2019

Omelia per Martina


Le circostanze tragiche della morte della sorella Martina ci spingono, come comunità ecclesiale, ma anche come comunità civile, a interrogarci sul perché un fatto del genere possa essere accaduto, e a cercare di darne, se non una spiegazione - una spiegazione infatti sfugge ad ogni logica umana - almeno una interpretazione che aiuti a dare senso ultimo, e quindi a vivere con consapevolezza e responsabilità, un evento che altrimenti potrebbe farci correre il rischio di leggerlo solo in termini di inaudita sofferenza e immane disperazione.
E’, dunque, per non correre questo rischio che, riuniti come comunità credente davanti al Dio della vita e della morte, vogliamo metterci in ascolto di Lui e della sua Parola, a Lui porgere le nostre domande, da Lui ascoltare una parola di comprensione e di conforto.
Ho, proprio per questo, voluto scegliere un brano del Vangelo in cui siamo messi davanti a due episodi di sciagure successe durante la predicazione di Cristo a Gerusalemme.
Il contesto del passo lucano è dato da due fatti tragici: uno dovuto alla violenta repressione del prefetto di Roma, Ponzio Pilato, che ha fatto massacrare degli zeloti galilei nel tempio, mescolando il loro sangue al sangue dei sacrifici animali; l'altro, invece, è una di quelle sciagure, apparentemente casuali e assurde, e si tratta del crollo della torre di Sìloe, che ha provocato la morte di diciotto persone. Nel primo caso c'è un atto crudele da parte di un potente, nel secondo caso un fatto ineluttabile, che sembra rinviare ad un cieco destino. 
In verità, il vangelo ha sullo sfondo l'interrogativo sul male presente nel mondo,
In fondo, dietro questi due avvenimenti, possiamo percepire le eterne domande dell'uomo e del credente davanti al mistero del male: perché Dio, onnipotente e buono, permette violenze talvolta immani e impensabili nella storia degli uomini? Perché non impedisce disastri, sciagure, terremoti, incidenti di ogni genere, tutti eventi che sfuggono alla responsabilità, almeno diretta, dell'uomo? Perché spesso l’innocente vi trova la morte?
Ora, la duplice risposta di Gesù, da una parte, richiama una misteriosa connessione che sussiste tra il male, presente nell'uomo e nel mondo, dall'altra mette in guardia da una lettura semplicistica che considera la sventura e la sofferenza come immediata punizione dei peccati e invita a scendere più in profondità.
E’ quanto Gesù ripete a noi oggi.
Anzitutto ci dice che è sbagliato leggere la fine drammatica di Martina come punizione per le sue colpe, perché agli occhi di Dio tutti siamo peccatori, tutti portiamo il peso, più o meno grave, dei nostri peccati, tutti siamo uomini feriti dal peccato: certo, chi muore non è più peccatore di altri che rimangono in vita, né chi rimane in vita può credersi più giusto di chi muore.
Questa equazione << uccisione uguale peccatore, non uccisione uguale giusto>>, non è dalla sapienza divina. È invece dalla stoltezza umana. È la coscienza davanti a Dio che deve attestare la nostra colpevolezza o la nostra innocenza, non la storia. Gli uccisi o che muoiono in incidenti non sono più colpevoli degli altri.
Noi non siamo qui per fare noi una distinzione tra buoni e cattivi, fra giusti e ingiusti. 
Né siamo qui per fare processi sommari alle buone o cattive intenzioni.
Siamo qui invece per metterci nell’orizzonte più ampio della consapevolezza che, come ci ricorda san Paolo, tutti ci presenteremo davanti al tribunale di Dio e ognuno sarà chiamato a rendere conto a Dio delle proprie azioni. Ed è da Dio che riceverà il premio o la condanna. 
Ecco perché oggi siamo qui a ricordare che la vera morte non dipende dalle circostanze esterne, a volte anche tragiche, ma la vera morte è la perdita dell’anima, dell’amicizia con Dio. 
Oggi qui siamo invitati ad avere uno sguardo nuovo, che penetra oltre l'immediata superficie ed invita a giudicare i fatti in modo più radicale, cogliendo in tutto un appello alla libertà, per una scelta tra la vita eterna e la morte eterna, tra la perdizione e la salvezza, tra inferno o paradiso, come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica. 
E’ l’appello di Cristo alla conversione: “No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo".
Cioè a cambiare vita. 
Dunque, agli occhi di Cristo non conta separare gli uomini in giusti ed ingiusti, perché a Cristo sta a cuore scuotere la libertà di tutti, e mostrare che senza conversione, siamo tutti in cammino verso la morte, verso una perdizione che inizia nel tempo, e sfocia nell'eternità. 
Allora, davanti a certi avvenimenti tragici, dovuti alla disumana o irragionevole violenza o incoscienza dell'uomo, non ci è chiesto di trovare una spiegazione esauriente e completa, che annulli il mistero e lo scandalo del male, ma di raccogliere il richiamo alla nostra umana fragilità: siamo provocati a riconoscere il nostro limite, aggravato dalla libera scelta del peccato, e chiamato a consegnarsi all'abbraccio del Dio vivente, che in Cristo si manifesta come Dio ricco di misericordia e di compassione. Tutto dipende dal giudizio che realizziamo di fronte agli eventi, dal discernimento che operiamo: davanti al male della storia umana c'è un discernimento superficiale che divide i buoni dai cattivi, i colpevoli dagli innocenti in nome della giustizia, oppure che ritiene il male come un accidente inevitabile e casuale, optando, alla fine, per un'esistenza senza significato. 
Ma c'è un altro discernimento che Cristo ci propone e che consiste nel riconoscere, anche negli eventi negativi e ingiusti, il Padre che viene incontro a noi, chiamandoci a conversione: la vera "morte" inizia in un'esistenza che prende le distanze dal suo Signore e che pretende di auto-salvarsi, mentre l'autentico discernimento apre gli occhi a leggere in tutto un appello di Dio a cambiare vita nella conversione a Lui.
Nella tragica fine di Martina, siamo chiamati dunque a sospendere ogni affrettato giudizio, e, può sembrare paradossale, ma è il paradosso della fede, siamo chiamati a cogliere questo evento doloroso come evento di grazia. 
Cioè come una opportunità di conversione e di salvezza che oggi il Signore ci offre. 
Chi si deve convertire? Tutti! Chi deve cambiare vita? Tutti!
Viene la morte. A volte all’improvviso.  
Si pensa che essa sia solo per gli altri. 
Nessuno può dire di essere al riparo da incidenti come quello occorso a Martina: ecco perché la morte subita da innocenti dovrebbe spingere tutti a conversione e a penitenza. La morte può venire in qualsiasi modo. Ognuno si chieda <<Se fossi stato io al suo posto, dove sarei ora? Sarei salvo o sarei dannato per sempre?>> 
E in questo appello alla conversione, che deve toccare tutti e ognuno, mi permetto di indicare alcune vie a riprova di una vita da cambiare affinché la conversione sia vera e credibile.
nzitutto occorre convertirsi da uno stile di vita in cui la regola ultima sia la ricerca sfrenata ed egoistica del proprio piacere ad ogni costo, in una fraintesa libertà personale che arriva allo sprezzo della vita e della libertà altrui,verso una stile di vita che cerchi anzitutto il bene comune e il rispetto della vita e della dignità umana.
Si grida alla libertà calpestata, violata quando sono negati certi pretesi diritti ma nessuno pensa che vera libertà civica è l’esercizio e l’assunzione anche di doveri. Nessuno che pensa che urge agire con più sapienza, accortezza, temperanza, attenzione, somma vigilanza. Nessuno che dica che certe cose non si possono fare. Nessuno che ripeta che certe regole vanno osservate. Se queste cose non le comprendiamo, siamo stolti. La storia non insegna nulla, quando si è stolti ed insipienti. La stoltezza sempre produce e genera ogni morte.
Assistiamo ormai quasi impotenti al ripetersi di liturgie di morte per i tanti, troppi, incidenti non frutto del tragico caso, ma di uno sciagurato e irresponsabile esercizio della libertà che genera impudenza e imprudenza, azioni sconsiderate, decisioni non ponderate. 
Chiaramente siamo qui, come comunità civile, a chiedere che la giustizia faccia il suo corso, che vengano accertate le responsabilità di chi ha provocato la perdita di una vita umana, privando del conforto della mamma un figlio bisognoso di cure, del suo affetto la sua famiglia bisognosa della sua presenza.
E ci auguriamo che l’autore di tale sciagura abbia la piena coscienza del debito contratto nei riguardi della comunità e della convivenza umana che col suo atto ha minato alle radici. 
Noi preghiamo perché anche in lui si innesti un cammino di pentimento e di conversione perché rifletta seriamente sul senso della vita e sulla gioia di vivere che forse lui ha cercato ma ha creduto di trovare percorrendo strade sbagliate e senza uscita. 
Ma vogliamo pregare anche per la conversione delle autorità, ad ogni livello perché al di là di scelte demagogiche sappiano indirizzare con forza i cittadini sulla via della giustizia, del diritto, e del rispetto della legge, per garantire sicurezza e legalità; 
vogliamo pregare per la conversione di quanti hanno responsabilità educativa, come gli insegnanti a scuola: che abbiano la consapevolezza inderogabile che il futuro della società passa attraverso la formazione delle nuove generazioni al senso civico e al rispetto delle persone; 
vogliamo pregare soprattutto per i genitori, perché riprendano con coraggio il loro ruolo di primi educatori nella fede e nell’esercizio della moralità e delle scelte etiche da compiere, anche a prezzo di rinunce e sacrifici: basta con i padri che giocano a fare gli amiconi dei figli! 
La società non ha bisogno di bimbi viziati e irresponsabili, ma di uomini maturi e coscienti che il futuro del mondo dipende anche dal loro impegno attivo e generoso: ecco perché l’ultimo appello alla conversione mi sento di farlo ai tanti, troppi giovani che stanno consegnando la loro vita in sentieri di morte, votando se stessi allo svuotamento del senso della vita barattato per attimi fuggenti di piacere, ricercato nella droga e in ogni altro genere di alienazione: cari giovani, non dovete aver paura, abbiate il coraggio di non fuggire, di affrontare la vita, di viverla e di gustarla in tutta la sua affascinante bellezza. 
Allora, e solo così, la morte di Martina non sarà stata vana.
Lo voglio ricordare anzitutto ai suoi familiari. 
Questo è il momento del dolore da rimettere nelle mani di Dio, come ci ricorda il libro delle Lamentazioni, di fidarci di Dio e aspettare in silenzio che lui riveli il suo progetto di salvezza. 
Ma anzi, siamo chiamati a continuare a sperare “contro ogni speranza”, come direbbe san Paolo, perché, come abbiamo pregato nel salmo, in Lui abbiamo riposto ogni speranza, perché le misericordie del Signore non sono finite. 

Se la vita di Martina e la sua morte riuscirà a scuotere le nostre coscienze, allora non sarà stata una vita sprecata: <<se il chicco di grano caduto a terra non muore, non può dare frutto>>. Martina è stata seminata a terra da un folle gesto di sconsideratezza umana, ma ora quello che importa è che dalla sua morte riusciamo a coglierne frutti di grazia.

venerdì 11 aprile 2014

SUL DIGIUNO

Sul digiuno 1. Il digiuno cristiano J. Gnilka, paideia, il vangelo di Matteo , p. 496: <> Giovanni Cassiano, Conferenze, 21, 14-15: <> A cosa ci educa in specifico? Alla moderazione. Scrive Evagrio monaco (Filocalia I, 105) : << Sappi digiunare secondo le forze davanti al Signore: il digiuno purificherà le tue iniquità e i tuoi peccati; esso dà dignità all'anima, santifica il sentimento, allontana i demoni, avvicina a Dio. Se hai mangiato una volta durante la giornata, non desiderare di mangiare di nuovo… >> E con più incisività Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … il digiuno comporta in sé un certo vanto, ma non presso Dio; infatti è solo uno strumento che indirizza per così dire, alla temperanza coloro che lo vogliono. Dunque i lottatori della pietà non devono insuperbire per esso ma solamente attendere con fede in Dio il termine del nostro scopo>>. E la moderazione aiuta la continenza Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … Quando il nostro intelletto nuota nell'onda del molto bere, non solo si ferma ad osservare con passione le immagini che i demoni gli raffigurano nel sonno, ma plasmando anche in esso alcuni bei volti, usa delle proprie fantasie come di donne da amare con ardore. Infatti, infiammandosi gli organi dell'unione, per il fervore del vino, è assolutamente inevitabile che l'intelletto offra a se stesso l'ombra gioiosa della passione. Dunque, bisogna che fuggiamo il danno dell'eccesso usando la moderazione, perché l'intelletto, quando non ha il piacere che lo trascina giù verso la raffigurazione del peccato, permane tutto privo di fantasia e, quel che è meglio, non effeminato. Tutte le bevande artefatte - che gli autori di questa invenzione chiamano aperitivi perché, come sembra guidano al ventre l'insieme dei cibi - non devono prenderle coloro che vogliono castigare le parti del corpo che si gonfiano. Infatti non solo la loro qualità è dannosa ai corpi dei lottatori, ma anche la stessa mistura sofisticata ferisce troppo la coscienza timorosa di Dio. Infatti che cos'è che manca alla natura del vino perché il suo vigore debba essere effeminato da la mescolanza di odori variati? Non solo castità! Basilio il grande, Lettera 361, al monaco Urbicio: <>. Non si tratta della bontà del cibo in sé o meno L’antica distinzione tra cibi puri e impuri è superata: Agostino, Lettera a Gennaro:<< Alcuni fratelli si astengono dal mangiare le carni, ritenendole immonde; ciò è evidentemente contrario alla fede e alla retta dottrina … L’apostolo parla di queste cose … “tutto è puro per i puri” … non devono perciò rifiutare di astenersi dal mangiare alcuni cibi per tenere a freno la concupiscenza carnale sotto il pretesto che non è loro permesso di agire nel modo superstizioso e proprio degli infedeli>>. semmai si tratta di un ritorno alla stato “genesiaco”: dice Evagrio monaco (Filocalia I, 105) <> E anche Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) <>. Non per rifiutare la corporeità si digiuna Agostino, la dottrina cristiana, 1:<>. C’è chi lo fa non per rifiuto del corpo ma per estinguere i piaceri che usano male del corpo; c’è invece chi fa guerra al corpo quasi fosse un nemico naturale: questi comprendono falsamente quando leggono che lo spirito e la carne hanno desideri opposti. Nessuno deve odiare il proprio corpo ma i desideri cattivi della propria carne! Come digiunare : la regola è la libertà e la coscienza dei propri limiti Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, 138: <> Cassiano il Romano (filocalia I, 129): <<… diremo ciò che abbiamo ricevuto dai padri. Essi non avevano un'unica regola per il digiuno, né un unico modo per prendere cibo e neppure ci hanno trasmesso l'indicazione di un'unica misura: perché non tutti hanno l a stessa forza, vuoi per età o per malattia, vuoi per una costituzione fisica particolarmente delicata… un certo digiuno quotidiano è stato giudicato più vantaggioso e più atto a condurre alla purezza di quanto non sia un digiuno protratto per tre quattro giorni o anche per una settimana… infatti il digiuno protratto senza misura spesso poi è seguito da eccesso nel prendere il cibo… la regola di continenza e la norma esatta trasmessaci dai padri è questa: che chi prende un qualsiasi cibo si arresti quando ancora ha appetito senza aspettare di giungere alla sazietà. … Inoltre per la perfetta purezza dell'anima non vale certo l'astenersi nei cibi soltanto, se non vi concorrono anche le altre virtù. Perciò molto giova l'umiltà mediante l'ubbidienza del lavoro e la fatica del corpo, come pure giova il tenersi lontani dall'amore per il denaro, che non vuol dire solo il non aver denaro ma anche il non essere bramosi di possederne… l'astenersi dalla collera, dalla tristezza, dalla vanagloria, dalla superbia. Non basta infatti il solo digiuno del corpo per acquisire la perfetta temperanza e la vera castità se non vi è anche la contrizione del cuore, perseverante preghiera a Dio, assidua meditazione delle scritture, dura fatica e lavoro manuale… ma più di tutto giova l'umiltà dell'anima…>> Niceta Stethatos << Le malattie vengono spesso ai più, in seguito ad una dieta irregolare e non equa, propria di uno zelante teso a una estrema astinenza dai cibi e alle fatiche delle virtù senza misura e discernimento>> (Filocalia III, 419) san Massimo il Confessore: << Non mettere tutto il tuo studio in ciò che riguarda la carne, ma fissale un'ascesi secondo le tue possibilità e volgi il tuo intelletto alle cose interiori. Infatti l'esercizio del corpo è utile a poco, ma la pietà è utile a tutto>> (Filocalia, IV, 204) San Massimo il Confessore: << Se uno digiuna, sta lontano da un regime di vita che ecciti le passioni e fa quant'altro può contribuire alla liberazione dal male, costui ha preparato la via che abbiamo detto [al Signore]. Ma se ha coltivato queste cose per vanagloria o per cupidigia o adulazione o per qualche altro motivo che non sia il divino compiacimento, costui ha "fatto retti i sentieri di Dio". Ha sopportato la fatica di "preparare la strada" ma non ha Dio che cammina nei suoi sentieri.>> (Filocalia 2) Al di sopra di tutto la carità Evagrio monaco (Filocalia I, 105) <> Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … quando la vanagloria si accende con forza contro di noi, cogliendo a pretesto della propria malizia l'arrivo di alcuni fratelli o di un ospite qualunque, allora è bene concedere una moderata tregua alla dieta consueta. Infatti rimanderemo il demonio con niente di fatto e, ancor di più in lutto, riguardo al suo tentativo; e compiremo con approvazione la legge divina della carità e custodiremo non svelato il segreto della continenza, attraverso la condiscendenza. Attenti a non nutrire l’orgoglio Girolamo, lettere 1, 22, 37: <> Agli antipodi dell’orgoglio: l’umiltà Giovanni Climaco: << non ho digiunato, non ho vegliato, non ho dormito per terra, ma mi sono umiliato: e in poco tempo il Signore mi ha salvato>> (Filocalia, IV, 206) Un digiuno non ipocrita: Basilio il Grande, Omelia sul digiuno 1: <> Il vero digiuno Il discorso sull’umiltà ci apre la strada verso una considerazione più generale: che il digiuno vero è quello dal peccato e dall’ingiustizia: non c’è un padre che non leghi il discorso sul vero digiuno alla reprimenda di Isaia “questo è il digiuno che io voglio…. Giovanni Cassiano, Conferenze: <>. Attenti a non fare del digiuno un idolo Macario l’egiziano, testamento ai figli spirituali, Bose, 24<>. La concretezza del digiuno Erma, Il pastore, Allegoria V: <>. Per un digiuno spirituale Basilio il grande, Omelia sul digiuno,1: <>. 2. Il digiuno quaresimale: la vera penitenza e la novità di vita Il brano appena citato di Basilio ci permette di passare così al secondo livello del digiuno: quello quaresimale. La liturgia, il mercoledì delle ceneri, ci presenta i tre pilastri della ascesi della Quaresima: preghiera personale, digiuno, elemosina. Sembrerebbe dunque che questi tre elementi abbiano in sé, ed esprimano, la dimensione penitenziale della sola quaresima. Però di per se abbiamo visto come la tradizione ecclesiale non qualifica questi tre pilastri solo come quaresimali ma come dimensioni essenziali (seppure in rapporto gerarchico e dialogico con altre dimensioni) della vita cristiana e dunque non solo del tempo quaresimale. Qual è allora lo specifico del digiuno quaresimale? Anzitutto c’è un richiamo tipologico alla quarantena di Gesù nel deserto. Ma attenti: anche questa ripresa tipologica non è pacifica. Ad esempio, copti, armeni, siri e altre liturgie conservano memoria di una quaresima di Gesù computata subito dopo il Battesimo, così come cronologicamente è collocata in tutti i vangeli, distinta ad esempio da un periodo penitenziale detto di Ninive o di Giona che apre il cammino verso la Pasqua (gioca qui il segno di Giona!). Ancora al tempo di Agostino e Girolamo questa era una quaestio disputata! Sant’Agostino, omelia 207 sulla quaresima: <> San Tommaso D’Aquino, glossa aurea sopra i vangeli <> 3. Il digiuno dello sposo tolto e i figli della camera nuziale E siamo finalmente al terzo livello. P. 493 Forse un richiamo al digiuno del venerdì santo. ... Non sono contrapposti digiuno e non digiuno ma due diversi intendimenti , forse anche tempi diversi di digiuno. Finalità giudaiche erano umiliazione di fronte a Dio espiazione e preghiera. La novità del digiuno cristiano e in pratica il suo riferimento alla croce. ... Il vino nuovo è il simbolo del tempo di salvezza. Qui si vede come il digiuno pasquale ha una radice diversa. Come poi ad esempio non si avverte più la differenza tipologica del digiuno del Venerdì santo, che a detta degli studiosi, sembra essere il più antico e tipicamente cristiano: è il digiuno dello "sposo tolto". E' da qui che poi diversi padri prenderanno avvio per la loro riflessione sul digiuno, anche perché è da qui che emerge la radicale diversità, nel contrasto con i discepoli di Giovanni, tra digiuno cristiano e altri tipi di digiuno. Agostino: <<… su questo doppio tipo di digiuno il Signore rispose a quanti gli chiedevano perché i suoi discepoli non digiunassero. In rapporto al primo, quello che riguarda l’umiliazione dell’anima, il –Signore disse: gli amici dello sposo non possono piangere [ matteo parla di pianto invece di digiuno] fintanto che lo sposo è con loro, ma viene l’ora quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. In rapporto poi all’altro che riguarda il nutrimento della mente, a ragione si espresse così: nessuno cuce un panno nuovo su un vestito vecchio … E dunque, dal momento che lo sposo già fu tolto a noi non ci resta che piangere quello sposo bello. … Alcune considerazioni finali A ben considerare le cose, la prima cosa che dovremmo dunque dire è che la dimensione penitenziale della vita cristiana non è riservata solo alla quaresima ma abbraccia tutto l'arco dell'anno liturgico e l'intera esistenza del credente. Purtroppo oggi questo non è più un dato rilevabile dalla prassi ecclesiale, perché a mio parere questa dimensione ascetica non è più avvertita dal popolo di Dio, o meglio dalla maggior parte del mondo cattolico e protestante: sia perché il protestantesimo, con la disistima delle opere (anche se poi riprese in un certo atteggiamento pietista) non ha prodotto una riflessione ulteriore sulla dimensione penitenziale della Chiesa, sia perché il cattolicesimo, nella sua smania di adattarsi e di rendersi comprensibile al mondo, specie dopo il Vaticano II, ha finito per generare una operazione postconciliare, che forse, come le altre cose, era buona negli intenti, ma che di fatto ha generato una perdita della dimensione penitenziale nella Chiesa cattolica. In verità non dobbiamo sempre dare tutte le colpe dell'incomprensione ai nostri fedeli e alla secolarizzazione, quanto ad un ingenuo ottimismo che a mio modesto parere non ha niente a che fare con l'attenzione pastorale che si nutre invece di sano realismo! Specie quando le riforme nella Chiesa sono fatte da professori e burocrati che non hanno mai avuto un contatto pastorale con la gente! Di fatti, la riduzione dei giorni di penitenza fatta da Paolo VI, che volle -disse - adeguare la prassi penitenziale alle rinnovate esigenze contemporanee: aprendo però una maglia pericolosa nel lasciare tutto nell'ambito indistinto delle scelte personali con la commutazione ad esempio del digiuno e dell'astinenza con un'opera di bene, mettendo pericolosamente in rivalità le due cose che per millenni erano andate sempre insieme, cioè il digiuno e l'astinenza da un lato con l'elemosina e le altre opere di bene dall'altro. Un conto però è mettere in guardia dall'ipocrisia, un conto è immettere un principio soggettivista di origine - diciamolo pure - protestante nell'impianto tradizionale della Chiesa. Per comprendere ciò, basti pensare alla riduzione attuale della Quaresima ad una sorta di Ramadan cristiano, nel senso che ormai è nel comune sentire di tanti cristiani che il solo periodo penitenziale della Chiesa è la quaresima, e che poi questa stessa santa quarantena si sia ridotta di fatto ai soli venerdì quaresimali con l'astinenza dalla carne e il digiuno si sia ridotto solo alle ceneri e al venerdì santo intesi, come inizio e fine della quaresima. Che poi in concreto questi venerdì siano osservati ho i miei dubbi, data la stessa incomprensione della motivazione di fondo che soggiace alla astinenza dalla carne. Faccio un esempio per capire: conosciamo tutti il ritornello sulla carne, il suo costo e quello del pesce, - come dicono i fedeli - e allora meglio mangiare carne, o fare un'altra penitenza che poi in verità non viene fatta! C'è in ciò una totale distonia tra la liturgia della chiesa e la prassi dei cristiani che non comprende più la stessa dimensione penitenziale e ascetica non solo della quaresima ma di tutta la vita cristiana. A mio avviso occorre dunque non tanto ribadire la norma isolata sul digiuno o sull'astinenza quaresimali, quanto operare il recupero della dimensione penitenziale e ascetica della vita cristiana. E questo a partire dall'insegnamento dei Padri e della prassi tradizionale bimillenaria della chiesa cattolica, e anche dal confronto con l'esperienza mantenuta inalterata della prassi penitenziale delle chiese d'oriente. Per finire: Annuncio Pasquale (catechesi attribuita a san Giovanni Crisostomo) nel rito bizantino: <>

    La seconda assemblea sinodale: un evento di Chiesa.   Doveva essere l’ultima assemblea del cammino sinodale delle Chiese in Italia...