sabato 5 aprile 2025

 

 

La seconda assemblea sinodale: un evento di Chiesa.

 

Doveva essere l’ultima assemblea del cammino sinodale delle Chiese in Italia e invece ce ne sarà una terza! La seconda assemblea del cammino sinodale in Italia (31 marzo – 3 aprile 2025) ha infatti deliberato di riformulare il testo delle proposizioni sinodali presentate dalla Segreteria e che, dopo la discussione nell’Aula Paolo VI e la votazione sulle eventuali mozioni doveva produrre il testo finale delle proposizioni che doveva essere sottoposto all’Assemblea ordinaria dei vescovi della CEI a maggio (e che per questo motivo è stata annullata e spostata a novembre). Le proposizioni da approvare dovevano rappresentare, infatti, la base del Documento finale del cammino contenente le scelte e le mete operative future delle Chiese italiane. Così, invece, le proposizioni riformulate confluiranno nel documento che, come ora è stato deciso, sarà presentato per il voto all’assemblea nazionale dei delegati diocesani sabato 25 ottobre 2025, nella cornice del pellegrinaggio giubilare mondiale dei referenti sinodali e dei membri degli organismi di partecipazione. Il nuovo testo votato sarà poi posto all'attenzione dell'Assemblea dei vescovi della CEI nel novembre 2025.

Non è stata una bocciatura del testo, come alcuni media hanno sbrigativamente (e maliziosamente) riportato, con una lettura che non riesce a cogliere il taglio spirituale dell'avvenimento. E ce da dispiacersene. Il Card. Zuppi, d’altronde, lo aveva anticipato, nell'omelia conclusiva, quando avvertiva che avrebbero diviso i membri dell’Assemblea in progressisti e conservatori, di destra e di sinistra, che avrebbero parlato di laicato in rivolta contro l’episcopato, che avrebbero calato dall'alto sull’evento griglie mondane di rivalse di potere tra minoranze e maggioranza, non avendo altre ottiche con cui leggere la vita e le dinamiche ecclesiali.

La inadeguatezza delle proposizioni, in verità, era apparsa subito evidente alla ricezione del testo da parte dei delegati, prima dell’assemblea, a partire anzitutto dalla constatazione che la stringatezza delle proposizioni, e da qui la loro genericità, non rendeva conto della ricchezza e della vitalità delle diocesi emersa in questi quattro anni di cammino e condensata nelle relazioni finali, inviate entro il 2 marzo 2025, alla segreteria del cammino sinodale.

Come la segreteria ha riferito, alla scadenza erano pervenute relazioni da 196 diocesi (sulla totalità delle poco più di 200 diocesi italiane): e questo è già indice del grande coinvolgimento con cui nelle chiese locali si è vissuto il cammino sinodale.

È comprensibile come non sia stato possibile esaminare con serenità tutto il materiale e farne una sintesi adeguata, in due settimane, spinti dalla fretta di giungere appunto alla formulazione delle proposizioni, che sono state anticipate ai referenti diocesani solamente nel pomeriggio di sabato 29 marzo, appena due giorni prima dell’apertura dell’Assemblea.

Oltre la fretta, forse è stata presa troppo alla lettera e con troppo “zelo”, da parte di chi aveva avuto il compito della redazione, l’indicazione di formulare proposizioni sintetiche, così alla fine sono venute fuori proposizioni fredde e “asciutte”, in cui non era più riconoscibile il retroterra ecclesiale e l’afflato missionario che pur era evidenziato nelle premesse alle proposizioni, riprendendo l’evangelico “perché la gioia sia piena”.

La considerazione, poi, che le proposizioni di per sé non erano il Documento finale ma dovevano servire solo da “ponte” per la scrittura vera e propria di detto Documento nell’Assemblea dei Vescovi a maggio, avrà certo influito e fatto sì che i compilatori rimanessero al livello del generico e del superficiale. Una considerazione, questa, fatta circolare da chi in ogni caso voleva che si distinguesse il ruolo decisionale dei vescovi dalle proposizioni formulate dall’assemblea, richiamando l’indicazione codiciale per cui nel Sinodo diocesano “l’unico legislatore è il vescovo” e spetta a lui accogliere e promulgare in modo ufficiale le proposte dei membri del sinodo diocesano. Una analogia forzata e non confacente a questo caso, perché, mentre nel sinodo diocesano l’assemblea è composta da chierici, religiosi e laici della diocesi, e il vescovo che lo presiede, in senso stretto non si può dire “membro dell’assemblea” e infatti non partecipa alle votazioni delle proposte di deliberazioni sinodali, in questa Assemblea sinodale nazionale i vescovi facevano parte delle delegazioni diocesane e hanno partecipato come membri a tutti gli effetti ai lavori dell’Assemblea. Se si voleva mantenere l’analogia col sinodo diocesano, allora i vescovi non avrebbero dovuto partecipare all’assemblea dei delegati diocesani e riservarsi l’esame (con accoglimento o rigetto) delle proposizioni nella loro assemblea di tutta la conferenza episcopale italiana. Forse qui non si è compreso bene che ci si trovava davanti alla esperienza di una nuova “soggettività” ecclesiale, in cui con più coerenza l’analogato principale doveva essere non il sinodo diocesano, ma il Sinodo dei vescovi, così come rimodulato da Papa Francesco e vissuto nelle due ultime sessioni del 2023 e del 2024. La “rivoluzione” sinodale di Francesco ha ispirato infatti il Regolamento dell’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia così che i vescovi italiani condividessero i lavori assembleari insieme agli altri delegati. Ed è stato edificante vedere i vescovi inseriti nei vari gruppi sinodali a dialogare e confrontarsi, addirittura essere stati tra i primi a chiedere la riformulazione del documento. Prova ne sia che la mozione della riformulazione delle proposizioni è stata approvata a maggioranza (835 voti favorevoli su 854 votanti, con soli 12 voti contrari e 7 astenuti) formata, lo ricordiamo da vescovi, chierici, consacrati e laici insieme.

Questo insieme di cose ha fatto sì che ai delegati sinodali sia arrivato in mano un testo delle proposizioni così generico che sembrava riportare il tutto all’inizio del cammino, quasi alla “fase sapienziale”. E ciò è sembrato ai delegati non solo irricevibile, ma anche irriguardoso verso quanti in questi anni si erano impegnati con coraggio e passione nei lavori dei tavoli sinodali, credendo e sperando davvero che il cammino sinodale potesse diventare un’opportunità per un “salto di qualità” nella pastorale delle Chiese in Italia.

Per cui già all’apertura dei lavori assembleari emerse subito il desiderio della stragrande maggioranza dei delegati di una riformulazione del testo delle proposizioni. Magari si sperava che ciò potesse avvenire tramite le mozioni di contenuto e di stile che sarebbe emerse nei gruppi di studio dei giorni a venire. Ma fu subito chiaro all’assemblea, dopo le due mezze giornate di confronto nei gruppi di studio (poche, anche perché ridotte di un giorno, visto che il progetto primitivo prevedeva di chiudere i lavori non il 3 ma il 4 aprile) che non si trattava di modificare con alcune mozioni questo o quell’altro testo delle singole 50 proposizioni, di correggere, aggiungere o togliere un verbo o un aggettivo, quanto invece di rimodulare tutto il testo e riformulare le tutte le proposizioni, anche diminuendole o aumentandole nel numero, se ciò si fosse reso necessario, magari spostando le proposizioni da uno all'altro delle tre parti tematiche previste, raggruppando o anche uniformando proposizioni aventi lo stesso soggetto o la stessa materia e dando alle proposizioni un ordine di priorità che rispecchiasse le urgenze segnalate dai referenti sinodali, affinché queste urgenze non rimanessero confuse e indistinte in mezzo alle altre meno specifiche.

La riformulazione avrebbe così potuto correggere anche un certo squilibrio delle tre parti del documento, sia per l’aspetto contenutistico che linguistico. Tra le tre parti e tra le stesse proposizioni era poi evidente l’uso di un linguaggio non omogeneo: da qui la richiesta di una uniformità linguistica e di contenuti.

Inoltre, considerata la stessa formulazione delle proposizioni, con troppi congiuntivi esortativi e pochi indicativi, si è riconosciuto che non c’era bisogno di un nuovo ma “solito” documento con inviti generici e pie esortazioni, quanto di un testo che arrivasse a scelte condivise e indicazioni precise e determinate, pur nel rispetto del cammino delle singole Chiese locali, ma che avesse il coraggio della profezia, frutto del cammino sinodale di quest’ultima fase che per l’appunto è stata denominata “profetica”.

In questo contesto di rimodulazione, poiché la forma incide anche sulla sostanza, si è domandato che il linguaggio esprimesse anche il fondamento ecclesiologico alla base delle singole proposizioni. In particolare si è rilevato che, essendo tutta la comunità ecclesiale il soggetto dell'azione pastorale, si dovesse superare il linguaggio "dell'inclusione" che continua a dividere il popolo di Dio in "noi" (già dentro e buoni) e "gli altri" (da integrare), o paternalisticamente in “accompagnatori” e “accompagnati”, per descrivere invece la Chiesa come “la casa di tutti”, dove tutti (ricordiamo l’appello di papa Francesco: todos, todos, todos) hanno diritto a vivere e agire da protagonisti, dove si cammina insieme, (bambini, adolescenti, giovani, adulti, uomini e donne …), senza distinzione di età, etnia (cittadini, immigrati, stranieri..), di situazione sociale di qualsiasi natura (povertà e fragilità di vario genere), di situazioni personali circa l’affettività e lo status personale (ad es. riguardanti matrimonio e famiglia), e nel rispetto per l’orientamento sessuale e dell’identità di genere di ognuno.

Ma è stato pure chiesto che fosse riaffermato con forza come sia tutta la comunità ecclesiale (senza deleghe a gruppi o categorie particolari) a recuperare il primato dell’ascolto della Parola, la bellezza della liturgia e dell’ars celebrandi, la responsabile in solidum della iniziazione cristiana di fanciulli e di adulti, dell’adozione di nuovi linguaggi che si aprano al mondo e all’impegno per la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato: basti pensare che la fretta della sintesi aveva fatto dimenticare di inserire il richiamo alla cultura, alla politica e alla dottrina sociale della Chiesa.

Come si può evincere, il giudizio di inadeguatezza è stato dato su tutto l’impianto delle proposizioni e non solo su alcune di quelle contenenti tematiche particolari, come purtroppo alcuni lanci giornalistici hanno insinuato. Nessuna spaccatura nell'assemblea, nessun contrasto, nessun antagonismo tra laicato ed episcopato.

Nell’assemblea si è sentito il soffio dello Spirito e respirata l'aria del Concilio Vaticano II. La decisione, frutto di un dibattito franco e sincero, ci ha fatto vivere la bellezza dello stare insieme nel cammino sinodale come fratelli e sorelle. Il sinodo è anzitutto stile e scuola di comunione. E i responsabili del coordinamento del cammino sinodale hanno dato prova di umiltà nel riconoscere l’insufficienza delle sintesi prodotte. Ma la meta non era l'approvazione delle proposizioni, in modo che ognuno poi ritornasse tranquillo (e magari continuare la sua esperienza ecclesiale come prima). La meta è il Regno, e perciò la missione, e perciò la conversione personale ed ecclesiale. In questa assemblea sinodale in fondo si è vissuto, proprio nello sfondo giubilare, una esperienza di conversione e di obbedienza allo Spirito. Nessuno ha perso o è stato sconfitto. Ha vinto la chiesa "semper reformanda". Ha "vinto" la voglia di un reale cambiamento nella pastorale delle chiese in Italia. Chi, anche nella nostra diocesi, pensava che il sinodo fosse solo questione di ritocchi formali per lasciare tutto come prima è stato smentito. Il cammino sinodale è irreversibile. E chiede a tutti noi, anche in diocesi, una conversione ad uno stile di comunione, condivisione, collaborazione, corresponsabilità, a tutti i livelli, da imparare. In questi giorni sono stato edificato dal dibattito in cui con coraggio, sincerità, rispetto e franchezza vescovi e laici ci siamo messi in gioco. Vogliamo augurarci che lo stesso coinvolgimento e la stessa parresia siano sperimentati nelle prossime tappe della nostra chiesa locale.

 

 

 

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