domenica 19 aprile 2015

CONTRO LE MISTIFICAZIONI SUL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA


E’ inutile negare che sia in atto una grave mistificazione sul concetto di matrimonio e di famiglia. Da più parti infatti si sente affermare che il concetto di matrimonio quale unione tra uomo e donna sia un concetto legato ad una idea peculiare della tradizione ebraico-cristiana e che ci sarebbero poi altre concezioni egualmente rispettabili di matrimonio slegate dalla identità sessuale dei partner. Ma se si guarda, senza lasciarsi fuorviare da alcun pregiudizio, alle varie tipologie socioculturali e religiose, sia a livello diacronico che sincronico, che nei vari luoghi del pianeta hanno dato vita all’istituto matrimoniale, si vede come tutte queste hanno sempre compreso il matrimonio come l’unione sponsale tra l’uomo e la donna. Di fatto sarebbe meglio dunque parlare di famiglia naturale. Nel senso più proprio del termine, cioè parliamo di una definizione di famiglia che non ha niente di sovrastruttura ideologica ma che non fa altro che prendere atto di un dato oggettivo, quello della natura, appunto, in cui il dato originario in cui il rapporto affettivo è intrinsecamente legato alla dimensione biologica (e quindi anche genitale) e antropologica nel suo complesso.
Ed è inutile negare che questa mistificazione parte da certe lobby culturali che vorrebbero slegare la sessualità (nel senso anche della identità genitale corrispondente) e il suo esercizio dalla dimensione antropologica e affettiva. Come dire che chiunque potrebbe scegliere di essere chiunque e di amare (anche sessualmente) chiunque, al di là della identità naturale che lo caratterizza.
Non più maschio e femmina, ma l’interpretazione di ruoli maschili e femminili (e di una variegatissima lista di “gender” diversi) al di là dello stesso essere maschi o femmine.
E’ dunque in atto una rivoluzione, la pretesa di imporre questi nuovi modelli culturali “praeter naturam” se non addirittura “contra naturam” a discapito dei tradizionali modelli antropologici “secundum naturam”.  
E per far ciò si sta concentrando l’attacco sul livello più vulnerabile della società che è quello educativo.
Col tentativo di servirsi delle strutture educative dello Stato, la scuola anzitutto, per far crescere le nuove generazioni secondo questi nuovi convincimenti, dando per assodato come sia più facile “educare” un bambino che “rieducare” un adulto alle nuove teorie.
Ma può davvero uno stato democratico permettere tutto ciò? No, a meno che non si voglia trasformare esso stesso in uno Stato “etico” (che antinomia con la realtà dei fatti!) con la pretesa di imporre una dottrina antropologica particolare, sostituendosi in questo al ruolo originale e primario della educazione dei figli che spetta ai genitori, nel luogo educativo fondamentale che è la famiglia.
In Italia ciò è riconosciuto dalla stessa Costituzione repubblicana, basti pensare ai seguenti articoli:
<<Art. 2 - La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
Art. 30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio>>.
Ai quali fa eco il conosciutissimo art. 147 del codice civile letto in ogni celebrazione di matrimonio, la cui nuova formulazione è la seguente: 
 <<Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis>>.
Ciò presuppone dunque non solo la rinuncia di uno Stato a imporre una sua ideologia educativa (gli Stati che nel ‘900 hanno fatto questo, hanno generato esiti drammatici, dal comunismo al nazismo al fascismo …) e a vigilare perché nessuno, singoli o gruppi, vogliano usare lo Stato per prevaricare sugli altri, generando di fatti una dittatura ideologica e dettando così la fine delle regole del gioco democratico; ma suppone anche di converso, l’impegno dello stesso Stato perché risulti difeso e mantenuto il concetto oggettivo e naturale di matrimonio e famiglia.
Uno stato serio dovrebbe impegnare tutte le sue energie proprio nel riconoscimento del ruolo primario della famiglia e quindi nel riconoscimento del diritto- dovere primario dei genitori circa l’educazione dei figli secondo le loro convinzioni e credenze, compresa la sfera sessuale ed affettiva. E proprio nel rispetto di tale diritto – dovere hanno il diritto di essere coinvolti dalla scuola, e da tutte le agenzie educative nella educazione dei propri figli: il futuro della famiglia si gioca infatti tutto nella capacità di recupero della dimensione educativa con cui i genitori passano ai figli il testimone della vita e la gioia di assumerne la relativa responsabilità senza fughe e timori.
 Il recupero e/o la difesa di un concetto vero e reale di famiglia interessa infatti anche la società civile e la salvaguardia del bene comune, cosa di cui si dovrebbe occupare principalmente uno stato e una classe politica e dirigente seria. Perché anche in uno stato laico (autenticamente e non ideologicamente laico) per il principio di sussidiarietà su cui si fonda la convivenza sociale, la salvaguardia del matrimonio e della famiglia significa la salvaguardia del primo mattone su cui si regge tutta la società.
Anche chi è laico e non credente sa che la salvaguardia della famiglia è la premessa per la salvaguardia di uno stato civile.

In questo senso le famiglie cristiane e le stesse parrocchie e aggregazioni ecclesiali, nell’impegno di una cittadinanza leale e veritiera nella vita democratica dello stato hanno sicuramente un ruolo da svolgere nell’offerta di una proposta educativa umanizzante e non ideologica e rispettosa di ogni identità particolare. 

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