martedì 26 febbraio 2013

PAPA BENEDETTO E LA CARITA’ CHE E’ DIO


Forse solo in un futuro riusciremo a comprendere pienamente la grandezza e la profondità del magistero di Papa Benedetto XVI.
Perché se prima la sua teologia era dotta e illuminante, da Papa ha assunto l’autorevolezza, come qualcuno ha detto, di un Padre della Chiesa.
Certo il suo magistero è stato ordinario (nel senso canonico di non irreformabile) ma non per questo ha assunto meno valore: anzi, sono sicuro che da alcune acquisizioni a cui si è arrivati per suo merito la Chiesa non potrà più recedere.
Vorrei provare ad indicarne qualcuna, ad esempio la ricomprensione della carità non come una attività della Chiesa (in questo ha stigmatizzato con forza il “fare la carità” riducendo la Chiesa ad una istituzione di beneficenza fra tante) ma quanto nel suo aspetto teologale di esperienza stessa del Dio Unitrino che nella sua essenza è carità.
Pochissimi commentatori hanno colto la rivoluzione a partire dalla sua prima enciclica: Deus charitas est, in cui (e lo sapeva bene lui che veniva dalla terra protestante) ha invitato a superare la separazione tutta luterana di eros e agape, riprendendo l’affermazione (dall’esatta etimologia di eros: ricerca) che il Cristo esprime l’eros di Dio nei riguardi dell’uomo (e perciò simmetricamente anche l’eros/ricerca dell’uomo nei riguardi di Dio). E’ in questa ricerca dell’uomo da parte di Dio che Dio rivela il suo amore gratuito e sovrabbondante che è agape e charis/grazia, e cioè charitas. Un amore che rende possibile la risposta altrettanto amorosa dell’uomo verso Dio. In questo senso l’esperienza di fede si rivela per quello che è e deve essere nella sua pienezza esistenziale: l’esperienza mistica di un incontro erotico e agapico insieme tra Dio e l’uomo. Quell’esperienza del “gioco d’amore” cantato nel Cantico dei cantici e mirabilmente compreso dai mistici, appunto, quali ad esempio San Giovanni della Croce. Qui, solo qui, nella ricerca del volto dell’Amato è possibile l’esperienza della charitas che ti fa scorgere nel volto sfigurato del fratello il volto del Dio che in Cristo ha assunto il dolore del mondo nel suo annichilirsi in forma di servo.
A quanti pensavano ancora che Dio è Dogma, nel senso che la rivelazione di Dio è la rivelazione di un sapere di/su Dio, Papa Benedetto ha ricordato l’assunto giovanneo che Dio è amore e che la rivelazione del Figlio niente altro è che questo disvelamento dell’amore di Dio per gli uomini: una “passio” che trova il suo culmine proprio nella croce come rivelazione ultima del “Deus pro nobis”. Se Dio è amore/charitas allora la Chiesa non può non essere altrimenti. La Chiesa è carità. Perché solo la carità è capace di dare senso e carne e sangue ai vincoli della communio ecclesiale. Perché solo ponendosi come carità può presentarsi al mondo come serva della fraternità umana e della dignità di ogni singolo uomo immagine del volto di Dio.
Solo così si comprendono le altre encicliche del papa e tutto il suo successivo magistero. Fino ad un Motu proprio passato quasi inosservato: quello sulla ridefinizione proprio del ruolo del servizio di carità nella Chiesa.
Significativamente il papa parte dalla considerazione che nel Codice di diritto Canonico, nella parte che riguarda il vescovo diocesano, il legislatore è stato attento al suo ruolo di maestro della dottrina e di liturgo, ma ha tralasciato di indicare il vescovo come colui che presiede nella chiesa a lui affidata anche al servizio della carità, perché la fede annunciata e celebrata non può non essere vissuta e testimoniata come carità.
E questo non è un problema canonico. E’ ecclesiologico. Oserei dire che qui Papa Benedetto è stato profetico, nello spingere la Chiesa ad un rinnovamento non delle strutture e istituzioni (di cui ha sempre diffidato) ma della sua essenza stessa. La Chiesa del futuro non è chiamata a fare carità, ma ad essere carità: o sarà carità o non sarà affatto.

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