Al Cairo torna attuale la lezione di Ratisbona
Mai nessun papa è stato così chiaro e coraggioso nello
svelare le radici della violenza nell'islam, prima di Benedetto XVI. E nemmeno
dopo. Due riletture d'obbligo, per decifrare la crisi egiziana
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 20 agosto 2013 – In pochi giorni molte
decine di chiese, conventi, abitazioni di cristiani in Egitto sono stati presi
d'assalto o incendiati. Una tragedia nella tragedia, dopo il colpo di Stato che
ha precipitato la nazione del Nilo in una guerra civile con centinaia se non
migliaia di vittime.
Nel dare notizia dei numerosi appelli per la cessazione delle violenze, "L'Osservatore Romano" del 18 agosto non è però riuscito a elencare tra queste invocazioni nemmeno una che provenisse dal mondo musulmano.
Questo silenzio pubblico delle guide spirituali islamiche non sorprende. Accompagna quasi ogni atto di violenza politica che veda in azione dei musulmani, nell'una o nell'altra regione del globo.
È un silenzio che non si spiega con soli calcoli di opportunità, o col timore di ritorsioni. Né per il solo fatto che oggi in Egitto lo scontro maggiore è tra opposte fazioni musulmane entrambe convinte di inverare con la forza i precetti dell'islam: perché non solo i Fratelli Musulmani del deposto presidente Mohamed Morsi hanno una concezione della lotta politica come jihad, come guerra santa, ma la ha anche il loro avversario Abdel Fattah Al Sisi, il generale messo a capo delle forze armate dallo stesso Morsi perché ritenuto il più fedele islamista di tutti.
Per capire la radice ultima del silenzio delle guide spirituali musulmane di fronte all'esplodere della violenza islamicamente ispirata basta fare una cosa semplice. Basta rileggere la parte iniziale della lezione tenuta da Benedetto XVI il 12 settembre 2006 nell'aula magna dell'università di Ratisbona.
Gli atti aggressivi con cui uomini e gruppi musulmani reagirono a quella lezione furono la tragica conferma della giustezza della tesi esposta da papa Joseph Ratinzger. Secondo cui la violenza associata alla fede è l'inevitabile prodotto del fragile legame tra fede e ragione nella dottrina musulmana.
Nessun papa prima di Benedetto XVI aveva mai avuto la chiarezza di visione e il coraggio di esprimere un giudizio così netto sull'islam, né di formulare con tale rigore la diversità tra islam e cristianesimo.
Dentro la Chiesa cattolica Benedetto XVI fu molto criticato per avere tanto osato. Lo si accusò di aver distrutto il "dialogo" col mondo musulmano.
In realtà appena due mesi dopo Ratisbona papa Ratzinger si raccolse in silenziosa preghiera nella Moschea Blu di Istanbul. E poté compiere quel gesto – altrimenti incomprensibile – proprio per aver detto chiaro qual era il suo pensiero in proposito.
E proprio dalla lezione di Ratisbona prese vita quel germoglio di dialogo islamo-cristiano che trovò espressione nella "lettera dei 138 saggi" scritta al papa da esponenti musulmani di vario orientamento.
Non solo. Sempre in quell'autunno del 2006, durante il suo viaggio in Turchia, Benedetto XVI disse chiaro al mondo musulmano che esso aveva davanti a sé la stessa sfida che il cristianesimo aveva già affrontato e superato positivamente: quella di "accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio".
Anche qui, mai nessun papa s'era spinto così avanti, prima di Benedetto XVI. E nemmeno dopo. Fino ad oggi.
Alla guerra civile che infiamma l'Egitto papa Francesco ha dedicato queste parole, dopo l'Angelus del giorno dell'Assunta:
"Giungono purtroppo notizie dolorose dall’Egitto. Desidero assicurare la mia preghiera per tutte le vittime e i loro familiari, per i feriti e per quanti soffrono. Preghiamo insieme per la pace, il dialogo, la riconciliazione in quella cara terra e nel mondo intero".
E tre giorni dopo, all'Angelus di domenica 18 agosto, vi ha forse alluso:
"Il Vangelo non autorizza affatto l’uso della forza per diffondere la fede. È proprio il contrario: la vera forza del cristiano è la forza della verità e dell’amore, che comporta rinunciare ad ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili".
Ma torniamo al Ratzinger del 2006 e a quelle sue memorabili parole sull'islam, decisive anche per comprendere la tragedia egiziana.
Ecco qui di seguito che cosa egli disse nella lezione di Ratisbona del 12 settembre e come commentò – una volta tornato a Roma – il suo viaggio in Turchia di quello stesso autunno.
__________
1. A RATISBONA
[…] Recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. […]
Nel settimo colloquio ("dialexis", controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihad, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa.
Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue – egli dice –, non agire secondo ragione, 'sun logo', è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.
A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia.
Modificando il primo versetto del libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il logos". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce "sun logo", con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio. […]
2. DI RITORNO DALLA TURCHIA
[…] In un dialogo da intensificare con l'Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica. [...]
Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura.
D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione. Come nella comunità cristiana c'è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.
Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s'impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà. […]
Nel dare notizia dei numerosi appelli per la cessazione delle violenze, "L'Osservatore Romano" del 18 agosto non è però riuscito a elencare tra queste invocazioni nemmeno una che provenisse dal mondo musulmano.
Questo silenzio pubblico delle guide spirituali islamiche non sorprende. Accompagna quasi ogni atto di violenza politica che veda in azione dei musulmani, nell'una o nell'altra regione del globo.
È un silenzio che non si spiega con soli calcoli di opportunità, o col timore di ritorsioni. Né per il solo fatto che oggi in Egitto lo scontro maggiore è tra opposte fazioni musulmane entrambe convinte di inverare con la forza i precetti dell'islam: perché non solo i Fratelli Musulmani del deposto presidente Mohamed Morsi hanno una concezione della lotta politica come jihad, come guerra santa, ma la ha anche il loro avversario Abdel Fattah Al Sisi, il generale messo a capo delle forze armate dallo stesso Morsi perché ritenuto il più fedele islamista di tutti.
Per capire la radice ultima del silenzio delle guide spirituali musulmane di fronte all'esplodere della violenza islamicamente ispirata basta fare una cosa semplice. Basta rileggere la parte iniziale della lezione tenuta da Benedetto XVI il 12 settembre 2006 nell'aula magna dell'università di Ratisbona.
Gli atti aggressivi con cui uomini e gruppi musulmani reagirono a quella lezione furono la tragica conferma della giustezza della tesi esposta da papa Joseph Ratinzger. Secondo cui la violenza associata alla fede è l'inevitabile prodotto del fragile legame tra fede e ragione nella dottrina musulmana.
Nessun papa prima di Benedetto XVI aveva mai avuto la chiarezza di visione e il coraggio di esprimere un giudizio così netto sull'islam, né di formulare con tale rigore la diversità tra islam e cristianesimo.
Dentro la Chiesa cattolica Benedetto XVI fu molto criticato per avere tanto osato. Lo si accusò di aver distrutto il "dialogo" col mondo musulmano.
In realtà appena due mesi dopo Ratisbona papa Ratzinger si raccolse in silenziosa preghiera nella Moschea Blu di Istanbul. E poté compiere quel gesto – altrimenti incomprensibile – proprio per aver detto chiaro qual era il suo pensiero in proposito.
E proprio dalla lezione di Ratisbona prese vita quel germoglio di dialogo islamo-cristiano che trovò espressione nella "lettera dei 138 saggi" scritta al papa da esponenti musulmani di vario orientamento.
Non solo. Sempre in quell'autunno del 2006, durante il suo viaggio in Turchia, Benedetto XVI disse chiaro al mondo musulmano che esso aveva davanti a sé la stessa sfida che il cristianesimo aveva già affrontato e superato positivamente: quella di "accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio".
Anche qui, mai nessun papa s'era spinto così avanti, prima di Benedetto XVI. E nemmeno dopo. Fino ad oggi.
Alla guerra civile che infiamma l'Egitto papa Francesco ha dedicato queste parole, dopo l'Angelus del giorno dell'Assunta:
"Giungono purtroppo notizie dolorose dall’Egitto. Desidero assicurare la mia preghiera per tutte le vittime e i loro familiari, per i feriti e per quanti soffrono. Preghiamo insieme per la pace, il dialogo, la riconciliazione in quella cara terra e nel mondo intero".
E tre giorni dopo, all'Angelus di domenica 18 agosto, vi ha forse alluso:
"Il Vangelo non autorizza affatto l’uso della forza per diffondere la fede. È proprio il contrario: la vera forza del cristiano è la forza della verità e dell’amore, che comporta rinunciare ad ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili".
Ma torniamo al Ratzinger del 2006 e a quelle sue memorabili parole sull'islam, decisive anche per comprendere la tragedia egiziana.
Ecco qui di seguito che cosa egli disse nella lezione di Ratisbona del 12 settembre e come commentò – una volta tornato a Roma – il suo viaggio in Turchia di quello stesso autunno.
__________
1. A RATISBONA
[…] Recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue. […]
Nel settimo colloquio ("dialexis", controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihad, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa.
Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue – egli dice –, non agire secondo ragione, 'sun logo', è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.
A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia.
Modificando il primo versetto del libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il logos". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce "sun logo", con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio. […]
2. DI RITORNO DALLA TURCHIA
[…] In un dialogo da intensificare con l'Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica. [...]
Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura.
D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione. Come nella comunità cristiana c'è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.
Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s'impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà. […]
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