venerdì 22 luglio 2011

Messa antica e messa nuova (3. Presentazione dei doni o offertorio?)

Continuiamo la nostra riflessione sulla riforma della messa. Forse la parte rituale dove si è messo mano in modo più forte rispetto ad altre parti è quella della presentazione dei doni.
Anche qui notiamo anzitutto la sostanziale continuità dei riti: (la presentazione del pane e del vino da parte dei fedeli insieme alle offerte per i poveri), la preparazione del pane e del vino, con l'infusione dell'acqua,   la offerta delle oblate a Dio, preghiere di accompagnamento ai gesti, preghiere di "purificazione" del sacerdote per passare all'offerta del sacrificio, incensazione...
Di per se gesti pratici che pian piano sono stati rivestiti di significato simbolico.
E per questo il sacerdote un tempo li compiva sottovoce, mentre si cantava la antifona d'offertorio, rimarcando così la differenza con la vera actio rituale che era poi il canone eucaristico.
Di per se la prima indicazione delle norme è per la recita di queste preghiere sottovoce e senza acclamazione (la rubrica dice: "secreto") e forse sarebbe opportuno recuperarla, anche se non si fa il canto, magari riproponendo l'antifona di offertorio che in modo inspiegabile non è più riportata nel messale.
Nella messa letta specialmente le preghiere della presentazione dei doni hanno acquistato un rilievo indebito che non devono avere, spingendo anche in questo caso ad un protagonismo eccessivo del celebrante e dei fedeli che intervengono con l'acclamazione.
Basti pensare che in alcuni riti particolari romani era sufficiente alzare la patena e il calice in un gesto di offerta senza nulla dire perchè di se stesso il  gesto è eloquente.
Le parole che hanno rivestito tale gesto non ne devono snaturare il significato.
Ed è naturale che nei secoli tale gesto, in tutte le liturgie, d'oriente e d'occidente, si sia rivestito anche di un significato "prolettico", anticipatore di quello che le oblate diventeranno e in vista di ciò sono onorate già alla stregua delle specie eucaristiche ad esempio con l'incensazione e una venerazione particolare. Se così non fosse, i riformatori postconciliari, per coerenza avrebbero dovuto eliminare anche l'incensazione dei doni!
E allo stesso modo con il richiedere già nelle preghiere la discesa dello Spirito santificatore: non è assolutamente una anticipazione indebita, è quasi già un pregustare il miracolo del dono eucaristico che subito dopo avverrà sulla sacra mensa sacrificale. Nessuno dei fedeli è stato mai così stolto da credere che questa invocazione dello Spirito sia un'altra epiclesi e un doppione di quanto avverrà durante il Canone!
Stranamente quello che si nega al rito antico è concesso alla messa zairese in cui al "Benedetto sei tu..." (fra l'altro si noti qui come le due oblate sono offerte insieme senza distinzione per la diversa simbologia tra pane e vino!) si integra la frase finale dicendo: "li offriamo a te...perchè per mezzo dello Spirito diventino per noi cibo e bevanda di salvezza". E nessuno si azzarderebbe a dire che questa preghiera è epicletica!
Perchè invece questo rito, con le sue preghiere "anticipatrici" ha di buono proprio il fatto che nei doni presentati ci ricorda che quel pane e quel vino sono il segno di colui che si è offerto per noi, è la memoria del Cristo che si avvia al sacrificio come ricordano i bizantini nel Cherubikon che accompagna l'ingresso dei doni. Ridurre la presentazione dei doni al gesto di apparecchiare la tavola e porvi il pane e il vino che poi saranno condivisi, riduce la messa ad un mangiare in comune in segno di fraternità, dimenticando che noi mangiamo un agnello che prima è stato sacrificato: non c'è banchetto eucaristico senza sacrificio.
Forse un eccessivo riferimento alle formule di benedizione ebraiche (la moda di giudaizzare non è nuova: c'è però il  fatto che mentre noi diamo per assodata una derivazione sic et simpliciter delle nostre formule liturgiche dalla tradizione giudaica, ciò non è affatto sicuro, giacchè l'origine di alcune preghiere ebraiche è così incerta che alcuni autori ebrei quali Hayoun hanno ipotizzato una loro derivazione dalla liturgia cristiana!!!) ha spinto a modificare l'antico "suscipe", creando un ibrido insoddisfacente: perchè, mi chiedo, che male c'era lasciare le antiche formule, o se proprio ritenute barocche, modificarle in modo da lasciare sempre l'iniziale "suscipe" e il riferimento esplicito che quel pane di vita è per noi il corpo di Cristo e quella bevanda di salvezza è il sangue di Cristo? Io l'avrei formulato nel modo seguente: Suscipe  Dómine, Deus univérsi, panem, quem de tua largitáte accépimus et tibi offérimus: ex quo nobis fiet panis vitae aeternae. //
Suscipe, Dómine, Deus univérsi, vinum, quod de tua largitáte accépimus et tibi offérimus: ex quo nobis fiet potus salutare. E magari poi avrei ripreso la formula che poi è stata usata per la benedizione del calice e della patena, e che avrebbe qui rappresentato un bellissimo pendant tra il gesto dell'offerta e quello della seguente incensazione: In altári tuo, Dómine Deus, panem et vinum  ad novi foderis sacrifícium celebrándum cum gáudio depónimus: per mysterium Corporis et Sanguinis Fílii tui, haec dona sancta effíciant,  ut sacrificium eius tuo sancto nomini elatum pro nostra et totius mundi salute cum odore suavitatis ascendat.

Comunque sia è in questo punto che deve emergere la consapevolezza che la Chiesa non ha altro da offrire al Padre se non il sacrificio del Figlio, sacrificio che egli stesso - come si dice in un'anafora moderna - ha posto nelle nostre mani. E perciò si può dire che è anche sacrificio della Chiesa: altrimenti non si capisce perchè poi si possa dire "nostro sacrificio... mio e vostro sacrifico" nelle formule seguenti e perchè anche noi preghiamo di essere accolti "suscipiamur" umili e pentiti nell'offrire il sacrificio a Dio.
Se non si comprende ciò si penserà a una dualità di sacrifici così da negare quello della Chiesa per salvare quello di Cristo: ma così facendo siamo nel protestantesimo e nella riduzione della Messa ad una santa cena senza offerta sacrificale rinnovata a Dio!
Allo stesso modo risulta inconsistente la polemica tra la dicitura presentazione dei doni ed offertorio, riservando la seconda per la conclusione del canone (a parte il fatto che bisognerebbe provare che il "per ipsum... ha una dimensione offertoriale, essendo di per sè solo una dossologia!) come affermano alcuni o comunque ad altro momento del canone (questo si: basti pensare all' "offerimus... de tuis donis ac datis), perchè non si è così poco intelligenti che la prima è l'offerta dei doni che diventeranno le sante oblate, la seconda è l'offerta del sacrificio del Cristo immolato. Anzi, il ricorrere alla stessa parola contribuisce a legare i due momenti. D'altronde questa sembrerebbe una polemica tutta italiana, gicchè ha tradotto con "lo presentiamo a te..." il latino "offerimus": come si vede anche nel nuovo rito si conserva il  verbo offrire, per cui non è sbagliato parlare di offertorio!
Nell'attesa di una riforma della riforma forse una celebrazione aderente strettamente alle rubriche ( e senza tutti i "licet" e "potest" e magari una traduzione più fedele dei testi) ci aiuterebbe a comprendere meglio tale momento della messa. (3. continua).

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