Una meditazione sulla natura del presbiterato
Dobbiamo ringraziare Papa Benedetto XVI che ha voluto far coincidere l’indizione dell’Anno della fede con il 50° dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e il 20° della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, che recepisce tutta l’eredità del Concilio inserendola nel ricco e immutato patrimonio della Tradizione della Chiesa.
Dobbiamo dunque ritornare alle fonti. E non solo per il desiderio del papa ma perché ciò rappresenta la possibilità di collocare noi stessi e la nostra esperienza di fede nell’orizzonte dell’oggi del mondo e della storia della salvezza con una identità ben precisa.
Certo conosciamo tutti il decreto del Concilio sul ministero e la vita sacerdotale.
Io vi sono in special modo legato giacchè ha rappresentato la traccia degli esercizi spirituali in vista della mia ordinazione sacerdotale e già prima la traccia che ha segnato la maturazione della mia vocazione sacerdotale.
Il motivo è subito detto e chiaro: il documento presenta l’identikit del presbitero diocesano e delinea le linee fondamentali di una spiritualità sacerdotale che ha nell’ecclesiologia della communio del corpo di Cristo e del servizio al popolo di Dio il suo fondamento, ecco quanto si dice all'inizio del documento:
<<2. […]tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo, e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati dalle tenebre nella sua luce meravigliosa […]
Ma lo stesso Signore, affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo, di cui però « non tutte le membra hanno la stessa funzione » (Rm 12,4), promosse alcuni di loro come ministri, in modo che nel seno della società dei fedeli avessero la sacra potestà dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati (6), e che in nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la funzione sacerdotale. […]
La funzione dei presbiteri, in quanto strettamente vincolata all'ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo. Per questo motivo il sacerdozio dei presbiteri, pur presupponendo i sacramenti dell'iniziazione cristiana, viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, capo della Chiesa.
Dato che i presbiteri hanno una loro partecipazione nella funzione degli apostoli, ad essi è concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù fra le nazioni mediante il sacro ministero del Vangelo, affinché le nazioni diventino un'offerta gradita, santificata nello Spirito Santo. È infatti proprio per mezzo dell'annuncio apostolico del Vangelo che il popolo di Dio viene convocato e adunato, in modo che tutti coloro che appartengono a questo popolo, dato che sono santificati nello Spirito Santo, possano offrire se stessi come « ostia viva, santa, accettabile da Dio» (Rm 12,1). Ma è attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell'unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore.
A ciò tende e in ciò trova la sua perfetta realizzazione il ministero dei presbiteri. Effettivamente, il loro servizio, che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal sacrificio di Cristo, e ha come scopo che « tutta la città redenta, cioè la riunione e società dei santi, offra a Dio un sacrificio universale per mezzo del sommo Sacerdote, il quale ha anche offerto se stesso per noi con la sua passione, per farci diventare corpo di così eccelso capo ».
Pertanto, il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l'opera di Dio realizzata in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita.
Perciò i presbiteri, sia che si dedichino alla preghiera e all'adorazione, sia che predichino la parola, sia che offrano il sacrificio eucaristico e amministrino gli altri sacramenti, sia che svolgano altri ministeri ancora in servizio degli uomini, sempre contribuiscono all'aumento della gloria di Dio e nello stesso tempo ad arricchire gli uomini della vita divina. E tutte queste cose - le quali scaturiscono dalla pasqua di Cristo - troveranno pieno compimento nella venuta gloriosa dello stesso Signore, allorché egli consegnerà il regno a colui che è Dio e Padre>>.
Confesso che ho sentito sempre con dolore le affermazioni di chi diceva che il presbitero diocesano non ha una sua peculiarità o peggio di chi affermava di aver scoperto o riscoperto la sua identità ministeriale non lungo il suo itinerario vocazionale ma in seguito alla sua appartenenza a questo o a quel cammino o gruppo o associazione: senza nulla togliere a queste esperienze di fede, ho sentito sempre che la mia identità sacerdotale non potesse essere ridotta ad una esperienza, che – seppur bella – rimane sempre di parte.
Credo invece che a fondamento della vocazione presbiterale ci sia il sentirsi sempre parte del popolo di Dio: scelti dal popolo ma per servire il popolo di Dio, giacchè tutto il popolo è sacerdotale, cioè - come dice il decreto - è chiamato ad offrire se stesso come liturgia a Dio per Cristo nello Spirito Santo.
Noi esistiamo ma non per noi stessi: forse dovremmo interrogarci, anche sulla scia del vangelo di domenica, se a volte più che servire il popolo di Dio non ci serviamo del popolo di Dio per sottili autogratificazioni di noi stessi.
E come guidare i fedeli a offrire se stessi se noi non ci educhiamo ogni giorno ad offrire noi stessi e a far si che veramente tutto il nostro agire sia espressione di questo sacrificium laudis che siamo chiamati ad innalzare a Dio?
Il rischio infatti è serio e reale: che da servitori ci trasformiamo in faccendieri.
Perciò credo sia bello ciò che dice il decreto offrendoci la chiave per non disperderci tra le tante attività: avere la consapevolezza che qualsiasi attività si faccia dall’amministrare un sacramento all’atto di carità e foss’anche la gestione della contabilità stia contribuendo all’edificazione della chiesa, alla santificazione dei fratelli e in ultima analisi alla glorificazione di Dio.
E’ questo infatti ci ricorda il decreto il fine a cui tende tutto il ministero e la vita dei presbiteri.
E ce ne indica anche la via e il mezzo: è il mettersi alla scuola dell’eucaristia.
E’ nella celebrazione del sacrificio eucaristico infatti che noi impariamo da Cristo a sacrificare noi noi stessi così da aiutare tutti i fedeli ad offrire anche se stessi nell’unico sacrificio di Cristo.
L’identità sacerdotale è formata dunque dall’eucaristia; un sacerdote si comprende e può essere compreso solo a partire dall’eucaristia.
Confesso che in 25 anni di ministero è stata l’eucaristia la mia ancora di salvezza: quando tutto intorno ti viene a mancare – e prima o poi a tutti i preti succede – e anche lo stesso ministero e la stessa preghiera sembrano diventati aridi deserti, puoi sempre ritornare a dire con Cristo “prendete e mangiate… è il mio corpo dato per voi”…
Io ringrazio il Signore che, per una felice coincidenza col 25° della mia ordinazione, mi sta dando la grazia di ritornare alle sorgenti del mio ministero e della mia vocazione.
Voglio pregare e augurare ad ogni confratello presbitero che gli appuntamenti dell'Anno della fede, prima che pensare alle attività pastorali da fare, siano un modo per scoprire sempre in modo nuovo la nostra identità, la bellezza della fraternità sacerdotale, la gioia di servire il popolo di Dio, la consapevolezza di una vita sacrificata ma non dispersa ma che trova sempre nell’eucaristia la fonte e il culmine del suo ministero.
Dio conduca a compimento quello che ha iniziato in noi.
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