Premessa: la Bibbia non è un trattato di filosofia, né di morale.
In modo paradossale voglio
iniziare questa riflessione con una provocazione: mentre affrontiamo una
tematica legata all’eros, dobbiamo fare una costatazione: che nella Bibbia la
parola eros (nell’equivalente ebraico della idea di
sensualità-sessualità) non si trova!
Così come non si trova la
parola sesso.
E non perché la Bibbia sia un
libro pudico di meditazione per bigotti e devoti: in questo senso spazziamo via
ogni equivoco dicendo che la Bibbia non è un trattato di filosofia, né di
morale, né – oserei dire – nemmeno di religione, ma perché il linguaggio
biblico – e la mentalità ebraica che vi è sottostante – non procede per asserzioni
logiche e dimostrazioni assiomatiche, quanto invece utilizza soprattutto la
lingua del racconto e delle immagini, insieme alla riflessione profetica e
sapienziale, spesso giocata su parabole ed allegorie. Senza dimenticare che poi
c’è anche un consistente numero di testi prescrittivi e legislativi inseriti
nella parte storico-narrativa.
Questa triplice tipologia di
linguaggio pressappoco distingue le tre parti della Bibbia:
- Il Pentateuco e i libri
storici;
- I libri profetici;
- I libri poetico-sapienziali.
Con una avvertenza: che il
Pentateuco è chiamato complessivamente tutto Torà, cioè Legge – Insegnamento, e
ha tutto valore prescrittivo, non solo nelle parti di corpi legislativi
contenuti in esso.
Haggadah e halakah
Mi si permetta qui una digressione
per far comprendere cosa intendo dire: quando noi pensiamo alle parole “Legge”
oppure “comandamenti” pensiamo subito ai 10 comandamenti e facciamo una
equivalenza tra questi e la Legge. In verità per gli ebrei la Torà è tutto il
pentateuco e sono quindi “legge” tutti i verbi scritti all’imperativo, in tutto
613, tra positivi (365 come i giorni dell’anno) e negativi (248 come le membra
del corpo umano): ed esempio il 1° comando storicamente in assoluto è “crescete
e fruttificate” dato all’uomo e alla donna per cui per l’ebraismo è impensabile
che un uomo non si sposi e non faccia figli! E infatti non ci sono parole
equivalenti per esprimere l’idea di castità, celibato e simili …
Perciò quando si studia la
Bibbia e la ricerca è finalizzata a scoprirvi norme di vita si parla di halakah
(che viene dal verbo camminare) cioè del rinvenimento in esso di regole per
il cammino della vita.
Si parla invece di haggadah
(cioè del racconto) per riferirsi alle parti storico – narrative del testo
biblico spesso rilette con il metodo del midrash che è invece il modo
con cui si ricerca la comprensione del testo biblico ( viene dal verbo darash
che significa appunto investigare) e la ricerca è fatta cercando anzitutto di
spiegare una storia biblica mettendola in confronto con altre storie bibliche,
in una situazione di contemporaneità: ad esempio nella Bibbia letta dal midrash
è sempre lo stesso asino nelle storie di Isacco, di Salomone, della fuga in
Egitto e dell’ingresso a Gerusalemme! Ma anche qui dobbiamo fare una avvertenza:
per gli ebrei la Bibbia non è solo il testo scritto, ma è anche la sua
interpretazione rabbinica tramandata in principio per via orale , perciò detta
ancora oggi Torà orale rispetto alla Torà scritta, la cui origine si fa
risalire allo stesso Mosè. Perciò leggere oggi il testo biblico significa non
solo fare riferimento alla Parola scritta ma anche al complesso di
interpretazione e commento di questa da parte dei rabbini che ha originato il
complesso sistema ad esempio della Mishnà e del Talmud e che forma
l’equivalente della nostra Tradizione.
Dunque, sinteticamente si può
dire che la Bibbia narra anzitutto storie, storie di uomini, a volte proprio
umane, troppo umane direbbe qualcuno, ed è in queste storie che poi la fede
legge l’evento della rivelazione, il modo di agire di Dio con gli uomini. Ed è
anche da queste storie che vengono tratte fuori i principi etici e le norme
morali del comportamento umano.
I mille nomi dell’amore
In questo senso allora
dobbiamo dire che la Bibbia, pur non tematizzando il sesso (cioè non facendone
un argomento in sé indipendente), di fatto racconta storie in cui l’amore,
l’eros e il sesso svolgono un ruolo importante se non addirittura talvolta
principale. E se ne comprende il motivo, giacché se il 1° imperativo è il
crescere e fruttificare, allora gran parte delle storie girano intorno alla
ricerca di una moglie, di un marito, di un figlio.
E perciò la lingua ebraica non
avrà solo una parola ma saranno tante per indicare l’amore e il sesso in tutte
le sue varianti.
·
Hahav
·
shekav
Le “storie” della Bibbia
Se diamo dunque una scorsa alle storie d’amore della
Bibbia ne troviamo un vasto repertorio:
·
L’amore di Abramo e Sara;
·
Rebecca che si innamora a
prima vista di Isacco che la introduce nella sua tenda amandola e consolandosi
così della morte della madre;
·
L’amore di Giacobbe per
Rachele, che per averla deve sposare pure la sorella Lia;
·
L’amore di Mosè e Sefora;
·
L’amore tragico di Sansone
per la bella filistea che lo condurrà alla morte;
·
La predilezione di Elkana per
la sterile moglie Anna da cui nascerà il profeta Samuele;
·
L’amore di Tobia e Sara che
sconfigge il demone Asmodeo;
Non c’è sesso senza amore?
Ma abbiamo anche storie che
per la nostra sensibilità risultano quanto meno strane o ai limiti della
moralità:
·
le prime donne che sposano
gli angeli da cui nascono i giganti;
·
Il figlio di Noè che scopre
la nudità del padre;
·
il modo con cui Abramo si
comporta davanti al Faraone e al Re, nascondendo che Sara è sua moglie;
·
le vicende di Abramo per
avere un figlio tra Sara e la sua schiava Agar;
·
le figlie di Lot offerte
dal padre allo stupro di gruppo degli abitanti di Sodoma e Gomorra in cambio
della salvezza degli ospiti, episodio che ha un parallelo nel libro dei
Giudici, nella richiesta degli abitanti di Gabaa di abusare di un levita ospite
di ebreo, il quale concede loro in cambio la sua concubina vergine poi
violentata per tutta la notte;
·
le stesse figlie di Lot che
giacciono a turno col padre dopo averlo ubriacato per avere una discendenza;
·
la vedova Tamar che si
traveste da prostituta e seduce il suocero Giuda per avere una prole legittima
ed evitare la sua esclusione dal clan, dopo che Dio punisce il cognato Onan
perché disperdeva il seme a terra per evitare di mettere incinta la cognata;
·
la vendetta dei figli di
Giacobbe per lo stupro della sorella Dina da parte di Sichem nonostante la sua
voglia di riparare sposando la ragazza;
·
la moglie del funzionario
egiziano che vuole sedurre Giuseppe che deve fuggire nudo per sottrarsi alle
sue voglie;
·
Rachab la prostituta di
Gerico che salva gli esploratori mandati da Giosuè;
·
la concubina del levita di
Efraim offerta allo stupro in cambio della salvezza del compagno, il cui corpo
diviso in pezzi è inviato alle tribù d’Israele e diventa motivo di guerra
tribale;
·
la sventurata figlia di
Jefte offerta in voto dal padre, che piange la sua verginità con arrivata alle
nozze;
·
Acsa la furba figlia di Caleb
data in sposa come premio di guerra;
·
Debora che diventa giudice
di Israele meglio di un uomo;
·
Giaele che vince su Sisarà;
·
Rut la moabita che seduce
il parente per non essere scacciata da Israele;
·
Davide che rifiuta di avere
figli dalla moglie Mikal, figlia di Saul, che pur aveva voluto al prezzo dei mille
prepuzi dei filistei, per non dare all’odioso suocero una discendenza;
·
Davide che viene sedotto da
Abigail e che la sposa dopo che il marito muore.
·
Davide che seduce la moglie
del suo generale Urìa, facendolo morire avendolo messo in prima fila per
l’attacco alle mura di una città sotto assedio: e sarà questa Betsabea che
diventerà madre di Salomone;
·
E ancora Davide che in
vecchiaia per sopportare il freddo ha bisogno di una giovane vergine che gli
riscaldi il letto e lo riscaldi: però il testo biblico è attento a dire che non
si unì a letto e i rabbini a ribadire che non lo fece perché impotente ma
perché non volle!
·
Il figlio di Davide che si
ribella al padre e gli ruba le concubine e le possiede sul terrazzo della
reggia davanti a tutti mettendo in bella mostra il suo grande membro,
affermando che quello del padre al massimo poteva competere col dito mignolo
della sua mano;
·
I tre vecchioni invaghitosi
della casta Susanna, sbugiardati dal piccolo Daniele;
·
La storia di Ester ed
Assuero che usa il suo fascino a favore del suo popolo per cambiarne le sorti;
·
La storia di Giuditta che
usa la sua bellezza come arma contro Oloferne;
La storia: un ricordo lungo le generazioni
Le storie dei patriarchi
prima, e le storie delle dinastie regali che si sono succedute nel Regno di
Israele e Giuda, sono dunque storie non solo di battaglie e di conquiste, ma
anzitutto storie di uomini e donne che amano e si innamorano, storie di fedeltà
e infedeltà, di amicizie e tradimenti. Sono storie in cui l’affettività e la
spinta sessuale rivelano la grandezza e la miseria del cuore umano e si
intrecciano nel desiderio del figlio, della discendenza, della posterità che
assicura il futuro nella perpetuità di una memoria legata alla carne, specie in
tempi in cui nessuna riflessione aveva aperto le porte alla dimensione
trascendente e ultraterrena della vita.
Basti pensare al fatto che
nella Bibbia la parola storia non esiste e il suo posto è occupato dalla parola
“generazione (letteralmente: il frutto del parto)”: la Bibbia non dice “questa
è la storia di Abramo” ma “questa è la generazione di Abramo. Si comprende
perché Matteo, da buon ebreo, cominci il suo vangelo scrivendo “Libro della
generazione di Gesù Cristo”, cioè “libro della storia di Gesù Cristo.
Perché nella genealogia c’è il
passato, il presente e il futuro: Santucci nella sua vita di Cristo ha scritto
che in fondo siamo davanti alla storia del “seme” che da Abramo, di
eiaculazione in eiaculazione arriva fino al Cristo. Nessuna meraviglia che
allora in ebraico il verbo “ricordare” – zakar – sia usato pure per la parola
“maschio”, giacché il ricordo di un uomo passa di generazione in generazione di
padre in figlio.
Tante storie, dunque, nella
Bibbia sono storie di questa ricerca di memoria e di futuro, ricerca di
discendenza dove il sesso e la dimensione erotica sono finalizzati proprio alla
ricerca del figlio, magari superando lo scoglio della sterilità della donna.
E Dio vide che ciò era bello
Ma sbaglierebbe chi pensasse
che l’eros e la sessualità nella Bibbia siano finalizzati solo a quello che poi
il diritto canonico chiamerà il bonum prolis.
Questo bonum è
inseparabilmente legato al bonum coniugum cioè al benessere vitale dei
coniugi stessi: e non solo perché lo dice il codice, ma perché è la
testimonianza che ci viene dalla Bibbia che guarda alla dimensione sessuale ed
affettiva del maschio e della femmina come alla dimensione esistenziale
fondamentale e costitutiva della coppia, e non tanto come remedium
concupiscientiae – secondo la lettura pessimistica di Agostino – perché fondamentalmente per la Bibbia il corpo, il
sesso, l’eros e l’amore sono realtà positive, anzi col linguaggio della genesi
possiamo dire “buone e belle”.
Qualcuno si meraviglierà di
questa affermazione, magari pensando a taluni pregiudizi contro una certa
“sessuofobia” – presunta o tale della Chiesa – che qui non voglio toccare se
non per accenni e se non per dire che in ogni caso si tratta di deformazioni,
di percorsi deviati dal fiume principale della tradizione biblica, in epoche in
cui la Bibbia fa incontri sfortunati con certe ideologie: si pensi alla gnosi, al
platonismo e neoplatonismo, al protestantesimo che genera il rigido
puritanesimo che nega ogni gioia della vita, paradossalmente contro la lettera
della Bibbia esaltata nel sola Scriptura!
E invece la Bibbia è tutto un
canto alla gioia dell’amore e alla bellezza-bontà della creazione.
Lo fa anzitutto nel racconto
della creazione dove alla fine di ogni giornata creativa è detto: <<e
Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa buona>>.
Ricordo che in ebraico la
parola tov indica sia il buono che il bello: estetica ed etica, bontà e
bellezza coincidono, quindi si può dire che la creazione è buona ma anche
bella!
E inoltre, dopo che Dio crea
maschio e femmina, viene detto stavolta: tov meod, molto bella, molto
buona.
In Genesi c’è dunque non solo
una demitizzazione del cosmo – ridotto da espressione delle teogonie pagane a
semplice materiale naturale – ma anche il rifiuto di ogni dualismo manicheo o
qualsiasi altra negazione della bontà della creazione stessa in favore di uno
spiritualismo astratto.
Dare un corpo all’anima
Anzi, chi legge attentamente
la Genesi vede che qui siamo ad un ribaltamento delle posizioni: mentre in
filosofia tanti parlavano del valore dello spirito, dell’anima, negandolo al
corpo, fino alla distinzione perniciosa e non biblica che l’uomo ha un’anima e
un corpo come due cose distinte e separate, quando Dio insuffla il suo soffio
di vita nell’Adam impastato di polvere viene detto che l’Adam diventa “un’anima
vivente” cioè non un corpo “abitazione” dell’anima (da cui questa vuole uscire
al più presto) ma un corpo “animato” in un unicum indistinguibile (qui forse
più che a Platone siamo vicini ad Aristotele con l’idea che l’anima è forma del
corpo, in una sinole di materia e forma).
Questo per spiegare come
l’antropologia biblica è refrattaria ad ogni forma di dualismo e perché,
giacché dunque anche il corpo ha il suo valore, la bibbia più che parlare di
immortalità dell’anima – che pure conosce – quando parla del destino finale,
nell’escatologia, parla di resurrezione della carne.
La “carne”: caro cardo salutis
Sottolineo qui l’uso della
parola carne perché è significativo che si parli di carne e non di corpo: carne
in ebraico è sinonimo di persona umana nella sua individualità e concretezza
storica (al punto che la parola corpo è usata generalmente per indicare il
cadavere inanimato). Non per nulla nel prologo di Giovanni viene detto che il Logos
si fa carne, sarx, e non soma/corpo: et verbum caro factum est.
Chi non comprende ciò non comprenderà mai la resurrezione di Cristo né tutta la
storia della salvezza riassunta nell’incisivo detto di Ireneo: caro cardo
salutis, la carne è il cardine della salvezza. E ciò spiega anche
l’incarnazione, perché, ancora secondo Ireneo “ciò che non è assunto non è
salvato”. Il Logos salva l’uomo/carne assumendo anche lui la carne!
E dunque la carne è buona e bella come tutta la
creazione è buona e bella.[1]
Ciò significa che ogni dimensione
dell’essere umano è di per sé buona e bella, ha cioè una valenza positiva di
fondo che nemmeno un suo uso distorto o fallimentare (è questa l’etimologia
della parola peccato in ebraico: una freccia scagliata che non riesce a
raggiungere il bersaglio o che ne colpisce un altro sbagliato).
Mi baci coi baci della sua bocca
Ecco perché la Bibbia canta la
vita, la bellezza della vita e delle cose belle, canta l’amore e la passione
dei fidanzati e degli sposi: basti l’esempio più alto, quello del Cantico dei
Cantici. Un poema che ha valore proprio nel suo essere un canto erotico, che
canta l’amore umano e perciò fatto di sesso, di baci e di amplessi in quanto
tali, senza nessun altro scopo che esprimere l’amore che spasima nel desiderio
dell’amato e che gioisce nel trovarlo e soffre nel timore di perderlo di nuovo.
Un gioco d’amore come lo chiama Giovanni della Croce che tanto avrà poi valenza
simbolica in quanto espressione dell’autenticità creaturale dei due amanti. Lo
ha compreso bene Bonhoeffer che scrive al proposito che il Cantico si deve
leggere anzitutto come espressione dell’amore umano: sic et simpliciter.
Perché il divino nella Scrittura non è agli antipodi o in antagonismo con
l’umano, ma la condizione stessa perché l’umano si possa esprimere in modo
compiuto.
L’uno e il due, due in uno e uno in due
Anzi, se l’amore umano è
bello/buono, se l’uomo è molto bello/buono, è proprio perché l’uomo è stato
creato “come immagine di Dio, secondo una certa somiglianza”.
Se vogliamo dunque sapere cosa
la Bibbia pensa dell’amore, dobbiamo andare al racconto (in verità il secondo
anche se messo per primo) genesiaco della creazione.
Il greco dei LXX traduce
appunto con icona l’ebraico tzelem che richiama l’immagine della
statua degli dei o degli imperatori che nel tempio o nelle piazze
rappresentavano, nel senso pieno di ri-presentare, cioè rendevano presente i
regnanti o la divinità in un luogo ben preciso.
Anche se attenuata dal “secondo
una certa somiglianza” che chiarisce come l’immagine non sarà mai
pienamente coincidente con la realtà rappresentata, l’idea che qui viene
espressa è forte ed innovativa e direi quasi laica e secolare: viene detto che
Dio nel mondo non abita nei templi o nella natura ma rimane sempre Altro
rispetto alla sua creazione, anche se nel mondo l’uomo è in grado renderlo
presente.
Renderlo presente: già, ma in
quale modo l’uomo può rendere presente Dio?
Il racconto lo specifica
subito dopo: “e Dio creò l’uomo a immagine sua, a immagine sua li creò,
maschio e femmina li creò”.
Qui dunque vengono dette
alcune delle verità fondamentali che reggeranno tutto il successivo impianto
biblico.
Puntuto e bucata li creò
Anzitutto che la diversità
sessuale non è un accidente, ma la realizzazione concreta dell’uomo in quanto
tale: nella creazione l’uomo può essere solo o maschio o femmina. Tertium
non datur.
E ciò per un motivo
fondamentale: che la diversità è il fondamento della complementarietà.
Il maschio e la femmina si
possono attrarre ed incontrare reciprocamente perché sono complementari.
Gli uguali si respingono, gli
opposti si attraggono, dirà poi la scienza.
E perciò la stessa componente
genitale non è un mero accessorio ma la determinazione ultima della stessa
identità di maschio e femmina, al punto che letteralmente in ebraico femmina
significa “bucata” e maschio “puntuto”.
Dio separa – è questo il
significato dell’altro racconto della creazione in cui Eva è separata dal
fianco di Adamo – affinché poi i due si incontrino in una unità più alta, come
vedremo.
Ma il racconto non vuole
spiegare solo la diversità genitale di maschio e femmina: ciò è comune ad ogni
animale nel creato e non spiegherebbe pienamente dove sta l’immagine
somigliante con Dio.
La somiglianza è data invece
nella dimensione affettiva e dalla capacità di vivere con consapevolezza la
stessa dimensione sessuale inserendola appunto nella cornice affettiva capace
di dar pienamente conto della radicale alterità dell’essere umano rispetto ad
ogni altra creatura.
In pratica, dalla capacità di
sperimentare l’amore e in ciò è la somiglianza con Dio, perché Dio è amore, Dio
è l’amore, in questo concorda tutta la Bibbia.
Dio – dicono i rabbini – ama
con la testa e il cuore di un maschio, ma con le viscere di misericordia di una
femmina incinta che porta in grembo la sua creatura e perciò è vero che Dio è
padre e madre: è volitivo e determinato come un padre deve essere ma insieme è
tenero e affettuoso come solo una madre sa fare.
Si veda il quadro del
Rembrandt dell’abbraccio del padre/madre al figliol prodigo!
Il sesso quindi, nella sua
dualità di maschio-femmina, serve in realtà a manifestare/dimostrare l’essenza
stessa di Dio e perciò dell’amore.
Dio è l’amore dunque: e
l’amore ha sempre una duplice valenza, è amore-dono, amore in uscita, amore che
va incontro all’altro … amore estroverso, amore-maschio (e la sua conformazione
genitale vuole esprimere proprio tutto ciò); ma è anche amore-accoglienza,
amore che sa introiettare l’altro, amore-comprensivo (letteralmente abbracciante),
amore-femmina. E l’incontro di questi due amori/persone genera fecondità e
l’alterità si ricompone in unità: ora tutto ciò avviene nel Dio biblico in cui
l’unità è plurale, è trinitaria (Dio – Ruach – Logos). Ma nel mondo la
riproposizione di questa dinamica trinitaria dell’amore può essere attuata solo
a partire dal ricongiungimento dei due amori così come rappresentati dal
maschio e dalla femmina.
Ciò vuol dire che il solo
maschio non può rappresentare Dio (contro ogni forma di maschilismo), ma che
nemmeno la femmina da sola può rappresentare Dio (contro ogni forma di
femminismo), ma che nemmeno si può immaginare Dio come un essere indistinto
(contro ogni forma di neutralità o in distinzione sessuale) o confondere la
natura di Dio e le sue persone in una monade solitaria (perché la sua
ripresentazione dovrebbe essere affidata non alla coppia maschio-femmina ma ad
un essere androgino, come la gnosi ieri e oggi propone).
E alla fine Dio sarà uno
La riflessione rabbinica parte
da qui per affermare non solo l’uguaglianza fra i sessi, ma la capacità del
maschio e della femmina di poter attingere, nella loro esperienza di amore,
umano-erotico-sessuale, allo stesso amore divino.
Ci si ama tra maschio e
femmina e si sperimenta Dio.
Per la tradizione ebraico-cristiana
la Bibbia insegna ciò.
Anzi, di più, la qabalà
ebraica avrà il coraggio di andare oltre: se maschio e femmina
ripresentano solo insieme Dio, vuol dire
Dio è diviso – se così si può dire, direbbero i rabbini – a metà, nei due amori
e quindi nei due sessi e quindi metà nel maschio e metà nella femmina. Per sperimentare
il vero amore bisogna riunificare i suoi due aspetti: quindi nella copula
sessuale non si uniscono solo maschio e femmina, si uniscono i due lati di Dio,
le due facce della medaglia, si riunisce – se così si può dire – Dio stesso.
L’affermazione prende le mosse
dal detto profetico “alla fine Dio sarà uno”.
Perciò l’atto sessuale tanto è
profano quanto è sacro: facendo l’amore marito e moglie non solo unificano se
stessi diventando “una sola carne” ma contribuiscono a “unificare Dio”.
In questa realtà ebrei e
cristiani vedono la sacramentalità del matrimonio.
E qui è spiegato pure perché
viene dato un significato essenziale alla consumazione del matrimonio: perché
l’unione della coppia in una sola carne ha valore non solo fisico ma anche
spirituale.
Adamo ed Eva e il piacere della carne
Questo è il senso del racconto[2]
in cui finalmente Adamo riconosce in Eva “un aiuto che gli stesse di fronte”:
cosa era successo? Adamo è
invitato a scegliersi tra gli animali un “aiuto” ma tra questi non ne aveva
trovato nessuno “che gli stesse di fronte”. Un rabbino tra il serio e il faceto
afferma che Adamo aveva provato ad accoppiarsi, ma siccome tutti gli animali si
accoppiano di spalle, Adamo non si era sentito soddisfatto perché voleva
qualcuno da guardare negli occhi. Dio gli leva dal fianco Eva e gliela mette
davanti: qui un gioco di parole mette in risalto l’uguaglianza ma insieme
l’alterità-complementarietà tra maschio e femmina “si chiamerà maschia
perché dal maschio è stata tolta”. La Vulgata per rendere l’assonanza ish/
maschio e ishah (femminile di ish)/ dirà “si chiamerà virago perché dal vir
è stata tratta” La femmina è l’altra metà dell’uomo, è il suo specchio:
“per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si incollerà alla sua donna
e i due saranno una sola carne”.
In verità, quello che sembra
un semplice racconto è giocato tutto sulla valenza dei simboli e in un gioco di
parole e allitterazioni che solo la ricca riflessione rabbinica ha potuto e
saputo mettere in luce.
Basti pensare al nome del
giardino: gan eden, giardino del piacere, che ha una connotazione
sessuale, basti pensare che proprio il femminile di eden, ednah, indichi
il piacere sessuale dell’accoppiamento.
Così come il sonno che scende
su Adamo, letteralmente non è un sonno qualsiasi ma è il momento dell’estasi
sessuale e della sonnolenza/torpore che scende subito dopo l’orgasmo. Da notare
– tra l’altro - come è la stessa parola che in ebraico indica l’estasi mistica
del rapporto con Dio: sul rapporto tra le due cose ci sarebbe molto da dire …
E pure la parola “costola” che
siamo abituati a leggere nelle nostre traduzioni non rende ragione del senso
pieno del racconto. Difatti si parla di fianco e si usa una parola di origine
sumerica che significa anche “vita”. Qui siamo di fronte ad un gioco di parole
giacché subito dopo Adamo chiamerà la sua donna Eva, che in ebraico significa
proprio “vita” e difatti in greco viene tradotto con Zoe. Si capisce così
l’intera frase: “e Adamo chiamò sua moglie Vita perché essa fu la madre di
tutti i viventi.
Dunque Dio prende la donna di
fianco ad Adamo e gliela mette di fronte e Adamo finalmente la riconosce come
sua carne e sue ossa: secondo la tradizione rabbinica siamo qui di fronte al primo
atto sessuale della storia! Come dire che l’uomo non prende coscienza di se
stesso se non nell’esperienza della sua alterità sessuale e proprio grazie a
questa esperienza.
Tutto ciò è buono: la
tradizione rabbinica ha insistito sempre sul fatto che il primo rapporto
sessuale di Adamo ed Eva fosse avvenuto subito dopo la loro creazione e prima
del fattaccio della tentazione e della colpa.
Ciò è evidenziato dalla
sottolineatura che entrambi erano nudi e non ne provavano vergogna, mentre
subito dopo il peccato la prima conseguenza è data dal fatto che si accorsero
che erano nudi, si vergognarono e si fecero le cinture di foglie di fico per coprirsi.
Cosa è cambiato tra il prima e
il dopo?
Anche qui il messaggio è
nascosto nella ambivalenza della parola ‘arum che significa sia nudo che astuto,
o meglio, l’ambivalenza della astuzia, e con questo significato è applicato al
serpente che ora entra in scena, quando vien detto che il serpente era il più
astuto di tutte le creature.
Il seduttore
La tradizione rabbinica dice
che il serpente vide Adamo mentre si accoppiava con Eva e si invaghì di lei.
Non dobbiamo pensare al
serpente – animale così come lo vediamo oggi: la tradizione rabbinica parla del
serpente come la più bella della creature (e tale deve essere per avere la
capacità di sedurre e affascinare Eva: la stessa parola “nacash/serpente” in
ebraico viene dal verbo ammaliare, incantare con la magia), solo dopo la
punizione il serpente sarà ridotto a strisciare a terra senza gambe e braccia.
Perché proprio il serpente?
Anzitutto per indicare che il male è una realtà esterna all’uomo. Se fosse un
qualcosa di connaturale e interno a lui, l’uomo non vi potrebbe resistere (si
vedano tutte le teorie odierne sulle pulsioni dove qualsiasi inclinazione
sarebbe inscritta nel DNA di ognuno) con la conseguenza che ciò toglierebbe
qualsiasi forma di libertà e di scelta dell’uomo e quindi ogni responsabilità personale.
Da un agente esterno invece
l’uomo si può difendere, anzitutto con la vigilanza.
E la tradizione rabbinica
imputa il peccato alla mancanza di vigilanza di Adamo, dovuta al fatto che lui
si era addormentato subito dopo aver avuto il primo rapporto sessuale con la
sua donna. Il serpente – dice il midrash – arriva mentre Adamo ed Eva hanno il
rapporto e subito fu pieno di lussuria e di invidia: voleva la donna! Allora
attese che Adam si addormentasse dopo il coito. E qui Adam si rivela egoista
perché pensa solo a se stesso e al suo piacere: ma questo è il momento in cui
la donna è più debole e richiede affetto! Nessuna sorpresa se il serpente
riesce a sedurla! Il midrash a questo punto ammonisce i mariti a non essere
egoisti come Adamo per non avere la stessa punizione!
E così la donna si fa sedurre
dal serpente: ma in cosa consiste il mangiare del frutto? Nel farsi arbitri al
posto di Dio del bene e del male, cioè nel voler alterare a proprio piacimento
l’equilibrio della creazione e la sua bontà. Nell’uso distorto della stessa
capacità di conoscenza che viene data loro.
Infatti cosa avviene? Che dopo
il mangiare del frutto “conobbero la loro nudità”.
Il verbo conoscere è da
prendere nella sua pienezza di significato, e quindi di esperienza concreta: dunque,
prima l’esperienza sessuale serve alla conoscenza reciproca, ora grazie
all’ambivalenza dell’astuzia (la chiameremmo volentieri malizia, come il titolo
di un famoso film molto illuminante sul tema), la conoscenza si ferma alla
nudità in sé, senza che questa si faccia sacramento dell’incontro con l’altro.
Fuor di metafora: dalla bontà
dell’amore come esperienza realizzante della coppia, alla realtà del sesso fine
a se stesso, e ciò in forza di quella astuzia/nudità che di per sé non è ancora
peccato, ma diventa peccaminosa nella misura in cui si accondiscende alla
provocazione della malizia.
Per comprendere ciò ricordo la
nozione di peccato originale spiegata sempre in termini di analogia: cioè il
peccato originale non è un peccato già commesso, ma indica l’inclinazione al
male che diventa peccato solo se vi si accondiscende.
E ciò avviene col cattivo uso
della conoscenza e alla voglia di essere altro da cui si è.
Volendo si potrebbe continuare
il gioco di ambivalenza tra nudo/astuto: prima i due erano nudi/astuti ma non
se ne vergognavano, è cioè un’accettazione del loro stato di uomini in tutta la
positività della loro finitezza. Ma il nudo/astuto serpente ha fatto uscire
fuori anche l’altra faccia della finitezza e del sapere che degenera in malizia.
Si comprende perché la prima realtà ad essere intaccata è proprio la sfera più
intima dell’essere umano: l’affettività e l’eros.
Godi la vita con la donna che ami: la sapienza in Israele
Che fare dunque? La tradizione
rabbinica trae dal racconto biblico della tentazione anche le indicazioni per
superare tale rischio.
Come abbiamo anticipato, la
colpa di Adamo è non essere stato vigilante. Una corretta gestione della
sessualità è data dalla necessità di un controllo degli occhi e delle orecchie,
vien detto, perché sono il mezzo con cui si fa esperienza dell’altro e di ciò
che ci circonda.
Uno sguardo distorto, un
sentire distorto, conducono ad un agire distorto, ad una conoscenza distorta.
Ricordiamo che yadah,
conoscenza, per alcuni, viene da yad che significa mano: se la mano non è
guidata rettamente dagli occhi e dalle orecchie corre il rischio di toccare
cose cattive o di toccare cose buone ma in modo sbagliato!
In pratica l’indicazione che
viene data è quella di una purificazione dello sguardo, fuor di metafora di una
educazione sentimentale che educhi l’uomo e la donna a vivere la stessa
pulsione erotica nel contesto più grande di un amore inteso come esperienza di
dono interpersonale e scambievole nella gratuità assoluta, senza nessun ritorno
egoistico.
In questo credo che la lezione
della Bibbia sia veramente attuale oggi in cui si è passati dall’educazione
sentimentale all’educazione sessuale che in verità è solo istruzione ad alcune
tecniche sessuali.
Si veda invece la letteratura sapienziale in Israele e il
ritratto della moglie perfetta/del marito beato e della famiglia ideale.
Voci di sposo e voci di sposa
Perché dunque nella Bibbia la
sessualità abbiamo detto è un bene, ma ciò va vissuto all’interno del legittimo
rapporto tra marito e moglie, cioè in un naturale contesto di amore. Ogni altro
uso al di fuori di questo contesto sponsale corre il rischio di rendere muto o
distorto il linguaggio dell’eros.
E anche le leggi in proposito
sono date per salvaguardare l’identità peculiare di maschio e femmina, l’unità
della coppia e la sicurezza della discendenza nella certezza della paternità e
della maternità.
Esce eros, entra agape
Credo che sia per questo che
nella Bibbia, nella traduzione greca dei LXX la parola eros si trovi solo due
volte (una per indicare gli amanti, una per indicare i baci/approcci sessuali):
per eliminare ogni tipo di ambiguità legata a questa parola.
I traduttori preferiscono
usare la parola agape, quasi sconosciuta al greco ellenistico, per tradurre
l’ebraico hahavah che indica l’amore sano, pulito, disinteressato, e perciò talvolta è usato in ebraico anche
come sinonimo di amicizia. Infatti in ebraico hahav indica sia l’amico, sia l’amato, sia
l’amante.
Si veda ad esempio l’amore di
Gionata e Davide, “più che amore di donna”: i pirké avot lo presentano ad
esempio come il tipo dell’amore disinteressato.
Chi volesse, può vedere la
sintesi del percorso di eros e agape nell’enciclica di Benedetto XVI Deus
caritas est.
Divino perché umano
Ma non c’è solo questo livello
narrativo, dobbiamo poi dire che la Bibbia usa il linguaggio erotico per
parlare di molti di quei concetti che invece tematizza.
E’ il livello della rilettura
in chiave simbolica dell’esperienza umana: dalla semplice religiosità alla
teo-drammatica della storia tra Dio e Israele, vista come il racconto delle
vicissitudini del rapporto sponsale, tra il Dio-Sposo e la Sposa-Israele. Ma,
ricordiamolo, non ci potrebbe essere questa rilettura simbolica se non ci
fossero le concrete vicissitudini umane a supportarla.
E così tutta la tradizione
profetica rilegge il rapporto tra Dio e Israele come una lunga storia di
fidanzamento, di tradimenti e di riappacificazione in vista del matrimonio
finale.
Si vedano i testi di
Isaia
Geremia
Osea
Ma soprattutto quelli di un
realismo crudo e duro di Ezechiele in cui l’idolatria del popolo è letta in
termini di tradimento se non addirittura di prostituzione.
Senza di questi non si
comprenderebbe nemmeno il perché il Cantico dei cantici sia entrato a far parte
della sacra Scrittura.
E ancora una volta questo
fatto ci riporta alla realtà dell’amore come realtà divina – umana fondamento
della stessa identità personale dell’uomo e della donna.
Vi fu uno sposalizio a Cana di Galilea …
Per concludere.
Il percorso fatto nelle storie dell’AT ci aiuta a
comprendere perché nel vangelo di Giovanni il primo miracolo sia alle nozze di
Cana
E poi ci sia la samaritana e l’adultera…
E Paolo parli del rapporto tra moglie e marito come delle
nozze tra Cristo e la Chiesa.
Eros redento
Benedetto XVI: in Cristo eros e agape coincidono. La croce
come talamo.
[1] (Vinicio
Capossela - IL ROSARIO DE LA CARNE)
Carne..
Consolate la mia carne
Nella carne che sei
Nella carne che ritornerai
Solitudine della carne
Dalle anime di ogni carne
Patimento della carne
Corpo sacro della carne
Compassione della carne
Fuoco fatuo della carne
Carne e carne
La morte della carne...
Pietà della carne
Lutto della carne
Il buio della carne
La passione della carne
La penitenza della carne
L'estasi della carne
Il caos della carne
Scandalo della carne
Sacrifico della carne
E la carne che vuole carne
Santuario della carne
La morte della carne
Estasi della carne
Sacrificio della carne
Marcire della carne
Fiorire della carne
Consolate la mia carne
Nella carne che sei
Nella carne che ritornerai
Non è morto
Non sei morto
Nella carne
[2]
non uso di proposito ad esempio la parola mito per i racconti genesiaci per
l’ambivalenza che ha assunto ormai da noi questa parola