venerdì 14 marzo 2014

Perchè la discussione sui divorziati è inutile. A meno di dimenticare il pronunciamento dogmatico del Concilio di Trento. E diventare protestanti!

FRANCESCO ARZILLO
(Magistrato amministrativo a Roma. Il suo ultimo libro: “Esperienza giuridica e senso comune. Sul fondamento ontologico del diritto”)
Lo scritto di Giovanni Onofrio Zagloba si segnala per un approccio pacato al tema dei divorziati risposati, che oggi è all’’attenzione dell’’opinione pubblica ecclesiale: approccio accompagnato dalla sua manifestazione di disponibilità – in spirito autenticamente cattolico, oltre gli opposti integralismi dei tradizionalisti e dei progressisti – a recepire le decisioni che saranno adottate in merito dalla suprema autorità ecclesiale.
Non intendo qui soffermarmi sulla particolare declinazione che la nota di Zagloba offre in ordine alla prima delle ipotesi prospettate dal cardinale Kasper, la quale rimane ancorata al classico profilo della nullità del primo matrimonio.
Voglio piuttosto segnalare una carenza del dibattito pubblico corrente in merito alla seconda ipotesi avanzata da Kasper, la quale attiene alla possibilità di un cammino penitenziale che conduca alla riammissione all’Eucarestia di un divorziato risposato in casi particolari, anche in assenza della dichiarazione di nullità del primo matrimonio.
Il dibattito tende a concentrarsi sui profili pastorali, letti in relazione a quelli storici, intendendo per tali soprattutto quelli concernenti la prassi e la dottrina della Chiesa antica.
In parallelo si accenna spesso ai profili morali.  Su questo punto – che  attiene principalmente al foro interno – ci sarebbe molto da dire. I riferimenti all’equiprobabilismo e all’’epicheia andrebbero seriamente approfonditi, dato che   non si tratta  di chiavi che possano aprire tutte le porte. Per fare un esempio un po’’ forte ma chiaro, è evidente a tutti che nessun criterio tratto dai sistemi morali classici o dall’’epicheia potrà mai legittimare un aborto volontario, come tutti sanno e come risulta chiaramente dai principi enunciati – tra l’’altro – dall’’enciclica “Veritatis splendor”.
Non è però su questo che vorrei richiamare l’’attenzione.
Mi preme piuttosto ricordare che alla base di tutto ci sono problemi dogmatici gravissimi, che risultano dalla pura e semplice lettura dei canoni tratti dal Concilio di Trento, e in particolare di due di essi:
- ““Se qualcuno dirà che per motivo di eresia o a causa di una convivenza molesta o per l’’assenza esagerata dal coniuge si può sciogliere il vincolo matrimoniale, sia anatema””.
- “Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato ed insegna che secondo la dottrina evangelica ed apostolica (cfr. Mt 5, 32; 19,9; Mc 10, 11 – 12; Lc 16, 18; 1 Cor 7,11) non si può sciogliere il vincolo del matrimonio per l’’adulterio di uno dei coniugi, e che l’’uno e l’’altro (perfino l’’innocente, che non ha dato motivo all’’adulterio) non possono, mentre vive l’’altro coniuge, contrarre un altro matrimonio, e che, quindi, commette adulterio colui che, lasciata l’’adultera, ne sposa un’’altra, e colei che, scacciato l’’adultero, si sposa con un altro, sia anatema””.
Non occorre essere teologi di professione per comprendere che l’’attuale  posizione ufficiale della Chiesa ha un retroterra che attinge in ultima analisi alla sfera del dogma.
E non potrebbe essere altrimenti, dato che il matrimonio cristiano è un sacramento. Come del resto lo è anche l’’Eucarestia, per la quale vigono parimenti dei precisi pronunciamenti – anch’essi di natura dogmatica e non meramente disciplinare – che ne riservano, sulla scia di San Paolo, la ricezione ai soli fedeli che non si trovino in peccato mortale.
Ogni ipotesi di superamento della disciplina attuale deve confrontarsi con questi dati.
Certamente i teologi potranno approfondire ulteriormente l’’interpretazione di questi come di altri testi rilevanti, fornendo materiale di riflessione utile per gli ulteriori pronunciamenti vincolanti del magistero.
Si tratta peraltro di un lavoro eccezionalmente complesso, che non può essere banalizzato nella sede del dibattito pubblico e giornalistico, dando l’’erronea impressione che tutto sia disponibile e modificabile a piacere. O che  si tratti di comprendere oggi, come se fosse  la prima volta, questioni studiate e approfondite da secoli, in contesti  e in epoche molto difficili.
In  questo modo non si renderebbe un buon servizio né alla verità né alla carità, sempre indissolubilmente congiunte nell’’azione pastorale della Chiesa.
A quest’’ultimo riguardo, infine, non bisogna  fraintendere il  ruolo dell’’opinione pubblica ecclesiale, in ordine al quale occorre ricordare due punti fondamentali.
Anzitutto, è noto che la dottrina classica sul matrimonio riscuote una diffusa adesione in Africa e in Asia. E non è corretto preferire metodologicamente le inquietudini europee e americane, come se solo queste e non le prime costituissero espressione dei cosiddetti “segni dei tempi”.
Inoltre, e da ultimo, va ricordato il documento “Donum veritatis“, nel quale si censura  quella “argomentazione sociologica secondo la quale l’’opinione di un gran numero di cristiani sarebbe un’’espressione diretta ed adeguata del “senso soprannaturale della fede”:
“In realtà le opinioni dei fedeli non possono essere puramente e semplicemente identificate con il ’sensus fidei’. Quest’’ultimo è una proprietà della fede teologale la quale, essendo un dono di Dio che fa aderire personalmente alla verità, non può ingannarsi. Questa fede personale è anche fede della Chiesa, poiché Dio ha affidato alla Chiesa la custodia della Parola di Dio e, di conseguenza, ciò che il fedele crede è ciò che crede la Chiesa. Il ’sensus fidei’ implica pertanto, di sua natura, l’accordo profondo dello spirito e del cuore con la Chiesa, il ’sentire cum Ecclesia’. Se quindi la fede teologale in quanto tale non può ingannarsi, il credente può invece avere delle opinioni erronee, perché tutti i suoi pensieri non procedono dalla fede. Le idee che circolano nel Popolo di Dio non sono tutte in coerenza con la fede, tanto più che possono facilmente subire l’’influenza di una opinione pubblica veicolata dai moderni mezzi di comunicazione””.

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