martedì 1 aprile 2014

La mia chiesa, la mia parrocchia


LA CHIESA

La Chiesa di San Giuseppe fu costruita nel 1504 da parte di un devoto nel suo podere sito nel quartiere medievale extra moenia detto del Casale. La cura della Chiesa e lo sviluppo della devozione a San Giuseppe furono affidate alla nata confraternita di cui facevano parte i nobili, i cavalieri e tutti gli artigiani di Scicli. Nei primi del 1600 la Confraternita di Santa Agrippina, dopo aver ceduto il proprio oratorio e il proprio orto ai Frati minori cappuccini perché vi costruissero il loro convento con annesso lazzaretto per la cura degli appestati, si fuse con la Confraternita di San Giuseppe e trasferì il suo altare con il simulacro della santa presso la chiesa di S. Giuseppe. A partire da questo periodo la chiesa fu elevata a Gancia della Matrice come succursale per l’amministrazione del battesimo, dell’unzione degli infermi e del viatico ai fedeli che non potevano salire sul colle dirimpetto alla chiesa di San Matteo. Perciò ebbe il privilegio di poter avere il fonte battesimale e la conservazione degli olei sacri e del Santissimo Sacramento pur non essendo chiesa parrocchiale. Come tutte le altre chiese del Val di Noto crollò in buona parte nel terremoto del 1693 e i lavori di ricostruzione furono ripresi già ai primi del 1700 con l’impianto di una nuova chiesa in stile barocco in armonia con tutte le altre chiese ed edifici della città. I lavori furono terminati nel 1772 così che al presente abbiamo una chiesa a navata unica con cinque nicchie per lato dove sono collocati gli altari laterali e un grande catino absidale con l’altare maggiore e un presbiterio spazioso. La decorazione dello spazio interno è pregevole per gli stucchi e la tenue colorazione delle volte secondo il nuovo gusto dell’epoca. Purtroppo un primo restauro degli anni ’60 ha un po’ tradito l’armonia primigenia e il primitivo progetto della chiesa settecentesca con la distruzione dell’altare maggiore e di tutta la decorazione absidale e dei quattro altari laterali. La chiesa è stata elevata a parrocchia il 1 dicembre 1950 ed è tuttora aperta a tutte le attività pastorali. Di  interesse artistico nella chiesa si trovano la statua marmorea di Santa Agrippina, in marmo bianco colorato, su una base che porta in bassorilievo la storia del martirio della santa, datata 1497 e attribuita al famoso scultore Donatello Gagini, inserita in una parete abbellita da un panneggio in stucco dorato con al centro la colomba dello Spirito  Santo;        il fonte battesimale con catino in unico pezzo in pietra dura locale sormontato da copertura lignea a cupola ottogonale; due angeli che reggono una conchiglia a mo’ di acquasantiera in pietra dura locale ai due lati dell’ingresso della chiesa di pregevole fattura; un crocifisso ligneo attualmente conservato in una nicchia laterale; La statua lignea di San Giuseppe, realizzata tra il 1773 e il 1780, rivestita parzialmente con lamine di argento decorate con motivi floreali a cura di Don Giuseppe Iemmolo e del Barone Penna che donarono dieci once d’argento ad hoc. L’incarico della statua fu dato al napoletano Pietro Padula, autore del presepe ligneo conservato nella chiesa di San Bartolomeo di Scicli. L’opera, interrotta a causa della morte del Padula avvenuta nel 1778 fu ultimata dallo scultore sciclitani Pietro Cultraro (o Cultrera). Un quadro con la Madonna delle  Grazie  tra le sante martiri siciliane Agata e Lucia e le anime del Purgatorio, ex voto di un certo D’Antonio di Lorenzo datato 1745 di buona fattura locale; Un quadro della stessa epoca raffigurante la cacciata dei   venditori dal tempio in una ricca cornice lignea dorata di stile barocco; La balconata lignea del coro dove era situato l’organo a canne della stessa epoca, con pregevoli decorazioni barocche. la sede lignea del celebrante e i due sgabelli decorati a foglie di oro zecchino e le due consolle laterali dell’altare maggiore in legno.

LA RETTORIA DEL CALVARIO

Poco più in alto della chiesa parrocchiale si trova la chiesa rupestre di Santa Maria al Monte calvario. Scavata nella roccia ha un abside arricchito da un altare barocco con un paliotto con un altorilievo della Deposizione. Sull’altare è collocato un sepolcro in pietra con una scultura anche essa lapidea del Cristo morto. Ai lati del presbiterio in due nicchie laterali si trovano i busti in pietra della vergine Addolorata e di San Giovanni. Nelle pareti rimangono tracce di una ricca decorazione a pannelli colorati. Ancora oggi nella chiesa si tengono le Ufficiature della settimana santa. Dopo il crollo di San Matteo e delle altre chiese, questa chiesa ebbe il privilegio di fungere da matrice per tutto il periodo della ricostruzione dopo il terremoto.

LA FESTA

La chiesa di San Giuseppe a Scicli è il centro della devozione cittadina al Santo Patriarca. La festa di San Giuseppe a Scicli infatti è una delle più tradizionali e antiche non solo della città ma dell’intera provincia. E’ all’estendersi della devozione a San Giuseppe in epoca post-tridentina dovuta ai vari ordini religiosi presenti nella nostra Isola che anche a Scicli prese forma la festa nella sua configurazione attuale che ha i due punti peculiari nella Cavalcata e nella Cena, oltre alle consuete espressioni religiose legate alla processione e agli altri riti liturgici. In tante feste patronali non solo isolane ma anche nel meridione d’Italia noi troviamo una Cavalcata di Nobili che vanno a rendere omaggio al Santo Patrono sontuosamente vestiti e con cavalli riccamente bardati. La peculiarità della cavalcata di Scicli in onore di San Giuseppe è data anzitutto dalle gualdrappe delle cavalcature che sono realizzate non in stoffa ma decorate interamente con il fiore della violacciocca, in dialetto locale “BALUCU”. La scelta di questo fiore è determinata dal fatto di essere conosciuto, per la sua forma, come “bastone di San Giuseppe” (a ricordo del miracolo della sua elezione a sposo della Vergine Maria) come ricorda il nome stesso: Balucu da “BACULUM (= bastone)”. Secondo la tradizione quindi ancora al presente la vigilia della festa un gruppo di cavalieri vestiti con gli antichi costumi contadini (pantaloni e gilet di velluto nero, camicia bianca ricamata, fascia multicolore intessuta ai fianchi, fazzoletto rosso, burritta, stivali e pipa di canna) e a cavallo di queste cavalcature riccamente addobbate si danno appuntamento nella piazza centrale della città da dove, all’ora stabilita, il corteo si muove dirigendosi verso la chiesa di San Giuseppe. Sul sagrato ci si ferma insieme per ricevere la benedizione e prendere “in consegna” tre figuranti che interpretano la Santa Famiglia. Infatti nel corso degli anni la seconda parte della Cavalcata si è rivestita di un particolare significato religioso, passando da un semplice atto di omaggio alla rievocazione della FUGA IN EGITTO. I cavalieri dunque faranno quasi da scorta alla Santa Famiglia che con un asinello farà il giro della città rievocando le tappe della fuga e della ricerca di ospitalità, mentre al passaggio del corteo tutti gridano: Patriarca, Patriarca!!! Dietro di loro segue ogni tipo di cavalcatura: cavalli, muli e asini e, dopo quelli bardati, anche quelli con solo campanacci o niente semplicemente, tutti con in mano le tradizionali ciaccare, le fiaccole per illuminare la strada fatte con gli steli del locale ampelodesmo. Lungo il percorso la Cavalcata si fermerà in vari punti della città dove sono accesi i “PAGGHIARA” caratteristici FALO’ per illuminare e riscaldare la Famiglia in fuga. Gli abitanti del quartieri che curano il falò offriranno così ospitalità e qualcosa da mangiare ai membri della cavalcata che poi riprenderà il suo giro della città per concludersi nuovamente sul sagrato della Chiesa di San Giuseppe. I falò accesi, dal loro significato apotropaico antico, passeranno poi a costituire i punti di ritrovo e di incontro delle famiglie del quartiere e degli amici e dei passanti che saranno ospitati cortesemente in una serata in cui la condivisione del cibo diventa elemento aggregante e fonte di comunione e gratuità. Della festa in passato si sono occupati storici locali come il nostro Carioti e poi il Pitrè e Serafino Amabile Guastella. Vedere infatti i cavalli coperti dai manti infiorati in mezzo ai bagliori delle fiaccole e dei falò e fra lo scampanio assordante delle sonagliere e il vociare dei cavalieri rappresenta certamente uno spettacolo eccezionale e di grande attrazione turistica. La festa liturgica che ha  i suoi prodromi nei sette mercoledi precedenti si concentra poi nella celebrazione  della festa esterna con le  Messe e nella processione pomeridiana del Simulacro del Patriarca cui intervengono di nuovo i cavalieri, stavolta senza le bardature (esposte come atto di omaggio sul sagrato della chiesa) ma ai cavalli sono messi solamente i FILARI al collo con tante campane appese e dal suono caratteristico. La serata è conclusa dalla CENA (vendita all’incanto cioè dei doni offerti per i poveri e per i bisogni della chiesa: ceste di primizie e di frutta, formaggi, animali dolci tipici locali, vini, centrini ricamati e prodotti dell’artigianato locale) e dallo spettacolo pirotecnico. A queste manifestazioni principali ogni anno sono connesse altre attività di vario genere che ne costituiscono quasi la cornice.

LA PARROCCHIA

Il territorio della parrocchia  comprende l’antico quartiere del Casale (la cui caratteristica delle viuzze che si arrampicano sul lato della collina della Croce e rimasta soprattutto nel quartiere dell’Altobello) a cui man mano si sono aggiunti gli altri quartieri storici della Villa Penna, di San Marco,del Gesso e, in basso le vie parallele all’ex via larga di San Giuseppe. La parrocchia si estende però ampiamente verso tutte le contrade di campagna che fanno capo alle due strade per Sampieri e per Cava d’Aliga. Proprio per le sue vicende storiche nel quartiere di San Giuseppe sono convissuti sempre insieme la parte nobiliare ed alto borghese (di cui rimangono gli eleganti palazzotti) con la parte popolare formata da artigiani di vario genere ed agricoltori. Dopo gli anni della fuga verso le nuove zone adesso si registra un ritorno verso le vecchie case che vengono riadattate per le moderne esigenze. Inoltre in questi ultimi anni si registra anche un notevole incremento della presenza di immigrati polacchi, marocchini, tunisini e senegalesi. Nel guarire la comunità islamica ha aperto pure una moschea per la preghiera e gli incontri comunitari. Il tasso di natalità  non è basso come altrove per cui ancora si possono vedere bambini giocare insieme nelle stradine della parrocchia. Come alto è il numero delle persone anziane e sole. Certo, una attenzione maggiore da parte della pubblica amministrazione verso questo quartiere non dispiacerebbe (pulizia strade, recupero villa penna, migliore illuminazione, aiuti per chi vuole recuperare le abitazioni antiche…).  La parrocchia sta cercando, pur nella povertà di mezzi (fondi disponibili, mancanza di locali adatti, atteggiamento passivo di tante persone), di diventare non solo centro di evangelizzazione ma anche di promozione umana, specie in casi di disagio familiare. Inoltre si sta facendo un lavoro  per stimolare, specie i giovani, ad un senso di appartenenza  che si sta perdendo: crediamo che le nuove generazioni devono essere aiutate e invogliate a recepire e a continuare i tesori di tradizione, di pietà popolare e di folklore patrimonio della nostra terra: e il quartiere di San Giuseppe e la sua festa sono proprio ricchi di quanto di meglio la nostra storia locale ci possa dare. Da un sano orgoglio in questo senso penso potrà nascere anche la voglia per gli abitanti di un riscatto sociale del quartiere.

 

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