Solo chi non conosce la Bibbia si sarà meravigliato di
questo: perché ci sono altri passi in cui il linguaggio dell’autore è
altrettanto “spudorato” per franchezza e plasticità di immagini.
Si veda ad esempio il rimprovero che Dio fa al suo popolo
tramite il profeta Ezechiele quando rimprovera Israele, immaginata come una
promessa sposa infedele, che rimpiange i maschi di Egitto perché hanno il loro
membro come quello degli asini e montano con la foga degli stalloni (Ez 23,20).
Ma è qui il punto: che la lettura del rapporto tra Dio e il
suo popolo come un rapporto tra sposo e sposa è già insita nella Bibbia a
partire da tutta la tradizione profetica (si veda Ez 16 ma anche Isaia, Geremia,Osea
e tanti altri) e non è una operazione di rivestimento censorio operato dopo dai
rabbini o dai preti in un secondo momento!
E’ proprio per questa dimensione simbolica che rabbi Akiba nel
primo secolo dimostrò che il Cantico ha un posto, e preminente, nella sacra
Scrittura.
E la valenza simbolica sta proprio nel suo essere anzitutto
il richiamo ad una esperienza reale, vera, e qui aggiungo, umana. Lo dice anche
a chiare lettere il protestante Bonhoeffer.
D’altronde non potrebbe essere altrimenti per una
esperienza, quella dell’amore sponsale di coppia tra marito e moglie, anche e
proprio nella sua dimensione carnale (“e i due saranno una carne una”) che Dio
ha benedetto fin dalla creazione e a cui la Chiesa lungi dal censurare
riconosce talmente un valore sacramentale (cioè simbolico) da dichiarare nulle
quelle nozze dove non c’è stata consumazione sessuale!
E immaginate: la Chiesa ha così censurato il Cantico da
farlo proclamare come prima lettura nel rito del matrimonio e la Sinagoga ha
così censurato il Cantico da farlo leggere nel giorno di Pasqua!
E sarebbe ora di dire che il cristianesimo non ha paura
della carne, anzi: la amiamo talmente da credere che il Dio si sia incarnato e
da proclamare la resurrezione della carne e non la sola immortalità dell’anima!
Chi pensa alle belle anime e non ai corpi non è cristiano, è gnostico: che lo
si sappia.
Ecco perché l’operazione di Benigni è subdola (e ha fatto
bene Diego Fusaro a rilevarlo): perché ha voluto insinuare che la Chiesa è la
solita oscurantista di sempre, che nega la bellezza dell’amore sponsale. E il
nostro comico lo ha fatto fra l’altro suggerendo di stare leggendo da un testo
che non sarebbe quello contenuto nelle edizioni ufficiali! Ma sarei curioso di
sapere a quale ur-redaktion, redazione originale primitiva extrabiblica lui si
riferisca, quando il testo (masoretico ebraico, traduzione greca dei LXX,
Vulgata latina) è disponibile in tutte le librerie! E di grazia, converrete che
il proclamare in chiesa o in sinagoga traduzioni poetiche e non letterali (evitando
di parlare dall’ambone di peni, testicoli e monti di venere) è solo questione
di estetica e di buon gusto e non certo operazione censoria!
Ma per me, lo scandalo più grave è ancora un altro: che pur
di addossare tutte le colpe alla Chiesa Benigni ha strappato il Cantico al suo
legittimo proprietario che è Israele, e vi dico il perché. Perché è lui, si
lui, che ha invece ha censurato il testo: perché l’invito della bella Sulamita
ad aiutarla a cercare lo sposo non è rivolto genericamente a “figlie”, ma l’invito
è rivolto alla “figlie di Gerusalemme”, cosa che lui ha deliberatamente omesso
tutte le volte che ha citato il testo.
E in questa omissione sta il peccato più grave: decontestualizzando
il Cantico dal popolo che lo ha espresso (ma d’altronde, dicendo che leggeva da
un testo extra biblico più antico, lo aveva già strappato dalla Bibbia), ha
reso così un canto, espressione della più alta spiritualità biblica (e quindi
espressione della fede secondo la tradizione ebraica prima e cristiana dopo),
un inno generico all’amore che, con un po’ di impegno un bravo poeta avrebbe
potuto fare: ridotto così cosa c’è di diverso tra una poesia di Baudelaire o
una di Garcia Lorca dal Cantico?
Ma siamo in fondo al vero punto in questione: l’operazione
più subdola ancora, quella di insinuare che il cantico inneggia all’amore, ad
ogni tipo di amore (sponsale, efebico, saffico).
Comprendetemi: non si tratta in questa sede di dare un
giudizio morale su cui qui non voglio entrare, ma anzitutto di rilevare una
scorrettezza di metodo, esegetica.
Benigni doveva qui dire, necessariamento che il Cantico dei
cantici narra la storia di un fidanzato e di una fidanzata innamorati: per
onestà, come per onestà io debbo dire che dal balcone di Verona si affacciava
una Giulietta che spasimava per il suo Romeo (e non posso parlare di due
Giuiette o di due Romeo). Punto.
Che se poi voleva cogliere l’occasione per parlare l’amore
omoerotico tra maschi (non mi risultano seguaci della poetessa di Lesbo nella
Bibbia) poteva citare la storia di Davide e Gionata (perché nella Bibbia c’è
pure questo e nessuno ha mai avuto timore di ammetterlo) ma non il Cantico.
E ripeto, qui la morale non c’entra (né tanto meno, per
favore, si tirino in ballo omofobia e simili), ma solo il dato oggettivo di
quello che è il racconto, la trama del Cantico dei cantici.
Certo, Benigni fa furbescamente il suo mestiere e strizza l’occhio
ai suoi ascoltatori, ma quello che mi preoccupa è come sia facile abbindolare
le persone sfruttando la loro ignoranza e giocando sui sentimenti e oscurando l’intelligenza
(ma come anche facilmente la gente si lascia abbindolare).
Questo è pericoloso. Non solo per la fede. Ma anche per la
democrazia e il dialogo che si basano sul rispetto della persona e l’onesta
intellettuale per rigettare con forza ogni tipo di manipolazione.
Per questo temo questi applausi a scena aperta, ma anche il
silenzio di chi dovrebbe parlare eppure tace, atei o cristiani o ebrei che siano.