Siamo nei giorni in cui ogni anno si fa la commemorazione dei defunti : giorni che corrono il rischio di essere fagocitati dalla ritualità mondana e secolarizzata di una visita al cimitero di cui non si coglie più la reale portata e vissuta quasi per esorcizzare un mistero, quello della Morte che si tende sempre più a nascondere e velare per il resto dei giorni dell’anno. Il rifiuto della Morte, e dei morti, va di pari passo però con il rifiuto del passato, con la perdita della memoria. Ma sappiamo dalla cronaca e dalla letteratura quanto dirompente possa essere per l’esistenza umana la perdita della memoria ! Coltivare la memoria dei morti credo allora che non sia una sorta di raffinata necrofilia ma invece amore autentico per la vita. E’ più che “corrispondenza d’amorosi sensi” che assicuri un pizzico di eternità ai defunti, è più che un modo per consolarsi della perdita dei propri cari : è un modo per riconoscere che la vita continua a fluire, che la linfa che sale dalle radici nell’albero è forza feconda che si dona, perpetuandosi, nei frutti. Perché io non sono frutto di me stesso, ma sono impastato delle passioni, delle gioie e delle speranze, dei lutti e delle angosce di chi è stato prima di me e mi ha generato alla vita, non solo quella fisica, ma anche sociale e - nel mio caso - anche ecclesiale. Nella mia memoria - e perciò nella mia esistenza - vivono non solo i grandi uomini che hanno fatto Scicli, non solo mio padre e i miei parenti, vivono pure la vecchina che mi portava a Messa quotidianamente, la maestra d’asilo per la quale sono rimasto piccolo allievo anche da prete, la delegata di Azione Cattolica a cui devo il forte senso ecclesiale, i piccoli e i poveri di spirito che mi hanno educato alla carità, chi mi ha insegnato a fotografare i cuori oltre che i volti, i sacerdoti da cui ho imparato che il sacrificio eucaristico non abbraccia solo la Messa ma anche l’esistenza, i compagni di giochi travolti dal peso della vita o da un destino crudele... Confesso di essere perciò molto legato ad una ricorrenza, quale quella del due novembre, che mi permette di sciogliere questo tributo di gratitudine nei confronti di chi ha contribuito a farmi essere quello che sono. E confesso di essere un nostalgico - e non potrebbe essere altrimenti - delle nostre usanze in occasione dei morti : “fare i morti”, regalare cioè qualcosa ai piccoli in nome dei morti era un modo della nostra gente di far percepire ancora la presenza di chi ha avuto ma continua, deve continuare, ad essere portatore di un significato nella nostra vita, direi quasi di una sorta di educazione delle nuove generazioni alla storia e all’eternità. Per non spezzare l’esile filo della memoria. Un popolo, quello ebraico, ha potuto sopportare il peso della sua storia affidandosi appunto alla memoria, al dovere di ricordare che i padri inculcano con forza ai figli, ritrovando in ciò la forza di risorgere a nuova vita ! La stessa esperienza cristiana è tutta imperniata sulla categoria del “memoriale” dei “mirabilia Dei”. Adesso i padri invece inseguono la modernità, i “murticieddi” sono stati soppiantati da Babbo Natale, macchina senza senso distributrice di regali a “go - go”, “gli antenati” sono solo il titolo di un programma di cartoni animati, sinonimo di vecchiume e di cose sorpassate, la storia è diventata accozzaglia di storielle, il passato è qualcosa che ci si può vantare di ignorare : una vacua signorinella in un programma televisivo estivo reclamava con forza il diritto a non conoscere la storia risorgimentale o della resistenza e del ’68 “perché lei ancora non era nata” (sic !) facendo intendere come del resto non le interessava conoscerla neanche ora ! Che dire allora? Non saprei, sinceramente, indicare soluzioni, né credo spetti a me darne : ognuno certo è capace di essere maestro a se stesso. Io offro qui la mia testimonianza : continuerò a “fare i morti” e a “farmi i morti” (l’unico regalo che annualmente mi permetto) in nome di quanti sono stati prima di noi e per noi : e non per popolare la mia vita di fantasmi, ma per riempirla di gioiose e preziose presenze, che rendano meno solitario il mio cammino, specie nei giorni della tristezza. Può sembrare paradossale ma celebrando i morti si celebra la Vita : in fondo non è questo il senso, per chi crede, di celebrare un Crocifisso Risorto dai morti ?
CATHOLICA FORMA : Non basta dirsi cristiani. Il credere deve avere una forma. La forma cattolica è il modo in cui la sostanza della fede cristiana prende corpo nel cuore dei credenti. Questo spazio vuole essere un luogo per mostrare la bellezza della fede cattolica.
domenica 1 novembre 2015
I murticieddi
Si può vivere bene il presente e proiettarsi consapevolmente nel futuro solo se si conosce il passato e ci si radica del passato : quando questo non avviene, e credo sia la tragedia dei nostri giorni, si vive un’esistenza da “spiantati”, sia personalmente sia come comunità civile nel suo insieme. E’ impossibile pensare ad un albero senza radici, ed è drammatico quando le radici di un albero sono troncate : sappiamo tutti che è la fine dell’albero stesso ! Credo infatti che l’amore per il passato, anzi, in questo senso, il diritto - dovere di coltivare la memoria delle storia, degli eventi e dei personaggi che ci hanno preceduti nella nostra umana avventura, non sia un sentimento superfluo o prerogativa di qualche “laudator temporis acti” solamente : è il prezzo necessario da pagare per comprendere la propria esistenza inscrivendola in uno spazio e un tempo non solo sincronicamente dati ma nel loro sviluppo diacronico in cui il susseguirsi di cause ed effetti, misti spesso alla sorprendente commistione di caso e necessità, svela il senso del mio essere nascosto nelle pieghe della storia, e per chi crede, anche il dispiegarsi del progetto divino attraverso il grande gioco della libertà umana che intreccia le proprie strade con le misteriose vie della Provvidenza. Ma essere “cultori” del passato significa essere inevitabilmente “cultori di morti” : di persone cioè che hanno consegnato ormai la loro esistenza nelle braccia della storia e che ci parlano solo attraverso le loro opere e quanto dei loro affetti hanno saputo far sedimentare nei nostri sentimenti.
Siamo nei giorni in cui ogni anno si fa la commemorazione dei defunti : giorni che corrono il rischio di essere fagocitati dalla ritualità mondana e secolarizzata di una visita al cimitero di cui non si coglie più la reale portata e vissuta quasi per esorcizzare un mistero, quello della Morte che si tende sempre più a nascondere e velare per il resto dei giorni dell’anno. Il rifiuto della Morte, e dei morti, va di pari passo però con il rifiuto del passato, con la perdita della memoria. Ma sappiamo dalla cronaca e dalla letteratura quanto dirompente possa essere per l’esistenza umana la perdita della memoria ! Coltivare la memoria dei morti credo allora che non sia una sorta di raffinata necrofilia ma invece amore autentico per la vita. E’ più che “corrispondenza d’amorosi sensi” che assicuri un pizzico di eternità ai defunti, è più che un modo per consolarsi della perdita dei propri cari : è un modo per riconoscere che la vita continua a fluire, che la linfa che sale dalle radici nell’albero è forza feconda che si dona, perpetuandosi, nei frutti. Perché io non sono frutto di me stesso, ma sono impastato delle passioni, delle gioie e delle speranze, dei lutti e delle angosce di chi è stato prima di me e mi ha generato alla vita, non solo quella fisica, ma anche sociale e - nel mio caso - anche ecclesiale. Nella mia memoria - e perciò nella mia esistenza - vivono non solo i grandi uomini che hanno fatto Scicli, non solo mio padre e i miei parenti, vivono pure la vecchina che mi portava a Messa quotidianamente, la maestra d’asilo per la quale sono rimasto piccolo allievo anche da prete, la delegata di Azione Cattolica a cui devo il forte senso ecclesiale, i piccoli e i poveri di spirito che mi hanno educato alla carità, chi mi ha insegnato a fotografare i cuori oltre che i volti, i sacerdoti da cui ho imparato che il sacrificio eucaristico non abbraccia solo la Messa ma anche l’esistenza, i compagni di giochi travolti dal peso della vita o da un destino crudele... Confesso di essere perciò molto legato ad una ricorrenza, quale quella del due novembre, che mi permette di sciogliere questo tributo di gratitudine nei confronti di chi ha contribuito a farmi essere quello che sono. E confesso di essere un nostalgico - e non potrebbe essere altrimenti - delle nostre usanze in occasione dei morti : “fare i morti”, regalare cioè qualcosa ai piccoli in nome dei morti era un modo della nostra gente di far percepire ancora la presenza di chi ha avuto ma continua, deve continuare, ad essere portatore di un significato nella nostra vita, direi quasi di una sorta di educazione delle nuove generazioni alla storia e all’eternità. Per non spezzare l’esile filo della memoria. Un popolo, quello ebraico, ha potuto sopportare il peso della sua storia affidandosi appunto alla memoria, al dovere di ricordare che i padri inculcano con forza ai figli, ritrovando in ciò la forza di risorgere a nuova vita ! La stessa esperienza cristiana è tutta imperniata sulla categoria del “memoriale” dei “mirabilia Dei”. Adesso i padri invece inseguono la modernità, i “murticieddi” sono stati soppiantati da Babbo Natale, macchina senza senso distributrice di regali a “go - go”, “gli antenati” sono solo il titolo di un programma di cartoni animati, sinonimo di vecchiume e di cose sorpassate, la storia è diventata accozzaglia di storielle, il passato è qualcosa che ci si può vantare di ignorare : una vacua signorinella in un programma televisivo estivo reclamava con forza il diritto a non conoscere la storia risorgimentale o della resistenza e del ’68 “perché lei ancora non era nata” (sic !) facendo intendere come del resto non le interessava conoscerla neanche ora ! Che dire allora? Non saprei, sinceramente, indicare soluzioni, né credo spetti a me darne : ognuno certo è capace di essere maestro a se stesso. Io offro qui la mia testimonianza : continuerò a “fare i morti” e a “farmi i morti” (l’unico regalo che annualmente mi permetto) in nome di quanti sono stati prima di noi e per noi : e non per popolare la mia vita di fantasmi, ma per riempirla di gioiose e preziose presenze, che rendano meno solitario il mio cammino, specie nei giorni della tristezza. Può sembrare paradossale ma celebrando i morti si celebra la Vita : in fondo non è questo il senso, per chi crede, di celebrare un Crocifisso Risorto dai morti ?
Siamo nei giorni in cui ogni anno si fa la commemorazione dei defunti : giorni che corrono il rischio di essere fagocitati dalla ritualità mondana e secolarizzata di una visita al cimitero di cui non si coglie più la reale portata e vissuta quasi per esorcizzare un mistero, quello della Morte che si tende sempre più a nascondere e velare per il resto dei giorni dell’anno. Il rifiuto della Morte, e dei morti, va di pari passo però con il rifiuto del passato, con la perdita della memoria. Ma sappiamo dalla cronaca e dalla letteratura quanto dirompente possa essere per l’esistenza umana la perdita della memoria ! Coltivare la memoria dei morti credo allora che non sia una sorta di raffinata necrofilia ma invece amore autentico per la vita. E’ più che “corrispondenza d’amorosi sensi” che assicuri un pizzico di eternità ai defunti, è più che un modo per consolarsi della perdita dei propri cari : è un modo per riconoscere che la vita continua a fluire, che la linfa che sale dalle radici nell’albero è forza feconda che si dona, perpetuandosi, nei frutti. Perché io non sono frutto di me stesso, ma sono impastato delle passioni, delle gioie e delle speranze, dei lutti e delle angosce di chi è stato prima di me e mi ha generato alla vita, non solo quella fisica, ma anche sociale e - nel mio caso - anche ecclesiale. Nella mia memoria - e perciò nella mia esistenza - vivono non solo i grandi uomini che hanno fatto Scicli, non solo mio padre e i miei parenti, vivono pure la vecchina che mi portava a Messa quotidianamente, la maestra d’asilo per la quale sono rimasto piccolo allievo anche da prete, la delegata di Azione Cattolica a cui devo il forte senso ecclesiale, i piccoli e i poveri di spirito che mi hanno educato alla carità, chi mi ha insegnato a fotografare i cuori oltre che i volti, i sacerdoti da cui ho imparato che il sacrificio eucaristico non abbraccia solo la Messa ma anche l’esistenza, i compagni di giochi travolti dal peso della vita o da un destino crudele... Confesso di essere perciò molto legato ad una ricorrenza, quale quella del due novembre, che mi permette di sciogliere questo tributo di gratitudine nei confronti di chi ha contribuito a farmi essere quello che sono. E confesso di essere un nostalgico - e non potrebbe essere altrimenti - delle nostre usanze in occasione dei morti : “fare i morti”, regalare cioè qualcosa ai piccoli in nome dei morti era un modo della nostra gente di far percepire ancora la presenza di chi ha avuto ma continua, deve continuare, ad essere portatore di un significato nella nostra vita, direi quasi di una sorta di educazione delle nuove generazioni alla storia e all’eternità. Per non spezzare l’esile filo della memoria. Un popolo, quello ebraico, ha potuto sopportare il peso della sua storia affidandosi appunto alla memoria, al dovere di ricordare che i padri inculcano con forza ai figli, ritrovando in ciò la forza di risorgere a nuova vita ! La stessa esperienza cristiana è tutta imperniata sulla categoria del “memoriale” dei “mirabilia Dei”. Adesso i padri invece inseguono la modernità, i “murticieddi” sono stati soppiantati da Babbo Natale, macchina senza senso distributrice di regali a “go - go”, “gli antenati” sono solo il titolo di un programma di cartoni animati, sinonimo di vecchiume e di cose sorpassate, la storia è diventata accozzaglia di storielle, il passato è qualcosa che ci si può vantare di ignorare : una vacua signorinella in un programma televisivo estivo reclamava con forza il diritto a non conoscere la storia risorgimentale o della resistenza e del ’68 “perché lei ancora non era nata” (sic !) facendo intendere come del resto non le interessava conoscerla neanche ora ! Che dire allora? Non saprei, sinceramente, indicare soluzioni, né credo spetti a me darne : ognuno certo è capace di essere maestro a se stesso. Io offro qui la mia testimonianza : continuerò a “fare i morti” e a “farmi i morti” (l’unico regalo che annualmente mi permetto) in nome di quanti sono stati prima di noi e per noi : e non per popolare la mia vita di fantasmi, ma per riempirla di gioiose e preziose presenze, che rendano meno solitario il mio cammino, specie nei giorni della tristezza. Può sembrare paradossale ma celebrando i morti si celebra la Vita : in fondo non è questo il senso, per chi crede, di celebrare un Crocifisso Risorto dai morti ?
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Grazie, Padre! Che bei ricordi anche per me, quando bambina aspettavo i miei morti ed i loro doni. E' un ricordo talmente bello e radicato in me che a distanza di mezzo secolo, mi fa amare ancora le caramelle colorate!
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