Caro don Ignazio,
ti confido innanzi tutto la trepidazione, unita alla gioia, con la quale ho
accolto fin da subito la richiesta fattami appena due giorni dopo la mia
ordinazione sacerdotale del 30 Giugno scorso, di offrire una parola di
riflessione che aiutasse a vivere con intensità di fede questa celebrazione
anniversaria nel ricordo del tuo XXV di sacerdozio. Saluto con affetto i
confratelli sacerdoti qui presenti, con i quali da appena due mesi
condividiamo lo stesso ministero sacerdotale, i diaconi, i carissimi
seminaristi presenti e tutti voi fratelli e sorelle nel Signore Gesù,
specialmente voi carissimi fedeli della Parrocchia di San Giuseppe, che fate
corona alla gioia e alla gratitudine del vostro parroco.
Un saluto colmo di stima e di gratitudine va innanzi tutto a te carissimo
Don Ignazio per l’affetto, la cura e l’attenzione che mi hai mostrato in
questi anni della mia formazione dove la nostra amicizia si è consolidata ed
ha assunto ora i tratti di un’autentica comunione sacerdotale.
Oggi celebri una tappa importante del tuo ministero sacerdotale, per la
quale tutti non possiamo non rendere grazie al Signore della vita. La
memoria eucaristica a cui partecipiamo in questo giorno a te caro, dove
ricordi il tuo “eccomi”, la tua risposta alla chiamata del Signore, “Eccomi
Signore disponi di me”, la scelta della vita, una vita che dentro la strada del
Signore si mette a sua disposizione, è per noi innanzi tutto memoria di un
incontro, quello decisivo per te, per l’orientamento dato alla tua esistenza,
nella fedeltà al ministero ricevuto venticinque anni orsono, ministero così
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ricco di frutti spirituali, risultato della tua fine intelligenza, del tuo spiccato
interesse per la cultura, per l’arte, per la storia, l’ecumenismo e il dialogo
interreligioso. Vogliamo essere noi, famiglia, amici e quanti hanno potuto
accostarsi a te condividendo un tratto del cammino, a voler ricordare e
celebrare non solo questa tua fedeltà al Signore e alla sua Chiesa, che sai
bene è puro dono e grazia speciale, quanto semmai, magnificare e benedire
un’altra fedeltà, quella misericordiosa e preveniente da parte di chi ti ha
chiamato a suo servizio come ministro del Vangelo e che tiene al sicuro,
nelle sue mani, il dono della tua vita e del tuo sacerdozio.
Deve condensarsi in noi la consapevolezza che la vocazione, secondo una
celebre frase del teologo Von Balthasar, non significa che noi diamo tutto a
Dio, ma che Dio si prende poco a poco tutto di noi!
Alla tua proposta mi sono subito chiesto che cosa poteva offrirti in questa
occasione così solenne un novello sacerdote, sprovvisto di esperienza e di
quella “sapienza” che qualifica il “presbitero”, secondo il senso proprio
della parola stessa: ossia l’anziano, il saggio. Certamente, qualcuno con più
anni di sacerdozio, con l’esperienza di un ministero piuttosto vissuto e
navigato alle spalle - come alcuni dei confratelli più anziani qui presenti -
avrebbe potuto in tal senso offrirti di più. Ma, riflettendo, ho pensato di
comunicarti ciò che di più singolare riscontro nella mia vita di novello
sacerdote: la gioia, l’entusiasmo e l’immensa gratitudine nella risposta alla
chiamata a seguire il Signore Gesù nella via del sacerdozio. L’essere
affascinati da Lui, innamorati del suo sacerdozio!!! Le prime esperienze nel
ministero che di giorno in giorno ravvivano l’adesione al Signore!
Me lo dicevi tu qualche giorno fa che questa Parola della liturgia odierna
non poteva essere più puntuale ed eloquente. Il Vangelo che abbiamo
appena ascoltato ha in sé qualcosa del primo mattino, della speranza, della
gioia e dell’inizio di un cammino, quello stesso cammino che a distanza di
venticinque anni abbiamo deciso di intraprendere, pronti a metterci al
servizio dell’annuncio del Vangelo e a fare della nostra vita un’esistenza
donata!
Il Signore oggi come allora continua a salire sul monte e chiamare
a sé quelli che Egli vuole. Potremmo dire che il monte è il luogo dove Gesù
medita la chiamata, la partorisce e quindi rappresenta l’esperienza della
nostra infanzia, della nostra famiglia, delle nostre parrocchie d’origine, del
Seminario, l’esperienza della tua famiglia, della tua parrocchia, dello stesso
Seminario in cui ci siamo formati, carissimo Don Ignazio. Luoghi e tempi
vitali a noi cari, che continuano a significare l’inizio del giorno della
Chiesa, il giorno di Gesù Cristo, il giorno dell’amore del Dio trino ed unico
che continua a manifestarsi nella vita di tanti giovani che intraprendono
questo cammino, è il monte sul quale Gesù sale per chiamare. Sale allora il
rendimento di grazie a Dio per la presenza nella tua vita di persone che ti
hanno accompagnato, che ti hanno forgiato, che hanno immesso nel tuo
cuore il desiderio di rispondere alla chiamata del Signore, strumenti di Dio
che ti hanno aiutato a comprendere il progetto di Dio sulla tua umile
esistenza.
Il monte è il luogo della preghiera di Gesù. E’ il luogo della sua
solitudine, del suo rivolgersi al Padre. È espressione dell’altezza,
dell’interiore elevarsi sopra le cose di tutti i giorni. La vocazione dei
discepoli scaturisce dal colloquio di Gesù con il Padre. Noi la possiamo
accogliere solo se condividiamo con Gesù questa elevazione interiore. Se
vogliamo scoprire la vocazione, accoglierla e portarla a maturazione, se
vogliamo rimanere fedeli in essa, dobbiamo scoprire il monte di Gesù
ovvero il distacco dalle cose di ogni giorno, e vivere la quiete, il
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raccoglimento, il contatto con il Dio vivente. Dobbiamo giungere a quella
apertura e a quell’altezza in cui si sente la voce di Gesù. Carissimo Don
Ignazio, questo è ciò che ti ha permesso di ritrovare linfa sempre nuova da
offrire al tuo ministero, e ciò che ti permetterà di ritrovarne, fonte di
entusiasmo (essere in Dio), fonte di gioia, che ti permette di proseguire
quella donazione totale di te stesso che è il fine ultimo della chiamata!
Significa entrare in contatto con il “mistero” che è Cristo stesso nel quale e
per il quale tutto è stato creato, riconoscere la sua sovranità. Sì, riconoscere
la sovranità di Cristo, la sua signoria, e lasciarsi edificare come tempio
della sua presenza. Così ci dice l’apostolo Paolo nella lettera ai Colossesi
appena ascoltata nella seconda lettura: “In Lui camminate, radicati e
costruiti su di Lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato …”
Prosegue il Vangelo “chiamò a sé i suoi discepoli”. Il sacerdozio
diventa possibile solo se si è imparato ad ascoltare la sua voce. Dipende da
un rapporto dialogico. Ma soprattutto dipende dalla sua iniziativa. Gesù
non chiama quelli che lo desideravano. Non chiama rifacendosi ad onori o
capacità intellettuali ben assodate. Non c’è nessun diritto al sacerdozio.
Nessuno può sceglierselo, come ci si sceglie un impegno qualsiasi. Si può
solo essere scelti per esso: è Lui che sceglie. È il Signore che vuole! Non
c’è un diritto umano, ma un diritto divino. Egli mi vuole! Egli ci vuole
carissimo Don Ignazio! C’è una volontà di Gesù nei nostri riguardi! Ed è in
questa volontà che ti auguriamo sempre di immergerti ed in essa maturare.
Questo è lo spazio della tua vita, lo spazio che dà valore e significato ad
essa. La nostra vita, il nostro ministero carissimo Don Ignazio sarà tanto
più pieno, tanto più libero, quanto più ci uniformeremo a questa volontà,
nella quale è racchiusa la più profonda verità di noi stessi. Sto facendo la
sua volontà! Questo è ciò che deve animare il nostro ministero!
“Ne scelse dodici”. Il sacerdozio è fatto da Gesù. Nessuno può
pronunciare da sé quelle parole che appartengono propriamente solo a Lui:
“questo è il mio corpo” “questo è il mio sangue” “io ti assolvo dai tuoi
peccati”. Questo è il fatto in assoluto più grande e consolante: entra nella
nostra storia qualcosa che va oltre tutte le nostre capacità. Agisci in
persona Christi! È sempre fonte di rinnovato entusiasmo e di immensa
riconoscenza al Signore! C’è da rimanere veramente stupiti! Parlare con
l’io di Gesù Cristo, rappresentare l’io di Gesù Cristo! Essere sacerdoti non
significa raggiungere una posizione per se stessi ma fare ciò che ha fatto
Cristo, che per poter raggiungere tutti noi, proprio Lui, l’autentico Primo, il
Dio vivente è divenuto l’ultimo tra gli uomini. Essere sacerdoti significa
introdursi sempre di nuovo in questo gesto di Gesù Cristo, starci per tutti,
con tutti, desiderare anche di essere ultimi affinché ovunque penetri la luce
del Dio vivente! Noi partecipiamo di questa “pienezza” di divinità direbbe
l’apostolo Paolo!
È significativo che il testo evangelico che abbiamo letto ci presenta gli
apostoli a condividere ciò che Gesù ha da offrire a “una grande folla di
suoi discepoli” e “ad una moltitudine di gente da tutta la Giudea, da
Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sìdone che erano venuti per
ascoltarlo, ed essere guariti dalle loro malattie”. Gli apostoli vengono
chiamati per annunciare e per guarire, per scacciare gli spiriti cattivi.
Annuncio e potere, Parola e Sacramento sono le due colonne fondamentali
del ministero sacerdotale. L’uomo ha bisogno di questo! L’anima è
affamata del Signore! Ed è questo carissimo Don Ignazio che volevo
confidarti alla luce delle mie primissime esperienze nel ministero della
riconciliazione! L’uomo non può vivere senza Dio! L’uomo ha bisogno di
rinascere. Ha bisogno continuamente di fare esperienza come dice
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l’apostolo Paolo nella pericope che abbiamo pocanzi ascoltato, di
riacquistare la vita che Dio ha dato a noi mediante il Cristo! Fare
l’esperienza del perdono e noi diventiamo davvero tramite e canali di
grazia! Oggi carissimo don Ignazio la Chiesa tutta ti dice grazie per essere
stato strumento della misericordia di Dio nell’amministrazione del
sacramento della riconciliazione, per aver aperto una vita nuova, quella vita
con Lui, la vita vera, la vita felice che solo la riconciliazione del cuore,
dell’intimo di ciascuno può assicurare. Se riflettiamo bene in fondo, da
dove viene oggi tanta violenza che degenera nel conflitto, tanto malessere
che attanaglia il nostro mondo? Domenica il papa parlava proprio di questo
all’Angelus “una guerra profonda contro il male”, quel male che seduce,
che oscura il cuore umano ed ammutolisce le coscienze!
Donare il nome di Gesù: questo è il contenuto del ministero
sacerdotale! Nessuno può parlare di sua iniziativa nel nome di Gesù. Solo
Lui può autorizzarci a farlo! “Ti metto le mie parole sulla bocca! Così dice
il Signore a Geremia! Lui, il profeta che aveva detto: “Ahimè, io non so
parlare, perché sono troppo giovane!” Quante volte carissimo Don Ignazio
abbiamo discusso così con il Signore, e la sua risposta rimarrà: Ma non
dipende da te! Io metto le mie parole sulla tua bocca! Per questo siamo
liberi e tranquilli di parlare, annunciare il nome di Gesù. Parlare in suo
nome dona grande tranquillità interiore, quella pace e quella libertà senza le
quali non sarebbe possibile svolgere questo ministero. Ti ringraziamo
carissimo Don Ignazio per quanto hai seminato in questi anni, per il tuo
annuncio sempre libero, coerente ed illuminante nei vari ambiti che ti
hanno visto in azione: la predicazione, l’insegnamento, il giornalismo e il
dibattito pubblico in ambito culturale soprattutto riguardo agli interessi
della comunità sciclitana Quanto mai significativa si rivela qui la tua scelta di mettere nella tua
immaginetta ricordo di questo anniversario la rappresentazione di un asino
che trasporta Dio. L’asino è simbolo di umiltà, di servizio mansueto e mite.
Ricordo una frase del Santo Curato d’Ars che dice così: Se Sansone con
una mascella d’asino ha potuto sterminare un esercito di Filistei, cosa farà
mai Dio con un asino intero! Il Santo sacerdote aveva coscienza della
propria pochezza ma confidava nella potenza di Dio, che attraverso la
disponibilità delle persone aveva fatto grandi cose. Oggi ci viene più volte
ripetuto che bisogna essere testimoni! Potremmo dire che la testimonianza
è divenuta quasi una categoria chiave della Teologia Fondamentale
contemporanea. “E’ più facile insegnare che educare, perché per insegnare
bisogna sapere, mentre per educare è necessario essere!” La “lezione” della
vita, dell’esser – ci, della nostra testimonianza è molto più eloquente di
tutte le lezioni che possiamo impartire. E’ con la vita che apriamo una
breccia tra le esistenze. Solo così segniamo dentro! (Per usare un’analogia
calcistica), in – segniamo!
“Ai quali diede il nome di apostoli”: Solo chi è scelto a stare con
Lui può essere mandato. Solo chi si lascia scegliere, inviare, cioè solo chi
sta con Lui, chi lo ha praticato nelle convivenze di lunghi giorni e notti,
solo costui può portarlo agli altri. Stare con Lui, questa è la prima e
fondamentale componente della vocazione sacerdotale. Chi sono del resto
gli apostoli? Sono coloro che l’hanno visto ed ascoltato. Testimoni oculari
ed auricolari. E questo “stare con Lui” non è necessario solo per un certo
periodo all’inizio, così da attingerne in seguito, ma esso deve essere sempre
al cuore del ministero sacerdotale. Lo si deve sempre esercitare, imparare!
Stare con Lui: imparare a tenere lo sguardo su di Lui, abituarsi e non finire
mai di ascoltarlo. La “crescita dell’uomo interiore” merita il nostro
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impegno. Il mondo ha bisogno di uomini che siano interiormente maturi e
ricchi! Ti ringraziamo carissimo Don Ignazio per quanto ci hai donato in
questi anni, per l’interiorità che hai nutrito nel tuo “stare con Lui” e per
quanta ricchezza hai seminato nei nostri cuori desiderosi di ricevere quella
linfa vitale che è la grazia del Cristo!
Gesù ne chiamò dodici. Dodici è il numero delle tribù di Israele,
ma è anche il numero delle costellazioni che scandiscono il ritmo
dell’anno. Conciliare il cielo e la terra “Sia fatta la tua volontà come in
cielo, così in terra” diciamo nel Padre Nostro. Questo è ciò che è chiamato
a fare il sacerdote: essere nuova costellazione nella storia, indicare il
cammino attraverso i secoli. Indicare la via di Gesù, il suo Amore, la sua
salvezza. E il Signore si serve proprio di uomini per fare ciò. Tutti noi
abbiamo provato come in fondo non vi sia lavoro più bello che essere
accanto alle persone in quel che è più essenzialmente legato alla loro
umanità. Essere esperti in umanità! Si tratta di esserci per la vita umana
stessa, essere vicino alle persone! E non in modo specialistico! Non siamo
specialisti e funzionari! No! Noi non siamo psicologi! Ma stiamo accanto
con tutta l’ampiezza della vita umana! Poter incontrare la vita umana in
tutta la sua ricchezza e poter strare accanto alle persone nei momenti
cruciali della loro vita, poter dare loro più di quello che potremmo dare da
noi stessi! Questo è il miracolo se così possiamo dire del nostro essere
“sacramento tra gli uomini”. Del nostro essere ministri della sua grazia, del
nostro essere unti di Lui per il mondo! Dare ciò che conta, servire in ciò
che conta, poter essere accanto alle persone a partire da Dio! Questa è la
cosa che deve commuoverci!
Ripensando concretamente a questo tuo servizio nella Chiesa carissimo
Don Ignazio, mi vengono in mente le parole pronunciate da Papa Francesco
nell’omelia della Messa Crismale, il 28 marzo scorso:
Così bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua
efficacia redentrice: nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue
versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi
padroni … Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico
“niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il
meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più
profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere
mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti
conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro
paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore,
non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui
deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere
tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità
oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” -
questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta
quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di
uomini … È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che
siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del
mondo attuale dove vale solo l’unzione - e non la funzione -, e risultano
feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo
fidati: Gesù.
Gesù raccolse un primo gruppo, quello dei Dodici, chiamandoli a formare
un’unità nel mutuo amore. Ogni sacerdozio nella Chiesa ha origine da una
vocazione. Questa è rivolta a una persona particolare, ma è legata alle
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chiamate che sono rivolte agli altri, nel contesto di un medesimo disegno di
evangelizzazione e di santificazione del mondo. Come gli Apostoli, anche i
Vescovi e i Sacerdoti sono chiamati insieme, pur nella molteplicità delle
vocazioni personali, da Colui che vuole impegnarli tutti a fondo nel mistero
della Redenzione. Carissimo Don Ignazio, come confratelli ti ringraziamo
per il desiderio di comunione e cooperazione che sempre ti ha
contraddistinto e ti chiediamo – e permettimi in modo particolare – ti
chiedo da novello sacerdote - di anelare a che si realizzi sempre più una
comunione sacerdotale e non ci manchi mai da parte tua il sostegno nel
ministero.
“Ti rendiamo grazie per averci ammesso alla tua presenza a compiere il
servizio sacerdotale”, dicono i sacerdoti nella preghiera eucaristica II. Ti
rendiamo grazie per averci ammesso alla tua presenza. È il ringraziamento
di tutti noi ed è il ringraziamento per il sacerdozio che Cristo ha donato alla
sua Chiesa. Infatti cosa ci può essere di più bello che stare alla presenza del
Dio vivente, servirlo e così servire il mondo? In questo rendimento di
grazie è espresso nel modo più misterioso e umile anche il nocciolo più
profondo del sacerdozio. Rendiamo grazie perché possiamo celebrare
l’Eucaristia, rendiamo grazie perché possiamo dire con l’io proprio di
Cristo: “questo è il mio corpo – questo è il mio sangue”. Rendiamo grazie
perché attraverso il ministero sacerdotale Lui viene in mezzo a noi, si da a
noi e in modo sempre nuovo ci eleva.
Oggi in modo particolare ringraziamo Dio per i venticinque anni di
sacerdozio che ha donato a Don Ignazio, perché ha potuto essere al servizio
del Signore in tutto il mondo con cuore lieto e con generosità. Ti
ringraziamo caro Don Ignazio per tutto quello che in questi venticinque
anni hai donato a noi e preghiamo il Dio vivente che ti conceda di continuare a camminare nella strada del sacerdozio col cuore contento e
con il coraggio di servire.
Ti affidiamo a Maria. Sappiamo quanto ti sta a cuore. Sappiamo la
tua forte devozione alla Madonna, da buon sciclitano, qualcosa che
accomuna tutti noi sciclitani carissimo Don Ignazio! L’immacolata,
l’Addolorata, la Madonna delle Milizie. Scicli, città mariana, da sempre.
Chi va da Maria è sempre sulla buona strada. E dove troviamo Maria siamo
sempre a casa nostra, soprattutto in quei momenti dove abbiamo bisogno di
porre in Lei Addolorata i nostri dolori, le sofferenze che ci affliggono.
Quando siamo in sua compagnia sappiamo di essere al sicuro. Lei è Madre
nostra, e pieni di fiducia possiamo sempre rivenire con semplicità da nostra
Madre. Maria, che è passata attraverso la morte senza esserne corrotta, ci
mostra la vita nella sua totalità. La vita da risorti! Discepoli del Signore
risorto! Sappiamo anche carissimo Don Ignazio il tuo legame e la tua
devozione al Cristo Risorto di Scicli, al “Gioia” come è a noi familiare!
Non importa se siamo aldilà o aldiquà della morte. Ciò che importa dice
Paolo è che siamo con Gesù. E’ allora che viviamo. E’ allora che gustiamo
già fin d’ora, nell’attesa di gustarla in pienezza nella nostra vera patria, il
Paradiso, la gioia del Cristo Risorto! Carissimo Don Ignazio ti auguriamo
sempre questo. Vivi da risorto! Vivi di gioia! Il tuo servizio sacerdotale sia
sempre circondato dalla luce trasfigurante della resurrezione così da
immettere orientamento, luce, conforto, speranza e gioia nella vita di molte
persone. Testimonia sempre che “la gioia del Signore è la nostra forza”. Sii
sempre servitore della nostra gioia! Così sia!
Don Manlio
CATHOLICA FORMA : Non basta dirsi cristiani. Il credere deve avere una forma. La forma cattolica è il modo in cui la sostanza della fede cristiana prende corpo nel cuore dei credenti. Questo spazio vuole essere un luogo per mostrare la bellezza della fede cattolica.
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