di Stefano Fontana (da L'occidentale)
17 Aprile 2012
Nel suo insegnamento di questi sette anni, le cose, ad una ad una, sono state rimesse al posto giusto. I riduzionismi, le ideologie, i vaneggiamenti postconciliari sono stati corretti e il quadro si è fatto chiaro. Il Concilio è stato collocato nella tradizione, come una novità nella continuità, all’ottimismo spesso ingenuo ha sostituito una grave e realistica riflessione sull’apostasia di tante folle alla fede dei padri, folle che si pensava di riconquistare inseguendo il mondo anziché parlando di Cristo. Ha ridato fiducia al fedele che si sentiva smarrito per i tanti “pontefici” nati nella contestazione e nel falso pluralismo, ha riparlato di autorità come elemento che favorisce una anamnesi interiore e dell’obbedienza come vera fonte di libertà, libertà non come la vuole il mondo, ci ha dato gli strumenti per combattere lo scientismo moderno dato che l’intelligenza umana non può essere frutto del caso o del determinismo materialistico, ha riposto la liturgia al centro della vita cristiana come Opus dei e non come momento di socializzazione.
I suoi interventi sono stati sempre precisi e coerenti, poco ha concesso alle tribune, si è come ritratto dai prosceni per rivendicare allo spirito i suoi spazi, alla fede la sua importanza, alla contemplazione e al silenzio la loro espressività. Ha detto che il Papa non governa solo con i decreti ma anche con la preghiera, ha detto che la realtà non si conosce solo con le scienze ma anche con la fede, ha detto che il mistero è più reale di quanto si vede e si tocca. Ha ridato alla fede cattolica la sua profondità spirituale incentrandola sull’invisibile che non muta senza con ciò – anzi, proprio per ciò – aprirle uno spazio nel mondo visibile che cambia.
Quanto dovremmo ringraziare questo Papa! Ha una viva consapevolezza della sporcizia presente anche nella Chiesa ed ha guidato la barca tra mille marosi, ma è riuscito a dare nuovo slancio missionario all’identità cristiana che aveva perduto il suo rapporto con la verità. Ha ricordato che il futuro della Chiesa dipende dalla santità e non dai piani pastorali. Ha confutato le dottrine esegetiche che vanno per la maggiore ed anche se in molte librerie cattoliche si preferiscono i libri di Hans Küng ai suoi, alla fine la linea da seguire sarà la sua. Anche se in molte università cattoliche si recalcitra davanti al suo insegnamento, alla fine la sua verità avrà la meglio. Anche se si pongono ostacoli a che i suoi insegnamenti vengano conosciuti e penetrino nella base della Chiesa, sicché spesso dottrina e pastorale nelle periferie ecclesiali sono ancora ferme agli anni Settanta, alla fine tutta la Chiesa lo seguirà. Egli sta davanti ed anticipa. Il popolo di Dio segue e arranca, tergiversa e in qualche caso indietreggia, nella titubanza anche di tanti uomini di Curia, ma la traccia è segnata.
Il 16 marzo scorso Joseph Ratzinger ha compiuto 85 anni. Il prossimo 19 marzo Benedetto XVI concluderà il settimo anno di pontificato. C’è un affetto particolare che lega i fedeli alla persona del Papa, c’è una fede particolare che li collega a Pietro.
Il pontificato di Benedetto XVI rimarrà nella storia della Chiesa come uno dei più importanti.
La sua grandezza è inversamente proporzionale alla sua umiltà.
La linea da lui indicata è così nitida, argomentata, forte e rispettosa da sconfiggere anzitempo tutti i suoi detrattori.
Con Benedetto XVI la Chiesa sta uscendo dalla confusione del post concilio.
Ci vorrà ancora molto tempo perché il percorso indicato filtri nel tessuto ecclesiale, non ci facciamo troppe illusioni e probabilmente anche lui non se ne fa, ma indietro non si torna: dove miravano Paolo VI e Giovanni Paolo II, là ci ha condotto Benedetto XVI. Potranno essere precisati alcuni dettagli non trascurabili, ma il grosso è stato fatto.
Molte cose si dimenticheranno anche di lui, come si dimenticano di tutti perché il tempo non fa preferenze. Non si dimenticheranno però il discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 sull’interpretazione del Vaticano II, il discorso di Ratisbona del 2006 sul rapporto tra fede e ragione, il ripristino della messa antica con il motu proprio Summorum Pontificum del 2007 e la Lettera a tutti i vescovi del mondo dopo aver ritirato la scomunica ai quattro vescovi ordinati da Mons. Lefebvre del 10 marzo 2009. Sono i quattro pilastri del non ritorno.
Dopo che nel 1966 Johann Baptist Metz, il creatore della teologia politica che fece deviare il postconcilio fuori della tradizione, aveva dichiarato che il mondo è ormai completamente mondano e che in esso Dio non si incontra più, Benedetto XVI ha impostato tutto il suo pontificato chiedendo ai cristiani di aprire uno spazio a Dio nel mondo. Se tanti cristiani nel postconcilio sono stati più preoccupati di salvaguardare il senso dello Stato che riconoscere che nulla nel creato è estraneo al dominio del Creatore, Benedetto XVI ha ricordato questa signoria di Dio e non ha fatto passi indietro nel rivendicare un ruolo pubblico per la religione cristiana. Si è rifiutato di concedere che la fede sia ridotta ad hobby personale e la rivelazione cristiana a una delle tante opinioni di uno degli dèi del pantheon postmoderno: le religioni non sono tutte uguali, l’ecumenismo non è indifferentismo religioso, il dialogo non sostituisce l’annuncio. Contro le teorie che destrutturano la verità ritenendola una forma di ideologia, Benedetto XVI ha invece incentrato il suo insegnamento proprio sulla verità del Logos, insegnando che il Bambinello cha giace nella mangiatoia di Betlemme è anche la Sapienza eterna del Padre che ha fatto tutte le cose. Ci ha liberato dalle tentazioni del nominalismo, ha ridato consapevolezza alla ragione perché ha inteso la fede come conoscenza anziché come esperienza, ha chiesto all’ermeneutica di risollevarsi nella metafisica, ci ha ridato fiducia nell’ordine dell’essere, che non è riducibile ad una nostra costruzione.Nel suo insegnamento di questi sette anni, le cose, ad una ad una, sono state rimesse al posto giusto. I riduzionismi, le ideologie, i vaneggiamenti postconciliari sono stati corretti e il quadro si è fatto chiaro. Il Concilio è stato collocato nella tradizione, come una novità nella continuità, all’ottimismo spesso ingenuo ha sostituito una grave e realistica riflessione sull’apostasia di tante folle alla fede dei padri, folle che si pensava di riconquistare inseguendo il mondo anziché parlando di Cristo. Ha ridato fiducia al fedele che si sentiva smarrito per i tanti “pontefici” nati nella contestazione e nel falso pluralismo, ha riparlato di autorità come elemento che favorisce una anamnesi interiore e dell’obbedienza come vera fonte di libertà, libertà non come la vuole il mondo, ci ha dato gli strumenti per combattere lo scientismo moderno dato che l’intelligenza umana non può essere frutto del caso o del determinismo materialistico, ha riposto la liturgia al centro della vita cristiana come Opus dei e non come momento di socializzazione.
I suoi interventi sono stati sempre precisi e coerenti, poco ha concesso alle tribune, si è come ritratto dai prosceni per rivendicare allo spirito i suoi spazi, alla fede la sua importanza, alla contemplazione e al silenzio la loro espressività. Ha detto che il Papa non governa solo con i decreti ma anche con la preghiera, ha detto che la realtà non si conosce solo con le scienze ma anche con la fede, ha detto che il mistero è più reale di quanto si vede e si tocca. Ha ridato alla fede cattolica la sua profondità spirituale incentrandola sull’invisibile che non muta senza con ciò – anzi, proprio per ciò – aprirle uno spazio nel mondo visibile che cambia.
Quanto dovremmo ringraziare questo Papa! Ha una viva consapevolezza della sporcizia presente anche nella Chiesa ed ha guidato la barca tra mille marosi, ma è riuscito a dare nuovo slancio missionario all’identità cristiana che aveva perduto il suo rapporto con la verità. Ha ricordato che il futuro della Chiesa dipende dalla santità e non dai piani pastorali. Ha confutato le dottrine esegetiche che vanno per la maggiore ed anche se in molte librerie cattoliche si preferiscono i libri di Hans Küng ai suoi, alla fine la linea da seguire sarà la sua. Anche se in molte università cattoliche si recalcitra davanti al suo insegnamento, alla fine la sua verità avrà la meglio. Anche se si pongono ostacoli a che i suoi insegnamenti vengano conosciuti e penetrino nella base della Chiesa, sicché spesso dottrina e pastorale nelle periferie ecclesiali sono ancora ferme agli anni Settanta, alla fine tutta la Chiesa lo seguirà. Egli sta davanti ed anticipa. Il popolo di Dio segue e arranca, tergiversa e in qualche caso indietreggia, nella titubanza anche di tanti uomini di Curia, ma la traccia è segnata.
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