Viviamo in tempi in cui abbiamo
assistito - per dirla schematicamente - alla fine degli assolutismi, alla perdita
dei valori, al crollo degli ideali,
alla crisi delle istituzioni, al dilagare di una illegalità diffusa a
tutti i livelli, al lento ma a prima vista inarrestabile traballare di
famiglia, Stato, scuola....e aggiungerei anche Chiesa...
Conseguentemente abbiamo davanti
a noi ad esempio giovani sempre più
insicuri (vedi l’innalzamento e l’allargamento del periodo adolescenziale),
personalità fragili (vedi l’incapacità di fare scelte, specie se durature, e i
sacrifici conseguenti alle scelte, o di portarle avanti nel tempo :
emblematico è il fallimento di tanti matrimoni di coppie giovani, ), giovani vittime di manipolazioni ( vedi
l’influenza sempre più alta dei mass media), giovani contesi o dissociati
tra le diverse agenzie educative o pseudoeducative ( vedi i giovani che fanno
musica, sport, scautismo etc o che appartengono insieme a gruppi di matrice diversa...incapaci di
stabilire una gerarchia di valori o che rispondono ai valori/pseudovalori come
Zelig, il personaggio di Woody Allen, a seconda delle situazioni).
Il compromesso così sembra essere diventato la regola, l’incoerenza tra valori e scelte
concrete sembra quasi connaturata ad uno stile di vita sempre più
illuministicamente dissociato tra il dire e il fare (se è detto è fatto?!).
Risultato di tutto ciò è la frammentazione dell’identità: spesso si
vive quasi a compartimenti stagni, incapaci di operare una vera “reductio ad
unum”, cioè incapaci di ricondurre la diversità delle esperienze ad un unico
punto attorno al quale fare ruotare e dal quale ricevere senso, per leggere se
stessi come il soggetto unico della propria storia. Abbiamo bisogno di quel
“centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose,
sulla gente...” che cercava, cantando, Battiato.
Emblematica, a proposito, è la confusione dei ruoli (vedi il
rapporto uomo-donna o la crisi
dell’identità personale), oppure
il relativismo etico (se ogni persona ha la propria verità, allora fa
quello che vuole: è i trionfo del “secondo me”, del “mi piace, quindi è così”,
del “così è bello” o del “il corpo è mio e me lo gestisco io”) che sfocia, per
alcuni aspetti, nella pluriappartenenza (vedi
il caso del Baggio “buddista” o il fenomeno del New Age) e, per altri aspetti,
nella privatizzazione dei comportamenti.
Come definire allora un giovane
che vive in questa rete, spesso groviglio, di problemi che si riversano nella
sua esistenza e che la connotano e la condizionano spesso in modo tragico e
irreversibile, specie in situazioni socioculturali quali quelle della Sicilia
dominate da piaghe quali la disoccupazione, sacche di povertà ancora estese,
micro e maxi delinquenza, criminalità organizzata, mafia, inquinamento
sociopolitico ed ecclesiale, diffidenza verso le istituzioni, mancanza di senso
civico, religiosità popolare e costumi
ancora fortemente tradizionalistici?
Io lo definirei un “giovane a
rischio”, dove però la categoria “a rischio” prima che essere sociologica è
esistenziale: quello infatti che si mette a rischio non è qualche aspetto
della vita, materiale o no che sia, è anzitutto la vita stessa, nella sua
qualità, nella chiamata alla realizzazione piena di sé che ogni vita porta
inscritta nella propria esistenza.
In questo senso i giovani della Sicilia oggi sono a rischio,
perché il mondo è a rischio: la Sicilia è specchio di quello che oggi è il
mondo!
Eppure, pur parlando di
situazioni a rischio, non vorrei mancare al mio dovere di scout di saper vedere
anche il 5% di buono presente in quest’oggi e in questo mondo. Sarebbe infatti
ingiusto tacere di quelle tante realtà che viaggiano nella direzione opposta a
quella precedentemente vista: sono ad esempio l’impegno per la pace di tanti, la cooperazione e lo sviluppo tra i
popoli, l’impegno per la salvaguardia
del creato, per una società più giusta e solidale e più a misura d’uomo
(vedi l’AVS, il servizio civile, il
volontariato) e poi la rinascita di una coscienza
politica, il fermento antimafia, e , al livello ecclesiale, il risveglio e
l’impegno per una vera esperienza di fede in una Chiesa-Popolo di Dio e Corpo
di Cristo che vive nella testimonianza -a volte letteralmente vero e proprio
martirio - il proprio servizio dell’annuncio del vangelo del Regno al mondo.
Come ingiusto sarebbe inoltre non
riconoscere nel volto della Sicilia, per rimanere nell’ambiente che ci
interessa più da vicino, assieme alle tante rughe che lo deturpano, anche i
tratti della intelligenza, della forza e della tenacia con i quali spesso la
rassegnazione si trasforma in laboriosità; i tratti della generosità che si coniuga in termini di
solidarietà, ospitalità, accoglienza, tolleranza, integrazione razziale (è
questa la lezione della storia!), i tratti dell’ironia che pirandellianamente
sa elevare un innato pessimismo ad un
sano realismo ...sono tratti questi che rappresentano una risorsa, una
riserva, assieme a quelle realtà di bene cui prima accennavamo più in generale,
da cui trarre ricche suggestioni per il lavoro che ci apprestiamo a fare.
A questo punto, chi deve essere e
come un cristiano che vuole scommettere sulla formazione e sull’educazione
delle nuove generazioni?
E’ uno che ha anzitutto il coraggio
dell’intelligenza: cioè il coraggio di andare dentro le cose
(intus-legere), di superare le apparenze, di andare al nocciolo, alla sostanza
delle cose (sub-stantia:ciò che sta sotto), ricordando l’ammonimento della
volpe al Piccolo Principe: “l’essenziale è invisibile agli occhi”.
Questo significa, per un
educatore, la capacità di superare ogni superficialità, in noi stessi e
negli altri, il rifiuto di farci ingannare dagli specchietti per le allodole...per
andare alla interiorità: è il rifiuto del “look”, dell’apparenza per
ritornare all’essere.
E chi ha il coraggio
dell’intelligenza ha anche il coraggio del discernimento. Proprio
nell’epoca della contraddizione, della confusione e del relativismo il dovere
del discernimento si impone più che mai come il coraggio di scegliere e di
saper scegliere, distinguendo tra bene e male: “tutto provate, ritenete ciò che
è buono” ammonisce San Paolo.
Mi sembra che una delle urgenze
più grandi per gli educatori sia quella di aiutare a superare l’indifferentismo
e di educare alle scelte, alle scelte responsabili. Questo significa, per un
educatore, la capacità di un atteggiamento critico nei confronti di se
stesso anzitutto e poi degli altri e della realtà che ci circonda, non per
seminare dubbi o zizzania per partito preso, ma per sottoporre ogni cosa al
vaglio critico della Parola di Dio, che mettendo in luce le ombre del peccato e
le tentazioni al compromesso ci spinge a continua conversione.
Ma intelligenza e discernimento
si pagano con un altro coraggio: quello di ricercare
sempre, senza posa, la verità. Solo infatti chi ha l’umiltà di riconoscere
di non essere depositario di verità precostituite, avrà il coraggio di superare
ogni dogmatismo, di uscire dalle proprie sicurezze, spesso false, per
impegnarsi in un pellegrinaggio alla ricerca della verità, che diventa, per chi
ha il coraggio di compierlo fino in fondo, un cammino di liberazione, se vero,
come è vero, che la verità ci farà liberi (Gv).
Questo significa, per un
educatore che aspira a diventare formatore di personalità autentiche, la
capacità anzitutto di mettersi a nudo, di gettare la maschera, di sciogliere i
tanti legami dell’ipocrisia per ripartire da una vita sentita e vissuta nella sincerità del cuore.
E dato poi che per noi che ci
diciamo cristiani la verità non è un ideale astratto, o peggio un “flatus
vocis”, ma una persona ben concreta, Gesù di Nazareth che noi confessiamo come
il Cristo di Dio, allora potremo dire che l’educatore cristiano è uno che, oggi
più che mai, ha il coraggio di mettersi con più decisione alla sequela di
Cristo, nell’esperienza della fede, nella docilità allo Spirito,
nell’obbedienza della Parola, nella appartenenza ecclesiale, nella libertà
della coscienza.
Chi deve essere l’educatore
cristiano infatti se non colui che nella coerenza della propria vita
testimonia una sempre rinnovata fedeltà a Cristo che lo ha liberato? “liberi e
fedeli in Cristo” dice P. Haring a proposito della vita dei cristiani: libero e
fedele in Cristo deve essere un Capo, per essere a sua volta nella Chiesa e nel
mondo segno e strumento di liberazione. Poiché infatti oggi l’educazione non
può non coniugarsi in termini di liberazione, di superamento cioè delle
contraddizioni tra fede-vita, ideale-reale, interiore - esteriore,
pubblico-privato, personale-comunitario, materiale-spirituale...superamento in
vita della realizzazione dell’uomo integrale...
Questo significa per noi in
questa sede, avere il coraggio di una
revisione critica del nostro modo di essere e delle nostre scelte: prima di
guardare ai ragazzi dobbiamo guardare a noi stessi, con onestà! Ci dice
infatti il Vangelo che “se un cieco guida un altro cieco, entrambi finiscono in
una fossa”: allora molto onestamente dobbiamo dire oggi che i frutti del nostro
servizio dipendono dalla qualità di noi Capi. Dobbiamo allora puntare sulla
qualità, come primo impegno: sulla qualità dell’essere che si traduce in
termini di una spiritualità cristiana sempre
più sperimentata, vissuta, incarnata... e che sfocia nella qualità del
servizio che si traduce in termini di una competenza sempre maggiore (sono finiti i tempi del pressappochismo
e delle buone intenzioni!!!).
Noi purtroppo siamo figli e
vittime di quello che in filosofia oggi viene detto il “pensiero debole”: cosa
viene insegnato oggi? Che non esistono valori - certezze e che è inutile
cercarle e che se anche esistessero la nostra
mente non riuscirebbe a coglierli in pieno dati i suoi limiti, e che se anche riuscisse a
capire qualcosa non saprebbe né comunicarla né viverla: e allora? Allora
accontentiamoci di vivere alla giornata, di non pensare a mete irraggiungibili:
gli ideali? E chi li ha mai visti o toccati? Meglio altre mete che, guarda
caso, devono essere tangibili: beni, denaro, potere...si potrebbe continuare,
ma credo che ci siamo capiti: oggi assistiamo al trionfo della mediocrità, al
ripiego dell’uomo su se stesso, al rifiuto della sua chiamata ad essere Altro,
e alla conseguente tragedia della perdita dell’identità stessa dell’uomo.
Eppure il Poeta (!) ci aveva ammoniti: “fatti
non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza...”: A
parte la citazione dotta ,
Dobbiamo osare pensare in grande,
dobbiamo liberare i sogni e ritornare a giocare con le stelle: come
paradossalmente veniva suggerito a Peter Pan per crescere, per riuscire a
volare!
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