E’
inutile negare che sia in atto una grave mistificazione sul concetto di
matrimonio e di famiglia. Da più parti infatti si sente affermare che il
concetto di matrimonio quale unione tra uomo e donna sia un concetto legato ad
una idea peculiare della tradizione ebraico-cristiana e che ci sarebbero poi altre
concezioni egualmente rispettabili di matrimonio slegate dalla identità
sessuale dei partner. Ma se si guarda, senza lasciarsi fuorviare da alcun
pregiudizio, alle varie tipologie socioculturali e religiose, sia a livello
diacronico che sincronico, che nei vari luoghi del pianeta hanno dato vita
all’istituto matrimoniale, si vede come tutte queste hanno sempre compreso il
matrimonio come l’unione sponsale tra l’uomo e la donna. Di fatto sarebbe
meglio dunque parlare di famiglia naturale. Nel senso più proprio del termine,
cioè parliamo di una definizione di famiglia che non ha niente di
sovrastruttura ideologica ma che non fa altro che prendere atto di un dato
oggettivo, quello della natura, appunto, in cui il dato originario in cui il
rapporto affettivo è intrinsecamente legato alla dimensione biologica (e quindi
anche genitale) e antropologica nel suo complesso.
Ed è
inutile negare che questa mistificazione parte da certe lobby culturali che vorrebbero
slegare la sessualità (nel senso anche della identità genitale corrispondente)
e il suo esercizio dalla dimensione antropologica e affettiva. Come dire che
chiunque potrebbe scegliere di essere chiunque e di amare (anche sessualmente)
chiunque, al di là della identità naturale che lo caratterizza.
Non
più maschio e femmina, ma l’interpretazione di ruoli maschili e femminili (e di
una variegatissima lista di “gender” diversi) al di là dello stesso essere
maschi o femmine.
E’
dunque in atto una rivoluzione, la pretesa di imporre questi nuovi modelli
culturali “praeter naturam” se non addirittura “contra naturam” a discapito dei
tradizionali modelli antropologici “secundum naturam”.
E
per far ciò si sta concentrando l’attacco sul livello più vulnerabile della
società che è quello educativo.
Col
tentativo di servirsi delle strutture educative dello Stato, la scuola
anzitutto, per far crescere le nuove generazioni secondo questi nuovi
convincimenti, dando per assodato come sia più facile “educare” un bambino che
“rieducare” un adulto alle nuove teorie.
Ma
può davvero uno stato democratico permettere tutto ciò? No, a meno che non si
voglia trasformare esso stesso in uno Stato “etico” (che antinomia con la
realtà dei fatti!) con la pretesa di imporre una dottrina antropologica
particolare, sostituendosi in questo al ruolo originale e primario della
educazione dei figli che spetta ai genitori, nel luogo educativo fondamentale
che è la famiglia.
In
Italia ciò è riconosciuto dalla stessa Costituzione repubblicana, basti pensare
ai seguenti articoli:
<<Art.
2 - La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia
come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale.
Art.
29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità
familiare.
Art.
30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori del matrimonio>>.
Ai
quali fa eco il conosciutissimo art. 147 del codice civile letto in ogni
celebrazione di matrimonio, la cui nuova formulazione è la seguente:
<<Il
matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire,
educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità,
inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo
315-bis>>.
Ciò
presuppone dunque non solo la rinuncia di uno Stato a imporre una sua ideologia
educativa (gli Stati che nel ‘900 hanno fatto questo, hanno generato esiti
drammatici, dal comunismo al nazismo al fascismo …) e a vigilare perché
nessuno, singoli o gruppi, vogliano usare lo Stato per prevaricare sugli altri,
generando di fatti una dittatura ideologica e dettando così la fine delle
regole del gioco democratico; ma suppone anche di converso, l’impegno dello
stesso Stato perché risulti difeso e mantenuto il concetto oggettivo e naturale
di matrimonio e famiglia.
Uno
stato serio dovrebbe impegnare tutte le sue energie proprio nel riconoscimento
del ruolo primario della famiglia e quindi nel riconoscimento del diritto-
dovere primario dei genitori circa l’educazione dei figli secondo le loro
convinzioni e credenze, compresa la sfera sessuale ed affettiva. E proprio nel
rispetto di tale diritto – dovere hanno il diritto di essere coinvolti dalla
scuola, e da tutte le agenzie educative nella educazione dei propri figli: il
futuro della famiglia si gioca infatti tutto nella capacità di recupero della
dimensione educativa con cui i genitori passano ai figli il testimone della
vita e la gioia di assumerne la relativa responsabilità senza fughe e timori.
Il recupero e/o la difesa di un concetto vero
e reale di famiglia interessa infatti anche la società civile e la salvaguardia
del bene comune, cosa di cui si dovrebbe occupare principalmente uno stato e
una classe politica e dirigente seria. Perché anche in uno stato laico
(autenticamente e non ideologicamente laico) per il principio di sussidiarietà
su cui si fonda la convivenza sociale, la salvaguardia del matrimonio e della
famiglia significa la salvaguardia del primo mattone su cui si regge tutta la
società.
Anche
chi è laico e non credente sa che la salvaguardia della famiglia è la premessa
per la salvaguardia di uno stato civile.
In
questo senso le famiglie cristiane e le stesse parrocchie e aggregazioni
ecclesiali, nell’impegno di una cittadinanza leale e veritiera nella vita
democratica dello stato hanno sicuramente un ruolo da svolgere nell’offerta di
una proposta educativa umanizzante e non ideologica e rispettosa di ogni
identità particolare.
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