domenica 31 marzo 2013

Buona Pasqua!


“L’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto.
Dio ha introdotto la guarigione.
È entrato in persona nella storia.
Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene.
Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce.”
(Papa Benedetto XVI)

lunedì 25 marzo 2013

Un altro post di P. Scalese che sottoscrivo parola per parola: Papa Francesco ha perso una bellissima occasione per ribadire il suo essere vescovo di Roma, servus servorum Dei, non celebrando l'eucaristia nella sua cattedrale il giovedì santo in coena Domini col suo presbiterio e i suoi poveri. Peccato!


DOMENICA 24 MARZO 2013

Relativismo nella Chiesa?


Fino a qualche anno fa mi sono occupato, in forma piú o meno diretta, di formazione all’interno del mio Ordine religioso. Quel che lamentavo sovente era la “molteplicità delle formazioni”: praticamente tanti erano i modi di formare, quanti erano i formatori. Nonostante ci fossero le Costituzioni, la Ratio institutionis, le delibere dei Capitoli generali, le tradizioni domestiche, di fatto ciascun novizio o studente veniva formato a seconda dei gusti personali del Padre Maestro che si ritrovava ad avere. Con quali conseguenze sull’unità della Congregazione, vi lascio immaginare. In tutte le riunioni dei formatori e nei Capitoli ho sempre insistito sulla necessità dell’unità della formazione e, devo riconoscere, delle delibere in tal senso sono state anche approvate; ma ho l’impressione che, nonostante le delibere, la situazione sia rimasta pressoché immutata.

Beh, quel che lamentavo riguardo alla formazione nel mio Ordine, in realtà costituisce un problema generale, che tocca ogni ambito, diffuso in tutta la Chiesa, soprattutto dopo il Vaticano II, col quale ciascuno si è sentito autorizzato a fare di testa propria. Non mi si fraintenda, non sto criticando il Concilio: accetto con convinzione tutte le riforme da esso promosse e successivamente realizzate; sono riforme che si rendevano necessarie per il mutamento dei tempi. Negli anni dopo il Concilio i Papi e i Dicasteri della Curia Romana hanno fatto un enorme sforzo di aggiornamento in tutti i settori, lasciando talora spazio anche alla possibilità di ulteriori adattamenti alle situazioni locali, ma sempre entro i limiti previsti dalle nuove normative. Il problema è che spesso tali normative sono state completamente ignorate dalla “base”, la quale anzi riteneva che, col Concilio, si era fatta piazza pulita di ogni legalismo e che unico criterio di azione fosse ormai l’attenzione al soffio dello Spirito, solitamente coincidente — guarda caso — con i propri gusti personali.

Perché, direte voi, questa lunga introduzione? Dove vuole arrivare Padre Scalese? È la riflessione che mi è venuta in mente quando, l’altro giorno, ho letto una notizia che mi ha lasciato alquanto perplesso: il Papa, il giovedí santo, celebrerà la Messa in Cena Domininel carcere minorile di Casal del Marmo. Beh, dove sta il problema? Non è un bellissimo gesto quello deciso da Papa Bergoglio? “Visitare i carcerati” non è forse una delle opere di misericordia corporale? Il Papa non può decidere liberamente dove celebrare la Messa del giovedí santo?

Vorrei cominciare col rispondere a quest’ultima domanda, perché credo che da una corretta risposta ad essa dipenda tutto il resto. È vero che il Papa può decidere quel che vuole: egli è il legislatore supremo. Ma può decidere, appunto, legiferando. Se esiste una legge che a lui non piace, può cambiarla; ma, se una legge esistente, fatta da lui o da uno dei suoi predecessori, lui non la cambia, non mi sembra opportuno che la disattenda. Non sono un canonista, ma non mi pare che al Papa possa applicarsi il principio “Princeps legibus solutus”: non sarebbe molto corretto nei confronti di quanti quelle leggi sono tenuti a osservarle. Questo, come principio generale.

Nel caso presente, non si tratta propriamente di leggi, ma di indicazioni pastorali, che comunque hanno, a mio parere, un valore piuttosto vincolante. Una trentina d’anni fa fu pubblicato ilCæremoniale Episcoporum, che non credo fosse destinato soltanto ai cerimonieri delle cattedrali, ma innanzi tutto ai Vescovi stessi. Faccio notare che non mi riferisco al Cerimoniale del 1600, ma a quello del 1984, “ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Ioannis Pauli PP. II promulgatum”. Ebbene, che cosa si dice nel suddetto Cerimoniale a proposito dei riti del Triduo pasquale?

«Tenendo quindi presenti la particolare dignità di questi giorni e la grande importanza spirituale e pastorale di queste celebrazioni nella vita della Chiesa, è sommamente conveniente che il Vescovo presieda nella sua chiesa cattedrale la Messa nella Cena del Signore, l’azione liturgica del venerdí santo “nella passione del Signore”, e la veglia pasquale, soprattutto se in essa si devono celebrare i sacramenti della iniziazione cristiana» (n. 296).

E, specificamente a proposito del giovedí santo, il Cerimonialeprosegue:

«Il Vescovo, anche se ha già celebrato al mattino la Messa del crisma, abbia ugualmente a cuore di celebrare anche la Messa della Cena del Signore con la piena partecipazione di presbiteri, diaconi, ministri e fedeli intorno a sé» (n. 298).

Non si tratta di norme tassative, ma di indicazioni in ogni caso pressanti, dalle quali, a mio parere, solo per gravissime ragioni ci si potrebbe discostare. Ma, a quanto è stato riferito, Papa Francesco non fa altro che continuare un’abitudine che aveva quando era Arcivescovo di Buenos Aires (il che lascia presumere che intenda ripetere il gesto ogni anno). È chiaro che il problema non sorge solo ora che Bergoglio è diventato Papa, ma esisteva già quando era Arcivescovo. Posso supporre il ragionamento che avrà fatto: “Ho già celebrato questa mattina la Messa del crisma con tutto il mio clero; questa sera la Messa in Cena Domini sarà celebrata nelle diverse parrocchie; con chi celebro io in cattedrale? Magari non ci saranno neppure i seminaristi perché mandati ad aiutare nelle rispettive parrocchie. Quindi me ne vado a celebrar Messa ai carcerati (o agli ammalati o agli anziani) e cosí faccio anche un’opera di misericordia”. Un ragionamento abbastanza comprensibile, addirittura encomiabile, ma che rischia di “smontare” tutto d’un tratto quanto il Concilio aveva autorevolmente dichiarato:

«Il Vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la piú grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al Vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri» (Sacrosanctum Concilium, n. 41).

Un testo che viene ripreso dal Cerimoniale, che aggiunge:

«Dunque le sacre celebrazioni presiedute dal Vescovo, manifestano il mistero della Chiesa a cui è presente Cristo; perciò non sono un semplice apparato di cerimonie … In tempi determinati e nei giorni piú importanti dell’anno liturgico si preveda questa piena manifestazione della Chiesa particolare a cui siano invitati il popolo proveniente dalle diverse parti della diocesi e, per quanto sarà possibile, i presbiteri» (nn. 12-13).

«La principale manifestazione della Chiesa locale si ha quando il Vescovo, come grande sacerdote del suo gregge, celebra l’Eucaristia soprattutto nella chiesa cattedrale, circondato dal suo presbiterio e dai ministri, con la partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio. – Questa Messa, chiamata stazionale, manifesta l’unità della Chiesa locale e la diversità dei ministeri attorno al Vescovo e alla sacra Eucaristia. – Quindi ad essa siano convocati quanti piú fedeli è possibile, i presbiteri concelebrino con il Vescovo, i diaconi prestino il loro servizio, gli accoliti e i lettori esercitino le loro funzioni» (n. 119).

«Questa forma di Messa sia osservata soprattutto nelle maggiori solennità dell’anno liturgico, quando il Vescovo confeziona il sacro crisma e nella Messa vespertina in Cena Domini, nelle celebrazioni del santo fondatore della Chiesa locale o del patrono della diocesi, nel giorno anniversario dell’ordinazione del Vescovo, nelle grandi assemblee del popolo cristiano, nella visita pastorale» (n. 120).

Nel comunicato con cui si informa della decisione di Papa Francesco, si aggiunge: «Com’è noto, la Messa della Cena del Signore è caratterizzata dall’annuncio del comandamento dell’amore e dal gesto della lavanda dei piedi» (21 marzo 2013). Anche in questo caso il Cerimoniale dei Vescovi appare piú completo e preciso:

«Con questa Messa dunque si fa memoria della istituzione dell’Eucaristia, o memoriale della Pasqua del Signore, con la quale si rende perennemente presente tra di noi, sotto i segni del sacramento, il sacrificio della nuova alleanza; si fa ugualmente memoria della istituzione del sacerdozio, con il quale si rende presente nel mondo la missione e il sacrificio di Cristo; infine si fa memoria dell’amore con cui il Signore ci ha amati fino alla morte. Il Vescovo si preoccupi di proporre opportunamente ai fedeli tutte queste verità mediante il ministero della parola, affinché possano penetrare piú profondamente con la loro pietà in cosí grandi misteri e possano viverli piú intensamente nella vita concreta» (n. 297).

La lavanda dei piedi è certamente un momento significativo della celebrazione del giovedí santo, ma sarebbe un errore considerarlo il suo elemento essenziale. Tanto è vero che non è un rito obbligatorio: esso viene compiuto solo «dove motivi pastorali lo consigliano» (n. 301). Purtroppo, negli ultimi anni, in diversi luoghi, esso è stato caricato di significati che esorbitano dal suo valore originario.

Qualcuno dirà che sto facendo di un’inezia una montagna; qualcuno mi accuserà di pignoleria, se non addirittura di rubricismo o di legalismo; qualcuno sicuramente scomoderà anche i farisei, che accusavano Gesú di non osservare la legge quando guariva di sabato; qualcuno dirà che voglio insegnare il mestiere al Papa. Ciascuno dica quel che vuole. Nessuno però può impedirmi di pensare che certe decisioni, apparentemente innocue, potrebbero avere conseguenze devastanti:
a) innanzi tutto, disattendendo le norme esistenti, anche quelle che potrebbero apparire secondarie, si rischia di mettere in discussione alcuni valori fondamentali, che il Concilio ha rimesso in luce e ha voluto che divenissero patrimonio comune della Chiesa;
b) in secondo luogo, potrebbe passare l’idea che le norme ci sono, sí, ma non è poi cosí importante rispettarle: se il Papa ritiene possibile trascurarle, significa che non sono poi cosí importanti; e se lo fa lui, perché non potrei fare io altrettanto?;
c) inoltre si potrebbe dare l’impressione che non esista alcuna norma oggettiva e stabile, valida per tutti e per sempre, ma che tutto dipenda esclusivamente dalla discrezionalità del responsabile di turno;
d) infine c’è il rischio che il relativismo, tanto osteggiato a parole nella società, diventi di fatto la norma suprema anche all’interno della Chiesa.

lunedì 18 marzo 2013

Un post di Padre scalese che io sottoscrivo dalla prima all'ultima parola


Forse qualcuno dei miei lettori stava già pensando che fossi tornato in letargo. In effetti, “una rondine non fa primavera”, ma in questo caso il mio silenzio è stato causato semplicemente da mancanza di tempo materiale. D’altronde, dopo una inattività di quasi due anni, non è facile tornare a scrivere con regolarità.
Qualcuno mi ha chiesto di dire qualcosa a proposito dell’elezione del nuovo Papa. Beh, sarei ipocrita se dicessi di aver sprizzato gioia nel momento in cui il Card. Tauran ha dato l’annuncio. Personalmente avrei preferito il Card. Scola, che stimo, o il Card. Tagle, che conosco. Sentire che era stato eletto il Card. Bergoglio è stata sicuramente una sorpresa. Talvolta le sorprese possono essere accolte gioiosamente (ed è ciò che è avvenuto per la maggior parte dei fedeli). Nel mio caso questo non è avvenuto, non perché avessi qualcosa contro il Card. Bergoglio, che non conoscevo, ma semplicemente perché condizionato da ciò che si era detto sul suo conto, a proposito del precedente conclave: sarebbe stato lui il candidato del partito anti-Ratzinger, quello per intenderci guidato dal Card. Martini. Ebbene, il fatto di sapere che era stato eletto appunto l’«anti-Ratzinger» mi ha dato lí per lí l’impressione di una deliberata scelta polemica dei Cardinali contro il precedente Pontefice. È vero che questa impressione è stata immediatamente smentita dallo stesso neo-eletto; però è altrettanto vero che tutta una serie di piccoli dettagli, astutamente amplificati dai media, sembravano confermare quella prima impressione: il rifiuto di un certo abbigliamento, il ritorno a una liturgia pre-benedettiana, ecc.

In questi casi, però, è bene non lasciarsi condizionare troppo dalle prime impressioni, dalle reazioni istintive, e cercare di riflettere e considerare le cose con una certa razionalità. Innanzi tutto, è bene non farsi condizionare dai media, che ci presentano solo certi aspetti, e lo fanno unicamente per provocare in noi determinate reazioni. Che senso ha, per esempio, insistere nel mostrarci le scarpe nere del Papa, se non per convogliare il messaggio: Benedetto XVI usava scarpe Prada e quindi era antievangelico; Francesco, al contrario, è un Papa realmente povero. Non so se avete notato come si siano volutamente messe in giro frasi, attribuite al neo-eletto Pontefice (se vere o false sinceramente non saprei), che hanno rallegrato molti, ma hanno ferito altri: Papa Bergoglio avrebbe detto a Mons. Marini, che lo stata aiutando a vestirsi, a proposito della mozzetta: «Questa se la metta lei! È finito il tempo delle carnevalate!»; l’indomani, a Santa Maria Maggiore, visto il Card. Law, Arciprete emerito della basilica, avrebbe intimato: «Allontanatelo dalla basilica!». Non credo che, cosí facendo, si renda un buon servizio al nuovo Papa.
In secondo luogo, dobbiamo liberarci dai nostri pregiudizi. Non possiamo giudicare le persone dopo pochi minuti che le abbiamo incontrate: diamo loro almeno il tempo di presentarsi e farsi conoscere. Di per sé non dovremmo mai giudicare nessuno, ma se proprio smaniamo dal farlo, aspettiamo almeno che uno incominci ad agire, e poi giudichiamo il suo operato (mai le sue intenzioni!). Questo in qualsiasi senso: sia in bene che in male. Certe esaltazioni acritiche sarebbe meglio lasciarle da parte: a Papa Francesco piace uno stile informale? Benissimo, ha tutto il diritto di usarlo (anche perché è caratteristico di certi paesi); ma non si parli di una svolta nella storia della Chiesa, quasi che basti saldare il conto in albergo per salvare la Chiesa. Ben venga la semplicità, se questa aiuterà qualcuno a riaccostarsi alla Chiesa. Ma, per favore, non identifichiamo automaticamente lo stile informale con l’umiltà. Si può essere umili anche sottomettendosi a un cerimoniere che ti mette indosso una mozzetta di velluto con l’ermellino. Lasciatemi, per un attimo, mettermi sullo stesso piano di certi acuti “osservatori”: l’attuale Pontefice, sotto la semplice talare bianca, ha sempre fatto uso finora della camicia con i polsini e i gemelli; Papa Ratzinger, sotto la talare bianca, il rocchetto e la mozzetta, spesso indossava una semplice maglia con le maniche lunghe.
Un aspetto che ha mandato in visibilio le folle è stata la scelta del nome. Certo, il Santo Padre può scegliere il nome che vuole. Non si può accusarlo di aver rotto con la tradizione: gli ultimi Papi hanno tutti scelto un nome piú o meno originale: Roncalli ha scelto un nome che non si usava piú dal Trecento; Montini, dal Seicento; Luciani ha addirittura adottato un doppio nome (cosa mai avvenuta prima nella storia della Chiesa); quindi, liberissimo Bergoglio di scegliere il nome di Francesco. È chiaro però che ogni nome è un programma; lo stesso Bergoglio lo ha spiegato ieri ai giornalisti: “Francesco”, significa povertà, pace, amore alla natura. Un programma condivisibilissimo, a patto che non si trasformi in ideologia: pauperismo, pacifismo, ecologismo. Spero di cuore che il nuovo Papa incarni il vero San Francesco, non il surrogato che ci viene solitamente proposto dai media (e spesso dagli stessi Francescani). Personalmente, di San Francesco io sottolineerei soprattutto la vocazione: «Va’ e ripara la mia Chiesa!».
Naturalmente, come non mi piacciono i facili entusiasmi, ancor meno mi piacciono le stroncature senza appello, da una parte e dall’altra. Mi hanno dato estremamente noia (ma non mi hanno meravigliato piú di tanto) i tentativi di coinvolgere Bergoglio con la dittatura militare del Generale Videla, come pure la ridicola accusa di misoginia («Le donne non sono fatte per governare!»). D’altra parte, mi lasciano di stucco le reazioni scomposte di alcuni tradizionalisti: dopo aver per anni accusato i fratelli di fede di disobbedienza al Papa, perché non si adeguavano al suo stile celebrativo, tutto d’un tratto, non appena il Papa è cambiato, hanno incominciato a offendere il nuovo Pontefice, basandosi esclusivamente su quegli elementi esteriori intenzionalmente sottolineati dai media, proprio per mettere in evidenza la discontinuità dell’attuale pontificato con quello precedente.
Certo, una qualche discontinuità nelle forme e nello stile esteriore non può essere negata; ma ciò significa reale rottura di Francesco I con Benedetto XVI e con la tradizione della Chiesa? Diciamo la verità, almeno per il momento, tutto si riduce a questioni piuttosto marginali, come il modo di abbigliarsi o di celebrare. Quanto al primo aspetto, abbiamo già detto; quanto al secondo, non credo proprio che Papa Francesco voglia distruggere la liturgia. Bisogna tener conto che è un gesuita; e chi conosce anche solo un po’ i gesuiti sa che non sono dei grandi liturgisti, non per partito preso, ma per formazione, direi per costituzione. Si direbbe che per loro il movimento liturgico e il Vaticano II non siano mai esistiti; fondamentalmente, essi sono rimasti sempre un po’ tridentini. Del resto, basta prendere gli Esercizi spirituali per rendersene conto: sembrerebbe che per Sant’Ignazio l’esame di coscienza fosse piú importante della partecipazione alla Messa. Se si voleva un Papa liturgista, allora bisognava eleggere un benedettino, non certo un gesuita. I gesuiti sono molto piú attenti alla spiritualità che non alla liturgia: essi sono dei veri “contemplativi nell’azione”, per cui possiamo aspettarci da Papa Bergoglio un grande aiuto per la nostra vita spirituale.
Sono convinto che Papa Francesco riserverà a tutti delle belle sorprese (certo non quelle anticipate dai media). Quando furono eletti Giovanni Paolo II e Benedetto XVI provai una grande gioia e nutrivo grandi attese, che però in qualche caso furono successivamente deluse. Questa volta, come detto, all’Habemus Papam non ho sperimentato lo stesso entusiasmo; spero quindi che le soddisfazioni vengano in seguito. Ma, in fondo, anche se non venissero, non cambierebbe nulla: un Papa non viene eletto per soddisfare le nostre attese, ma per confermarci nella fede e servire la Chiesa. In questo momento non ci viene chiesto né di osannare il Papa né di criticarlo; ci viene chiesto semplicemente di sottometterci a lui («Subesse Romano Pontifici … omnino esse de necessitate salutis», Bonifacio VIII, bolla Unam sanctam), di pregare per lui e di «rimanere in perfetta tranquillità … [tenendo] presente che solo Gesú Cristo governa la sua Chiesa» (Rosmini, Massime di perfezione cristiana, III massima).
Anche un eventuale scarso feeling con il nuovo Pontefice potrebbe avere effetti tutto sommato benefici, perché ci costringerebbe a non fermarci alla sua persona, ma ad andare oltre, a colui che egli rappresenta; ci costringerebbe a distinguere fra la persona e l’ufficio che essa ricopre. Può essere utile ricordare in proposito quanto si racconta di Don Bosco; sembrerebbe che si riferisca ai nostri giorni:
A Torino giungevano le notizie di Roma ed anche qui continuavano ad ogni occasione le grida frenetiche, ostinate di “Viva Pio IX!”. Mons. Fransoni [Arcivescovo di Torino] però aveva compreso tra i primi che sotto quelle esagerate espressioni di entusiasmo si celava l’artificio delle sette, e sollecitato dal Papa a muovere i fedeli in aiuto degli Irlandesi che lottavano contro la fame, il 7 giugno 1847 scriveva in una sua lettera pastorale: «Quella essere un mezzo assai acconcio di mostrare ossequio al Pontefice, e perciò averglisi a dar plauso. Non come quei tali che applaudono a Pio IX, non per quello che è, ma per quello che vorrebbero Egli fosse. Doversi ancora riflettere, che non il battere fragoroso di palma a palma, né l’incomposto acclamar tumultuoso, sono gli applausi che possono a Lui tornar graditi, bensí l’ascoltarne docilmente gli avvisi, e il pronto eseguirne, non che i comandi, gli inviti». Don Bosco non la pensava diversamente dal suo Arcivescovo. Naturalmente anche all’Oratorio era un gridare a tutta gola di viva e di osanna al gran Pontefice; tanto piú che Don Bosco parlava sempre del Papa colla massima stima; ripeteva frequentemente essere necessario di stare uniti al Papa perché egli era quell’anello che unisce i fedeli a Dio, e preconizzava fatali cadute e castighi a quelli che presumevano osteggiare o censurare anche menomamente la Santa Sede; e tanto era l’amore che sapeva infondere verso di questa ne’ suoi giovani, che sentivansi disposti ad esserle sempre obbedienti e fedeli e a difenderla anche a costo della vita. I giovani adunque ripetevano: “Evviva Pio IX!”; ma con meraviglia intesero Don Bosco che cercava di cambiar loro le parole in bocca: «Non gridate “Viva Pio IX!”, ma “Viva il Papa!”». «Ma perché, gli domandarono, Ella vuole che gridiamo “Viva il Papa!”? Pio IX non è appunto il Papa?». «Avete ragione, replicava Don Bosco: ma voi non vedete piú in là del senso naturale; vi è certa gente che vuol separare il Sovrano di Roma dal Pontefice, l’uomo dalla sua divina dignità. Si loda la persona, ma non veggo che si voglia prestar riverenza alla dignità di cui è rivestita. Dunque, se vogliamo metterci al sicuro, gridiamo “Viva il Papa!”». E tutti i giovani ripetevano: “Viva il Papa!” (Memorie biografiche, vol. III, cap. 21).

venerdì 15 marzo 2013

Ma ora guardiamo al futuro senza dimenticare il passato!

Felice di aver sbagliato la mia previsione.
Pur sapendo che il suo nome circolava, avevo scartato il suo nome per due motivi: primo, per la sua età, perché credevo che i cardinali si stavano orientando verso uno più giovane; secondo, perché sapevo che il suo nome era già uscito per il conclave che poi elesse Ratzinger e credevo che la storia non avrebbe concesso un bis!
Però sono contenti della sorpresa che lo Spirito Santo ci ha fatto: è la prova che la Chiesa ha una capacità di rinnovamento e il coraggio di osare vie nuove, che magari li avessero quelli che si barcamenano nelle istituzioni civili!!!

Resta però il ritratto delineato che gli si confà in pieno: per ortodossia, per capacità di governo, per fermezza e coraggio, per pastoralità.

Conferma quello che la Chiesa è da sempre: per usare l'immagine della collocazione "politica", la Chiesa è di destra per quanto riguarda la salvaguardia della Tradizione della fede, ma è di sinistra per quanto riguarda la dottrina sociale e l'amore preferenziale per i poveri.
Chi dalla scelta di uno stile umile volesse inferire una "modernizzazione" nel senso di una apertura ad aborto, eugenetica, eutanasia, matrimonio omossesuali.... si sbaglia e di grosso!
E tutto nella continuità con il pontificato precedente: lo si nota dall'accento messo sul fatto che se la Chiesa si dimentica di Cristo si riduce ad una istituzione filantropica, ad una ONG e neppure di alta qualità! Stesso concetto e stesse parole usati più di una volta da papa Benedetto.

Una nota ecumenica per finire: lui è stato anche ordinario in Argentina per tutti gli orientali senza eparca proprio e perciò conosce benissimo il problema ecumenico, così come è stato molto vicino agli ebrei (in Argentina c'è una presenza molto grossa di comunità ebraiche). Il fatto che si sia presentato come vescovo di Roma, di quella Roma che - citando sant'Ignazio di Antiochia - ha ricordato essere essa stessa colei che presiede nella carità  a tutte le Chiese, insieme al fatto di essersi riferito sempre a se stesso come a vescovo di Roma senza mai pronunciare la parola "papa" è gesto ecumenico che non mancherà di dare presto i suoi frutti.
E sono questi i segnali che fedeli (e certa stampa) dovrebbero cogliere, più che i falsi segnali di croci più o meno dorate o di macchine più o meno lussuose.
La vera riforma della Chiesa e della Curia ha bisogno di ben altro e sarà fatta davvero - ne siamo convinti - su cose più sostanziali che non quelle che riguardano l'estetica.
Altrimenti si correrà il rischio di far apparire Benedetto XVI come un papa amante del potere e del lusso: cosa che sappiamo tutti non essere assolutamente vero, proprio per lo stile sobrio della sua vita povero e umile sia prima che dopo l'elezione a papa.
La rivoluzione non è la mancanza di mozzetta(che io filialmente avrei consigliato al papa di mantenere proprio per evitare di indicare alla stampa e ai meno accorti un falso indirizzo di rifporma: la mozzetta è un abito corale che usano tutti da canonici in su fino al papa al di là della foggia e perciò non è un tipico segno del potere papale!): la rivoluzione è la preghiera corale del popolo di Dio che lui stesso ha sollecitato ricordando che un vescovo ha senso solo se riconosce il sensus fidei presente nella Chiesa come sensus fidelium, se ricorda a se stesso di essere servo di quel popolo ( e il papa servus servorum Dei!).
Un gesto profetico che ogni vescovo dovrebbe assimilare ed imitare!
Questo ci fa ben sperare e di tutto ciò siamo grati al Signore: è vero, la Chiesa è sua, è viva e forse quel gabbiano, l'uccello dei mari aperti e grande simbolo di libertà, sul comignolo della Sistina l'ha mandato proprio lui, per ricordarci di prendere il largo, di non temere il mare aperto, di affidarci con fede a colui che ci apre nuovi spazi di  libertà.

martedì 12 marzo 2013

Il "mio" Benedetto XVI (terza parte)

Partecipai a Roma ai funerali di Giovanni Paolo II con grande commozione e Ratzinger che presiedeva il rito funebre pronunciò una mirabile omelia che si sentiva fosse uscita dal cuore e per niente formale.
Mi sorprese il clima di rispetto e di attenzione nei suoi riguardi da parte di tutti gli altri.
Tornato a casa seguii con attenzione i novendiali e le congregazioni preparatorie condotte dal Decano Ratzinger con una delicatezza che tutti gli riconosceranno.
Confesso che, conoscendo la falsa immagine che di lui girava nell'ambiente ecclesiale, in principio non pensai affatto che potesse avere chance come candidato al papato.
La coincidenza con la data del mio compleanno fece sì che come al solito avessi già progettato la mia permanenza a Roma e così arrivai proprio in tempo per partecipare in san Pietro alla Missa pro eligendo in cui Ratzinger fece una memorabile e coraggiosa omelia: lì c'era tutto se stesso e l'indicazione della rotta futura per la Chiesa. Non fece giri di parole, al punto che un signore vicino a me esclamò: "ma così si sta giocando il papato: se aveva qualche possibilità ora l'ha persa del tutto, nessuno lo voterà per quello che ha detto".
"no - risposi io - questo dimostra la sua correttezza e la sua onestà intellettuale. E soprattutto il fatto che non tiene al potere. Neanch'io prima pensavo a Ratzinger come papa: dopo questa omelia sono sicuro che, se i cardinali sono altrettanto seri, il papa sarà lui". Ma non riuscii a far superare al mio vicino il suo scetticismo.
Da allora decisi di pregare per lui. Rimasi nella cappella del santissimo sacramento fino a quando non cominciò il rito dell'ingresso in conclave che seguii dagli schermi in piazza. Mi piazzai in un angolo, guardavo lo schermo pregavo e non mi mossi da là se non per andare a dormire.
L'indomani feci scorta di panini, acqua e giornali e mi piazzai sotto la statua di San Paolo. Aspettando le fumate. La lunga attesa si riempì di incontri con vescovi, sacerdoti, suore e gente semplice che venivano lì a pregare. La piazza sembrava una chiesa a cielo aperto. Rimasi lì tutto il giorno, anche a pranzo, dopo la fumata grigia... Nel pomeriggio si sedette accanto a me una giovane signora: parlava con entusiasmo del Cardinale Ratzinger, quando le dissi che condividevo la sua stima, mi invitò a dire il rosario con lei per lui. Appena il tempo di finire che viene fuori la fumata bianca. Colse così di sorpresa che non partivano le campane e da dove eravamo noi seguimmo le telefonate e i gesti dei cerimonieri che dovettero far capire che il papa era stato eletto! Neanche prima di fare esami ho trepidato così tanto: i minuti sembravano interminabili... Poi l'annuncio: al "Josephum" sudai freddo e poi capii solo che la signora saltava e mi abbracciava (poi scoprii la sera chi era, intervistata in una tv a proposito della sua amicizia con Ratzinger!!!).
Chi mi conosce sa che sono un tipo compassato e riservato e che non sa mettere fuori i propri sentimenti facilmente. Invece per la prima volta in vita mia mi trovai coi piedi sulla sedia a gridare a squarciagola la mia gioia e a piangere e ridere contemporaneamente: mi meravigliavo io stesso della mia reazione! Che non fu di tutti: al sentire il suo nome due giovani tedeschi dissero "NOOO" e scapparono via di corsa come inseguiti da un cane rabbioso facendosi largo tra la folla che cominciava ad arrivare.
Quando Benedetto si affacciò notai i polsini del maglione nero sotto la talare bianca: dissi che fino alla fine ha sperato di non essere eletto, altrimenti si sarebbe preparato i gemelli! Ma l'umiltà è stata la nota dominante di tutta la sua vita: se ne è andato con lo stesso vecchio orologio col cinturino di cuoio che portava quando è stato eletto!

lunedì 11 marzo 2013

Sarà Gregorio Papa?


Frate AR che modera il blog "Cantuale Antonianum" aveva proposto per il nuovo papa il nome di Gregorio.
Poi i cardinali hanno scelto la data del 12 marzo.
Ed è singolare la coincidenza: il 12 marzo è la data della morte del grande San Gregorio Magno, il papa della riforma della Chiesa, del canto che da lui prende il nome...
Ecco come il martirologio romano lo presenta:
<<Memoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa: dopo avere intrapreso la vita monastica, svolse l’incarico di legato apostolico a Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre. Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale. Morì il 12 marzo.
(12 marzo: A Roma presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I, papa, detto Magno, la cui memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua ordinazione)>>.
Frate AR può essere felice.
Ma sarà e saremo ancor più felici tutti se il nuovo papa sarà davvero Gregorio.
Magari anche nel nome.
Ma speriamo, al di là del nome, che sia un Gregorio di fatto: santità di vita, solidità di dottrina, vero Liturgo del popolo cristiano, riformatore dei costumi corrotti della Chiesa, annunciatore di Cristo povero al mondo.

Oremus pro eligendo pontifice: Veni Creator Spiritus, Veni Sancte Spiritus!

domenica 10 marzo 2013

PER COMPRENDERE LA RINUNCIA DI PAPA BENEDETTO XVI AL MINISTERO PETRINO



Non si riuscirà a comprendere a pieno la portata profetica del gesto di Papa Benedetto, se non si parte dalla comprensione fondamentale di cosa sia realmente il papa e il papato.
Il papa niente altro è che il Vescovo della diocesi di Roma. Una diocesi sui generis perché è la sede di Pietro, creato primo tra gli Apostoli da Cristo e pertanto, nella tradizione della Chiesa, chi succede a Pietro nella cattedra episcopale di Roma eredita anche il suo munus particolare, non solo di guida della diocesi di Roma ma di guida e centro visibile della comunione di tutta la chiesa cattolica. In pratica la Chiesa qui sulla terra è costituita dalla diocesi di Roma e da tutte le diocesi in comunione con essa, così che il vescovo di Roma, successore di Pietro, e i tutti i vescovi, successori degli apostoli, in comunione con lui ripresentino il primitivo collegio di Pietro con gli Apostoli, e perciò come Pietro fu capo degli apostoli, così il papa è il capo del collegio dei vescovi.
Il fatto che il papa sia vescovo di Roma è ancora indicato dal fatto che la sua elezione sia riservata ai cardinali. Chi sono questi? Idealmente questi costituiscono il clero della diocesi di Roma, cui da sempre è spettato il diritto di eleggersi il suo vescovo. Un tempo erano effettivamente i diaconi, i parroci e i vescovi delle città vicine (suburbicarie) a Roma, adesso il titolo di cardinale-diacono è dato ai capi dicastero della Curia, quello di cardinale-presbitero ai vescovi delle città più importanti del mondo (ad esempio il Cardinale di Palermo ha il titolo di Santa Maria Odegitria dei Siciliani), quello di cardinale-vescovo alle più alte cariche della Curia. Inoltre al collegio cardinalizio sono aggiunti i patriarchi delle antiche chiese orientali: questo fa sì che da un lato sia mantenuta la tradizione antica della elezione del papa dal clero di Roma e dall’altro assicura che la sua figura sia veramente espressione della chiesa universale.
Il romano pontefice è quindi un vescovo: la sacramentalità è connessa all’episcopato e non tanto al ministero petrino in sé, perciò, sacramentalmente parlando, la dignità del vescovo di Roma è pari alla dignità di un qualsiasi vescovo della Chiesa di Cristo. In questo senso, come successore di un apostolo, è costituito vicario di Cristo, così come qualsiasi altro vescovo, giacchè è il collegio apostolico nel suo insieme ad essere vicario di Cristo. Che questo titolo sia rimasto nell’uso frequente al papa, non ci deve ingannare sul suo significato teologico, così come lo stesso titolo di papa, che significa “padre”, di per sé è un residuato di un titolo greco che fino ad oggi è dato (papàs) ad ogni prete, e finanche il titolo di “santità” nella chiesa antica era un titolo con cui ci si salutava scambievolmente tra cristiani. Rimanere legati ai titoli, ma decontestualizzati, potrebbe portarci ad una comprensione sbagliata del ministero petrino.
Quindi il papato non è un sacramento, così come il cardinalato non è un sacramento: il sacramento dell’ordine ha solo tre gradi, episcopato, presbiterato e diaconato.
Diversa è invece la considerazione da fare per quanto riguarda la giurisdizione, cioè la capacità di esercitare una auctoritas, una potestas regiminis nella Chiesa. Il sacramento è alla base (che comporta il munus docendi e il munus sanctificandi ma non il munus regendi), per cui non si può esercitare una vera potestas ecclesiastica senza essere ordinati, ma la potestas non risiede nel sacramento dell’ordine. Per l’ininterrotta tradizione della Chiesa, il papa appena accettata la sua elezione, riceve la potestà di governare la diocesi di Roma e la potestà di governare tutta la Chiesa col ministero petrino, direttamente da Dio e sarà da lui che ogni vescovo riceverà la potestà di governare la sua diocesi particolare, ma solo la sua diocesi e basta. Invece il munus docendi e sanctificandi, come qualsiasi altro vescovo, li riceve con la sua consacrazione episcopale: ecco perché il canone prescrive che se l’eletto papa non è vescovo deve essere immediatamente ordinato vescovo prima di compiere qualsiasi altro atto.
Perciò, dato che la sua potestas è ricevuta da Dio all’atto dell’elezione, il papa può anche rinunciare all’esercizio di questo ministero rimettendolo nelle mani di Dio (e perciò non occorre che nessuno riceva o accetti la rinuncia e non si può parlare di dimissioni). Questo comporta anche la rinuncia alla sede episcopale di Roma perché di fatto i due ruoli sono connessi anche se distinti (ad esempio il Papa ha due Curie: una per guidare la Chiesa univerale e un’altra per guidare la diocesi di Roma): il pensare il papa come ad un super vescovo o come ad un capo dei capi (mi si passi l’espressione) potrebbe indurre a pensare erroneamente che il papato sia un sacramento ulteriore (che metta in secondo piano l’essere vescovo di Roma), o che si possa rinunciare a fare il papa rimanendo per assurdo vescovo di Roma! Quindi, a proposito della discussione su quali titoli dare in futuro a Benedetto XVI è chiaro che sarà solo "vescovo emerito di Roma" o anche "Romano Pontefice emerito" e perciò "papa emerito": che poi per cortesia lo si continui a chiamare "santità" e col nome di Benedetto (come un ex primo ministro o ex capo dello Stato si continui a chiamare "presidente") questo non inficia il titolo che gli compete per diritto o ipoteca l'esercizio di un potere nei riguardi del nuovo papa, giacché emerito significa nel diritto proprio chi non esercita più un ufficio, e quindi nessun pericolo che ci siano nella Chiesa due papi come non ci sono mai in una diocesi due vescovi ma solo uno nel suo ufficio e l'altro solo emerito.
Quanto detto finora ci porta alla considerazione del papato come l’esercizio del ministero petrino a servizio della Chiesa universale: cioè ad un ruolo per il bene della Chiesa tutta, un ruolo le cui modalità possono anche variare nel tempo ma che non ne intaccano l’essenza.
Una cosa sola è essenziale in questo servizio: la promozione dell’unità della Chiesa nella confessione di una sola fede. Il resto è contorno.
Questo ci spinge a mettere da parte qualsiasi concezione devozionale riguardante più il papa in sé che non il suo ministero e il fine stesso del suo ministero: il bene della chiesa. Ogni altra visione, per quanto affascinante che sia, ci fa correre il rischio di non vedere l’essenza del ministero papale.
Si racconta che San Giovanni Bosco abbia rimproverato aspramente i suoi ragazzi che gridavano “Viva Pio IX” ammonendoli di dover gridare sempre e solo “viva il papa”: perché ciò che interessa è non il nome del papa, ma il suo ruolo. Non chi siede sulla Sede di Pietro, quanto la stessa Sede. C’è stato purtroppo uno scivolamento negli ultimi tempi nella considerazione della figura del papa che non ha fatto bene al papato! Una sacralizzazione della figura del papa stesso che ha fatto correre il rischio di staccare il papa dal contesto ecclesiale di riferimento: paradossalmente era meno sacrale la figura del papa quando questi era recato col triregno sulla sedia gestatoria e ci si chinava davanti a lui “al bacio del sacro piede” e si sperimentava l’esercizio di una potestas in un continuo confronto nel concistoro coi cardinali collaboratori (perché se un Re può arrivare a dire “lo Stato sono io”, un Papa non può mai dire “la Chiesa sono io”) che non nell’ultimo secolo, quando un’apparente desacralizzazione ha invece dato la stura ad un’interpretazione monocratica della chiesa a tutti i livelli (dal papa ai tutti i vescovi che si sono sentiti sostenuti nella loro interpretazione monarchica e falsamente conciliare dell’episcopato).
Ed eccoci arrivati al dunque: se quello che conta è il ministero e il fine per cui è esercitato, il bene della Chiesa, allora si può rinunciare al ministero, qualunque sia? Certo, anzi a volte, proprio per il bene della Chiesa è doveroso. E anche il papa deve sempre porsi questa domanda, come qualsiasi altro nella Chiesa svolga qualche servizio. Perché quello che interessa è che la Chiesa, in ogni momento debba essere all’altezza della sua missione nel mondo. La Chiesa non può “perdere tempo”, perché sa che siamo ormai nel tempo dell’attesa della Sua venuta, per cui si deve mantenere sveglia ed attiva. Non è una considerazione attivistica, efficientistica, ma teologica, sacramentale. E’ questa considerazione che ha portato il Concilio e Paolo VI a fissare, ad esempio, l’età dei 75 anni per le dimissioni dei parroci e dei vescovi: date le condizioni della società e dei tempi moderni, si può continuare ad avere la responsabilità di una comunità, anche se si fosse in buona salute, ma certo non più con quelle energie intellettive e spirituali che occorrono per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime? Non è sotto gli occhi di tutti che tante diocesi e parrocchie nascono – crescono - si sviluppano - e muoiono insieme all’età e all’invecchiamento dei loro pastori?
Ecco perché Papa Benedetto ha rinunciato al suo ministero. Ed è una idea che ha sempre avuta. Lo ha scritto in tempi non sospetti, lo ha detto in interviste, lo aveva suggerito a Giovanni Paolo II nell’ultimo periodo della sua decadenza fisica. Lo aveva fatto intuire quando depose sull’urna di Celestino V il suo pallio usato per la messa di intronizzazione.
Non c’è nessuna dietrologia da fare e non sono stati gli ultimi avvenimenti drammatici che lo hanno spinto e quasi obbligato a rinunciare: chi scrive ciò sa di mentire, perché la sua decisione era presa da più di un anno e lui la voleva rendere operativa per il compimento del suo 85° compleanno. Se è rimasto è perché non ha voluto lasciare la barca di Pietro durante il mare in tempesta degli scandali: ha detto che si può scendere solo quando il mare è sereno. E’ stato il suo modo di rimanere abbracciato alla croce di Cristo: con Giuda il traditore accanto. Se lo ha fatto invece ora è perché ha riconosciuto che la tempesta è passata: il suo è dunque un messaggio di speranza: la Chiesa è viva ed è pronta a riprendere nuovamemente il largo. Con nuove forze e un nuovo papa. E’ il contrario di quanto vorrebbe farci credere la coltre dei mass media puntando su una chiesa vecchia, corrotta e moribonda. Ma noi sappiamo che non è così. 

sabato 9 marzo 2013

Vi parlo del "mio" Papa Benedetto XVI (seconda parte)

Ho avuto la fortuna di avere un amico a Roma che spesso mi ha ospitato in un appartamentino proprio a ridosso quasi del Palazzo del Sant'Uffizio. E tante volte quando sono stato libero da altri impegni ho voluto trascorre il giorno del mio compleanno a San Pietro. Confesso che dopo la colazione, la mattina mi avviavo all'inizio del colonnato giusto in tempo per bearmi di una scena sempre uguale che per me era di grande consolazione: un po' prima delle nove, arrivava il Cardinale Ratzinger da Borgo Pio dove abitava, talare nera da semplice prete, basco nero, una vecchia cartella di cuoio, attraversava in diagonale piazza S. Pietro e poi passando per l'altro colonnato arrivava puntuale alle nove al suo ufficio. Tante volte mi sono detto: ecco ora lo fermo e gli parlo. Poi però non riuscivo a pronunciare nemmeno una parola: solo un cenno col capo e un flebile buon giorno e comunque lui sempre umilissimo e gentilissimo rispondeva sorridendo e chinando anche lui il capo, col suo "buonciorno"! Mi faceva impressione quel cardinale che andava a lavorare a piedi come un semplice prete, quando tanti monsignorini di curia arrivavano con macchine di lusso, agghindati e azzimati. 
L'anno che uscì il suo libro sullo spirito della Liturgia avrei voluto fermarlo per dirgli quanto gli ero grato per avermi aperto un orizzonte nuovo nella comprensione dell'esperienza liturgica, però quando lo incontrai lì in piazza mi sembrò più curvato e pensieroso del solito, per cui incrociandolo gli dissi solo "buon giorno eminenza, buon lavoro", lui rispose al solito "buonciorno", però alzando lo sguardo si accorse dal colletto che ero prete e sorridendo nuovamente mi disse "grazie padre, buon lavoro anche a lei".
Erano gli anni in cui stava combattendo la sua solitaria battaglia contro lo scandalo della pedofilia nella Chiesa, chiedendo al papa norme più rigide e adeguate, che tardavano ad arrivare anche per la grande opposizione della Curia (Segretario di Stato in testa, Sodano e dell'entourage di Giovanni Paolo II). 
Era un bubbone cresciuto nella Chiesa degli anni '80 e che tutti conoscevano ma di cui nessuno aveva il coraggio di parlare. Un mio compagno di studi alla Gregoriana tra il 1986 e il 1988 proveniente dagli Stati Uniti mi aveva raccontato tutto e mi aveva detto che tempo 15-20 anni sarebbe scoppiata questa bomba nella Chiesa. I fatti gli hanno dato ragione. Però quando lui disse cosa stava avvenendo nel suo e negli altri seminari, a Roma lo misero a tacere dandogli del lefevriano: il suo - così fu definito  - era un attacco alla modernizzazione della Chiesa e rivelava un'idea nostalgica e tradizionalista del sacerdozio, al punto che prima della ordinazione sacerdotale la Curia gli impose di giurare sull'accettazione de Concilio Vaticano II. Questo conferma la lucida analisi fatta da Ratzinger sul rapporto tra un certo modo di intendere la sessualità, la Chiesa e il sacerdozio nel post-concilio.
Ma Ratzinger non si è dato mai per vinto. Fino ad ottenere le nuove norme sui Delicta Graviora per la Congregazione della Dottrina della fede. Ma lo ha indicato anche con gesti che già da allora furono dirompenti: quando ad esempio fu l'unico cardinale a non prendere parte ai festeggiamenti per quel Maciel, prete fondatore dei Legionari di Cristo, scoperto poi come drogato, alcolizzato, bigamo, pedofilo, incestuoso e tanto altro ancora di innominabile. Festa a cui fecero partecipare Giovanni Paolo II (cosa inaudita nella storia) e con un tentativo di subornare Ratzinger con una busta di migliaia di euro che lui respinse subito al mittente!
Si capisce che il suo primo atto da papa fu mandare Maciel in una cella di clausura fino alla morte e di commissariare l'ordine da lui fondato (mentre altri prelati partecipavano alle nozze solenni della figlia del Maciel!).
Non per nulla il suo gesto di denuncia arriva a farsi quasi grido profetico in quella via crucis del venerdì santo quando lui denuncerà al mondo la sporcizia della chiesa, specie dei preti che usurpano del loro ministero, specie del sacramento dell'eucaristia e della confessione: questo gli provocò il rispetto dei fedeli di tutto il mondo e anche di tanto onesto mondo laico; ma anche la vendetta della Curia che - come ogni vendetta gli fu servita fretta - dopo averlo acclamato papa per farne un capro espiatorio di malefatte avvenute tutte sotto i pontificati precedenti, specie l'ultimo, ma che non potevano e non dovevano essere addossati su un papa che, per metterlo al riparo da ogni critica- fu fatto acclamare "santo subito" fin dalla sua morte, con un'abile strategia quasi da marketing mondano. (2 continua)

Non siamo ingenui...

...perché il cristianesimo ci fa essere realisti, coi piedi a terra: e perciò sappiamo che se anche l'alta direzione, per così dire, del conclave è dello Spirito Santo che soffia  dove vuole, però c'è sempre il rischio che l'uomo, nella sua libertà non risponda alla ispirazione dello Spirito e diriga i suoi passi verso altre strade!
Perciò, pur nella fede piena nel Dio che guida il cammino dell'uomo facendo alla fine diventare dritte  le vie storte, è lecito nutrire alcune perplessità sul modo con cui è stata gestita e vissuta la fase del preconclave e della sede vacante.
Se fosse morto un papa all'improvviso avremmo potuto comprendere alcune cose, ma il papa ha annunciato la sua rinuncia l'undici febbraio e la sede è diventata vacante il 28.
Quindi c'era tutto il tempo ad esempio per i cardinali, anche i più lontani di programmare il loro viaggio a Roma.
Già mi è sembrato un grandissimo atto di scortesia umana (per non dire altro) che non tutti i cardinali siano stati presenti il 28 a salutare il papa: comprendo chi è in Vietnam, ma che non ci fossero il tedesco Lehmann e un polacco e altri la dice lunga sulla vera qualità dei rapporti tra cardinali e papa Benedetto. 
Così come è impensabile che altri abbiano ritardato il loro arrivo a quasi un mese dopo la rinuncia del papa.
Altro fatto: sappiamo che l'allora decano Ratzinger era favorevole ad un maggior contatto con la stampa e che furono i cardinali ad imporre il segreto sulle congregazioni generali prima del conclave dopo la morte di Giovanni Paolo II. 
Lo abbiamo detto anche prima è il vizietto tutto curiale di imporre il segreto per poi far uscire da fonti "anonime" quello che si vuole far arrivare per gestire macchinazioni che tutto hanno tranne che di parresia evangelica. 
Ancora da papa, Benedetto XVI ha sempre ringraziato i giornalisti perché fanno il loro dovere (anche quando da questi è stato trattato male ingiustamente): il problema è un non risoluto e sereno rapporto con "l'opinione pubblica" ecclesiale nel senso più alto e più bello del termine, cioè della condivisione e della partecipazione del sensus fidei che è sempre sensus fidelium. 
Se tutti siamo Chiesa, abbiamo diritto che tutto si dica e si svolga alla luce del sole: quale scandalo ci potrebbe essere per un fedele il sentire un cardinale che in una congregazione parla della situazione più o meno bella della Chiesa è indica prospettive future di rinnovamento e conversione? Ne potrebbe uscire solo edificato. 
O un certo clericalismo pensa ancora a fedeli sempre piccoli ed immaturi?
O ancora l'idea tutta curiale che i panni sporchi si lavano in casa? 
Ma papa Benedetto ci ha insegnato (contro la curia) che i panni sporchi la chiesa non ha paura di lavarli e stenderli all'aperto davanti a tutti: perché non dovremmo avere niente da nascondere o di cui vergognarci. 
Ecco perché a suo tempo pubblicai ad esempio un post encomiastico sul cardinale Dolan. 
Questo è il momento in cui la Chiesa è chiamata ad abbandonare alcune logiche mondane: ora o mai più, se non si vuole vanificare lo stesso gesto di rinuncia di Papa Benedetto.

venerdì 8 marzo 2013

CAVOLATA O COS'ALTRO?

Cari amici lettori,
ero sul punto di riprendere il mio ricordo di papa Benedetto, quando ho letto di un twitt, un cinquettio venuto guarda un po' dalla Segreteria di Stato che invita a pregare per il nuovo pontefice.
Fosse così niente di male.
Però mi chiedo: che senso ha che un primo cinguettio lo mandi la Segreteria proprio ora, in stato di Sede Vacante. Bertone è Camerlengo e non più segretario di Stato. Ma allora chi ha deciso di mandare il twitt?
E poi tra tutti gli account da scegliere perché proprio Terza Loggia?
Chi sa che la Segreteria di stato è situata proprio nella Terza Loggia del Palazzo Pontificio?
Purtroppo in Italia la parola Loggia evoca ben altra realtà: le logge massoniche.
E se fosse un messaggio in codice?
Una mobilitazione per orientare l'elezione del nuovo papa?
Che alcuni cardinali e monsignori siano iscritti alla massoneria questo lo sanno tutti anche se tutti lo negano.
Ma non vorrei scoprire dopo la P2 che la P3 sia proprio la Terza Loggia in Vaticano.
Fantapolitica?
Forse.
Ma questo spiegherebbe il silenzio imposto ai cardinali statunitensi per far sì che i cardinali italiani continuino il giochino tutto curiale di fornire informazioni anonime a giornalisti amici, così da poter gettare vigliaccamente il sasso nascondendo la mano. E bruciando probabili candidature.
Se così fosse proprio non vorrei svegliarmi domani con un papa massone.
E siccome tutti sappiamo che tante manovre sono tutte italiane, di italiani o anche di stranieri che per aver lavorato in Curia hanno imparato tutti i vizietti italiani dei loro colleghi, allora tifo sempre di più per un papa straniero e che in Curia a Roma non ci abbia mai messo piede.
Solo così la pulizia imposta da Papa Benedetto potrà continuare.
Perciò cari amici, pregare pregare pregare!

venerdì 1 marzo 2013

E ora finalmente lasciate che vi parli del "mio" Benedetto XVI (Prima parte)


Quando gli vidi mettere il pallio della sua elezione papale sull’urna di papa Celestino V, all’Aquila, capii subito che lo avrebbe seguito in quel gesto: perché il dono di quel pallio era in un certo senso il modo per riabilitare la figura dell’eremita Pietro da Morrone (qualora ce ne fosse di bisogno, perché la Chiesa venera Celestino come Santo, ma forse per spingere la tradizione tutta italiana a smetterla di applicare a Celestino il verso dantesco “di colui che per viltà fece il gran rifiuto” e che in verità non indica affatto la figura di questo santo papa) e quindi di far leggere positivamente il gesto della rinuncia al papato da parte di un romano pontefice. Fu un pensiero che non osai confessare nemmeno a me stesso e che, quando ritornava, per la suggestione di altri segnali che il papa mandava, rifiutavo di accettare perché l’affetto che ho sempre provato per lui mi spingeva a sperare che questo gesto fosse stato da lui ipotizzato ma non realizzato o comunque messo in atto il più tardi possibile.
Il mio timore (ma anche la mia certezza) si sono acuiti quando l’anno scorso due giornalisti, Socci e Ferrara, avevano il primo dato la notizia che il papa si stava preparando alla rinuncia e il secondo che la considerava come verosimile, anzi la auspicava come il colpo d’ala che avrebbe dato visibilità e futuro al magistero di Benedetto XVI facendolo uscire dalle secche in cui una curia inefficiente e un episcopato inetto l’avevano fatto incagliare. Li presero per sciacalli che infierivano impietosi su un papa ancora vivo e un papato fecondo. Ma questo rivelava il fatto che tanti, dentro e fuori la Chiesa avevano (e hanno) continuato a leggere l’operato di questo papa in modo superficiale e sbrigativo, lasciandolo ingabbiato in quei pregiudizi con cui la stampa, ma anche una parte dell’opinione pubblica ecclesiale, lo aveva rinserrato, prima nel servizio alla Congregazione per la Dottrina della fede, e poi nel suo ministero petrino.
E’ come se, per applicare la sua stessa immagine da lui usata a proposito del Concilio, ci fossero stati il Papa Benedetto “vero” e quello “mediatico”, cioè quella mediato dai mass media (a volte magari strumentalmente usati da certe frange di ecclesiastici senza scrupoli: ricordate il caso Boffo?) che ci hanno data del papa un’immagine falsa e preconfezionata, o quantomeno superficiale perché il peccato originale di tanti vaticanisti (ma di tanti giornalisti e non giornalisti in genere) è quello di parlare per stereotipi e luoghi comuni, applicando cliché e frasi fatte, senza mai prendersi la briga, ad esempio, di andare a verificare quello che veramente avesse detto il papa in un suo discorso o in una sua omelia. Così se un giornalista fa un lancio facendo dire al papa una evidente e impensabile scempiaggine, tutti lì pronti a seguirlo senza scrupolo alcuno.
Invece il pensiero del teologo prima e del papa dopo è stato un pensiero così lineare e limpido che ci voleva poco a comprenderlo per quello che era realmente. Ma per chi è ammalato di dietrologia o è vittima dei suoi stessi pregiudizi, non c’è chiarezza che tenga: proprio per ciò si è avverato il paradosso evangelico che proprio i dotti non hanno compreso la grandezza di questo papa, e invece è stato amato e compreso dalla gente semplice, come dimostrano i suoi viaggi, dati sempre in partenza per fallimentari dalle intellighenzie  e poi rivelatisi sempre come veri trionfo di popolo; come dimostrano le sue udienze del mercoledì sempre super affollate in cui ha superato gli stessi record di presenza stabiliti dal pontefice precedente (ma chi lo ha mai detto?); ma come dimostra soprattutto l’affetto della gente umile che nelle due ultime settimane di pontificato ha voluto far sentire al papa la sua gratitudine e la sua vicinanza (e questo ha talmente commosso il cuore del papa che nella sua ultima udienza ha detto che più che dalle lettere dei potenti della terra è stato toccato dalle lettere della gente semplice che gli hanno aperto il cuore come ad un padre, un fratello un amico, ché questo si è sempre considerato e mai il re dell’ultima monarchia assoluta dell’Occidente).
A ben considerare, appunto, il fascino di questo papa è stato il saper conservare il suo animo di fanciullo, di un credere così ampio e articolato, fecondato dalla ratio,  che dalle alte cime della speculazione filosofica e teologica sa trarre il nutrimento per la sua fede, di una fede che niente altro vuole essere se non l’esperienza di un abbandono filiale tra le braccia del Padre. Una fede riassunta proprio in quella preghiera del mattino che magari tanti teologi e preti snobbano come esempio di una pietà devozionistica e che lui invece ha citato proprio nella sua ultima udienza come espressione della confessio fidei della Chiesa e del singolo credente. Confesso che in questo ho sentito ancora di più la sua vicinanza: perché quel “Ti adoro mio Dio e ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano...” ha tutto il sapore dell’infanzia, sono le parole che la mamma ti mette in bocca per educarti a sentire la tua vita sotto lo sguardo di Dio (ma lo fanno ancora?), sono le parole con cui ancora io prego, le prime parole al risveglio, nelle mie albe solitarie, spesso le uniche quando l’amarezza ti spezza il cuore, e tu in quella preghiera ti senti accanto mamma e papà e insieme nel grembo di Dio.
Già, papà e mamma, i genitori e l’esperienza di una famiglia serena che Papa Benedetto ha portato sempre nel suo cuore, al punto di rispondere, a chi glielo domandava, che per lui il Paradiso sarà il recupero di quella gioia serena di quando da piccolo andava per i boschi con i suoi genitori e suo fratello e sua sorella nei giorni di festa. Se per assurdo avesse detto solo queste parole nel suo magistero lo avrei amato solo per queste: perché in queste ho ritrovato anche la mia pena e il mio dolore e tutta la voglia di andare in cielo dove poter riprendere a passeggiare coi mie genitori.
Che questa è stata la grandezza di papa Benedetto: di saper dare suono e parola e forma a quanto ognuno di noi ha spesso sentito e non è mai riuscito ad articolare ed esprimere. Parlando col cuore, dal suo cuore, per toccare il cuore della gente. Cor ad cor: con le parole del Cardinale Newman che lui ha voluto beato.
E un cuore così non può concepire il male (a proposito del suo maggiordomo ha appunto detto che gli riesce proprio incomprensibile quanto ha fatto): quanto siamo lontani dal panzercardinal o dal pastore tedesco, come ci hanno far voluto credere concepisse il suo ruolo di difensore della fede! Un difensore che non ha mai condannato nessun eretico né ha mai mandato al rogo (nemmeno mediatico) nessun teologo: l’unica punizione che riuscì ad “infliggere” a Leonardo Boff, uno dei preti marxisti padri della teologia della liberazione in America latina, fu invitarlo a Roma a prendere il caffè con lui mentre cercava di comprendere le sue tesi, che erano più manifesti politici che riflessioni teologiche, tanto mondane che da lì a poco il detto lasciò i francescani e prese moglie.
Perché se c’è una caratteristica di base, che tutti ammettono, anche chi è lontano dalla fede ed ha avuto modo di incontrarlo, è la sua dolcezza e la sua umiltà.
Ero diacono, e fui chiamato a servire presso la chiesa dei Rogazionisti a Roma per la festa di Sant’Antonio da Padova. La doveva celebrare il cardinale Ratzinger. In sacrestia eravamo tutti tesi e in silenzio aspettando il suo arrivo. Poi abbiamo visto un volto che si affacciava ed un uomo minuto che entrava in punta di piedi, facendo un cenno di stare comodi, quasi scusandosi lui di stare per scomodarci. Lo aiutai a rivestirsi dei paramenti in silenzio, intuii che lui già pregava. Sono stato così coinvolto ed ammirato del suo modo di celebrare che rimasi quasi imbambolato. Tra me e me dicevo: starà ridendo di me per la mia goffagine. Perché non potevi fare a meno di farti attrarre dai suoi occhi. Perché lui ti guardava: si, ti parlava con lo sguardo. Ho incontrato tre volte Giovanni Paolo II ma non sono mai riuscito ad intercettare il suo sguardo: in tutte le foto ricordo che ho si vede come non ti guarda, fissa altrove… al punto da chiederti se realmente ti avesse visto, lo avessi  incontrato. Con Ratzinger no: tutta la sua minuta figura è là, concentrata nel suo sguardo…
Dopo la messa ci fu la processione e lui inaspettatamente disse che rimaneva: girammo per il quartiere tuscolano e sembrava una delle nostre processioni, la banda dei vigili urbani di Roma, i canti della gente, le bombe… e lui divertito e sorridente come un bambino (poi compresi dai suoi scritti che questo gli ricordava la sua Baviera, la sua infanzia, l’essenza del cattolicesimo che mette insieme per la festa del santo la messa e la sagra paesana: ah quanto abbiamo ancora da apprendere da lui!).
Avevo letto la sua intervista a Messori, Rapporto sulla fede, gli avrei voluto dire che condividevo la sua analisi sulla situazione della Chiesa… ma gli rimasi accanto imbambolato senza saper pronunciare una parola, solo guardandolo… ogni tanto certo  si accorgeva che lo guardavo e mi sorrideva. Poi al rientro ci salutò timidamente uno per uno, informandosi: gli dissi che ero al Collegio Lituano per studiare diritto canonico alla Gregoriana: “bene, bello, auguri per i suoi studi”. Riuscii a dire solo grazie e notai che dava del Lei a tutti, anche ai giovani ministranti. Non volle rimanere per il rinfresco e allora scoprii una cosa: mi dissero che mai nessun parroco era riuscito a fargli accettare una busta, un’offerta, un invito a cena dopo una festa, dopo una cresima, mai! Mi dissero: fa una vita parca, ritirata, da monaco. E quanto non spende per libri va in carità. Non frequenta salotti, non si è fatto intruppare in nessuna cordata curiale, non è espressione di nessuna lobby, si tiene al largo dal chiacchiericcio mondano, specie da quello ecclesiale.
Se prima ero stato conquistato dal Ratzinger intellettuale, adesso cominciava ad affascinami anche da uomo e sacerdote.
                                                  (continua)

IO ACCUSO…

Tra epidemia e calura estiva è passato sotto silenzio un importante responso della Congregazione della Dottrina della fede e approvato in pr...