lunedì 18 maggio 2020

COSA CI LASCERA' L'EPIDEMIA?


Confesso che ho difficoltà ad avviarmi a scrivere queste righe dopo la pausa che ci ha imposto la quarantena. Perché ho paura che, impelagati in questioni che sembrano importanti ma che in realtà spesso sono solo pretestuose,  stiamo perdendo anzitutto una occasione per riflettere seriamente su cosa il virus ha portato allo scoperto. Questa dunque vorrebbe essere una riflessione sulla pandemia che non vuole farsi irretire nella polemica se aprire o chiudere e in che misura aprire o chiudere. Perché vuole andare ad alcune considerazioni spero più profonde.

In primo luogo credo che la pandemia abbia fatto cadere alcune maschere, perché (e io non mi ero fatto illusioni) chi era buono si è rivelato migliore (penso alla generosità e solidarietà di tanti in ogni campo) e chi aveva un animo bacato si è rivelato ancora peggiore.

Perché il problema non è quello che accade fuori, ma come reagisce l’animo umano: come davanti ai miracoli di Gesù: chi credeva aumentava la fede, chi non credeva diventava più incredulo, magari attribuendo i miracoli al diavolo pur di non cedere davanti a Gesù.  

Il problema è l’animo e dal modo in cui si fa interrogare dagli eventi (lieti o tristi).

Infatti, se un frutto positivo dobbiamo cogliere da questa situazione, è che (mi auguro), anzitutto, ci stiamo ricordando che siamo mortali. Che si muore. Che la morte fa parte della vita.

Avrebbero dovuto ricordarlo quelli che in tempi normali volevano nascondere o edulcorare la morte, ad esempio, nascondendo la visione dei nonni morti ai nipotini (che è l'unico modo per elaborare il sentimento della morte pedagogicamente e psicologicamente efficace) o non portandoli ai funerali e, magari, ora, si lamentano perché i morti sono portati senza riti funebri al cimitero. Avrebbero dovuto ricordarlo quelli che fino a ieri hanno propugnato teorie esoteriche e riti new age e neopagani e ora si lamentano perché si vedono recapitare i loro cari in urne cinerarie.

O il virus ti ricorda che sei mortale o sarà un'altra occasione sprecata di migliorare la tua vita. Questa situazione può essere per noi quello che in passato avevano le grandi raffigurazioni dei trionfi della morte. E gli ammonimenti della Chiesa: “ricordati che devi morire, ricordati che polvere sei e in polvere ritornerai!”

Non per fare terrorismo psicologico, ma perché a partire da ciò può scattare l'altra domanda: se devo morire, ha senso attaccarmi a cose che passano,  e lottare per cose che accumulo ma che mi possono essere tolte da un giorno all'altro?

Un mio amico mi ha detto: alla fine ringrazieremo il virus se ci avrà aiutato a riscoprire i veri valori, gli affetti, la famiglia, la solidarietà, il senso del limite umano.

Ammettiamolo, è da un po' che eravamo presi dal delirio di onnipotenza, magari alimentato dalla nuova religione della scienza novella salvatrice dell'umanità. E ora che abbiamo scoperto che la scienza non ha in mano tutte le chiavi della vita?

E magari ora (ri)scopriamo che il senso della vita sta in un orizzonte più ampio che (in qualsiasi modo lo si voglia intendere) per definizione chiamiamo Dio.

Il virus lo si vince ammettendo che non siamo dei. Punto.

Ma per fare ciò bisogna essere onesti intellettualmente e avere l'umiltà di cambiare. Altrimenti avremo perso solo tempo.

Perché il problema non è né il virus né la quarantena. Il problema è la capacità di sapersi mettere in crisi e magari di cambiare il proprio stile di pensare e vivere.

Cambiare.

Non solo per il fatto di abituarci a portare la mascherina. Ma a riconsiderare le grandi scelte di fondo.

Una lezione della pandemia che dobbiamo imparare è che, in ogni caso, abbiamo scoperto che con i vecchi sistemi ideologici (e quindi di vita) non si può continuare.

Sia a livello ecclesiale (si pensi, ad esempio, al vecchio modo di fare pastorale, specie sacramentale che si è rivelato inadeguato e la catechesi ha mostrato tutte le lacune accumulate dagli anni ’70 fino ad oggi, sfornando pseudo fedeli che non hanno retto all’impatto con la secolarizzazione).

Sia a livello civile (si pensi, ad esempio, al ruolo abnorme giocato in questo caso dalle oligocrazie economiche e quindi ad un ruolo che la politica deve recuperare sulla stessa economia, sia al ripensamento del principio di sussidiarietà nello Stato tra centralizzazione e delocalizzazione).

Sia, mi si permetta di fare un esempio riportato alla attenzione in questi giorni, nel rapporto tra Chiesa e Stato, senza riprese di vecchi collateralismi ma neanche subalternità strumentali, ma proprio per recuperare lo spazio di autonomia - non privilegi - che permetta una azione pastorale efficace e completa dove liturgia (il culto e i sacramenti), evangelizzazione (l’annuncio della Parola in tutte le sue forme) e servizio (la vicinanza ai piccoli e ai poveri) devono stare necessariamente insieme. Richiamare lo Stato ad una sana laicità è la garanzia perché la Chiesa continui a dare a Cesare quello che è di Cesare ma a Dio quello che è di Dio: in fondo era questo il richiamo della CEI al Governo, letto purtroppo solo come protesta per la riapertura delle chiese, quasi come rivendicazione sindacale; ma la Chiesa non può accettare di essere ridotta ad un club di volontariato che si occupa di distribuire viveri e aiuti, né i preti possono essere ridotti ad assistenti sociali, se poi non si dà modo di poter annunciare il Vangelo e amministrare i sacramenti.

Direi che siamo chiamati ad un impegno quasi da nuova “costituente”, sia a livello nazionale che, per non allargarci troppo, a livello europeo (visto la brutta immagine che la vecchia Europa sta dando di sé).

E’ certo, infatti, che si devono ripensare non solo il sistema sanitario ma anche il sistema scolastico ed educativo e il ruolo della famiglia.

Cioè si deve partire da un ruolo pedagogico e formativo che, giocando a rimpallino tra scuola e famiglia, ad esempio, alla fine non ha assolto più nessuno. Col risultato che abbiamo davanti a noi nuove generazioni non solo ignorantissime, ma anche fragili, vuote e inconcludenti.

Tutti inneggiano al grande modello della democrazia ateniese, dimenticando che lo stesso statuto politico e l’ideale di libertà erano solo le premesse per la realizzazione di una personalità armonica (mente e anima, corpo e spirito) e completa in tutte le sue dimensioni. Quello che i greci chiamavano “paideia”.

E in ciò una collaborazione tra Stato e Chiesa (ma direi Chiese, anzi, Religioni) in Italia è fondamentale e necessario (ma direi anche in Francia e in Spagna dove un malinteso laicismo ha esinanito questa collaborazione). E ciò a partire dalla riconsiderazione del ruolo essenziale che la religione, in qualsiasi modo venga intesa, svolge nella vita dell’uomo. Ma ciò può avvenire a partire da un recupero di una corretta antropologia. Mi azzarderei a dire che abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo, se non fossi consapevole che nel nome di nuovi umanesimi si sono sacrificati milioni di vite umane, sotto ogni latitudine e ogni bandiera. Perciò mi limito a dire che abbiamo bisogno di una visione dell’uomo che renda ragione di tutte le sue componenti. Che se l’uomo è solo un tubo digerente (come ancora pensano i nipotini di Feuerbach, e qualche strabico destrorso o sinistrorso che sia) capisco la sorpresa di quelli che si meravigliano di chi si è lamentato che i supermercati rimanevano aperti e le chiese no. C’è chi ha scritto infatti che di mancanza di cibo si muore, senza pregare non si muore. E’ la riprova, questa, di quanto materialista di fatto sia diventata la nostra società sazia e opulenta. E non mi stupisco che i morti siano stati avviati agli inceneritori come qualsiasi altro rifiuto organico. Tranne poi aprire numeri verdi e centralini di consulenza psicologica per aiutare le persone a superare la depressione che, lo ripeto, è venuta fuori non tanto per mancanza di soldi, quanto perché abbiamo scoperti che il re è nudo, o meglio ancora, ci siamo scoperti con le vergogne di fuori come Adamo ed Eva dopo il loro delirio di onnipotenza nel volersi mettere al posto di Dio e stabilire loro ciò che è bene e ciò che è male. Non è questo il peccato di origine che è venuto fuori? Abbiamo chiamato bene ciò che è male (non è così per aborto, eutanasia, eugenetica? Ripensate all’idea abnorme che col virus gli anziani si potevano anche non curare e far morire…). Abbiamo falsificato non solo e le misure e i pesi delle bilance, per dirla con Isaia, ma le nostre stesse vite giocando il gioco delle tre carte tra essere-avere-apparire.

Nonostante tutto non sono qui a paventare esiti tragici della storia, ma dato che, come mi ripete sempre un mio amico prete, sono un inguaribile ottimista, sono dell’idea che abbiamo ancora un margine (perché c’è sempre un margine) di risorse umane e spirituali per poterci riprendere la vita in mano. Lo spero. Per noi. Perché è la vera eredità da lasciare alle generazioni future.

 

 

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