La seconda
assemblea sinodale: un evento di Chiesa.
Doveva
essere l’ultima assemblea del cammino sinodale delle Chiese in Italia e invece
ce ne sarà una terza! La seconda assemblea del cammino sinodale in Italia (31
marzo – 3 aprile 2025) ha infatti deliberato di riformulare il testo delle
proposizioni sinodali presentate dalla Segreteria e che, dopo la discussione
nell’Aula Paolo VI e la votazione sulle eventuali mozioni doveva produrre il
testo finale delle proposizioni che doveva essere sottoposto all’Assemblea
ordinaria dei vescovi della CEI a maggio (e che per questo motivo è stata
annullata e spostata a novembre). Le proposizioni da approvare dovevano
rappresentare, infatti, la base del Documento finale del cammino contenente le
scelte e le mete operative future delle Chiese italiane. Così, invece, le
proposizioni riformulate confluiranno nel documento che, come ora è stato
deciso, sarà presentato per il voto all’assemblea nazionale dei delegati
diocesani sabato 25 ottobre 2025, nella cornice del pellegrinaggio giubilare mondiale
dei referenti sinodali e dei membri degli organismi di partecipazione. Il nuovo
testo votato sarà poi posto all'attenzione dell'Assemblea dei vescovi della CEI
nel novembre 2025.
Non
è stata una bocciatura del testo, come alcuni media hanno sbrigativamente (e
maliziosamente) riportato, con una lettura che non riesce a cogliere il taglio
spirituale dell'avvenimento. E ce da dispiacersene. Il Card. Zuppi, d’altronde,
lo aveva anticipato, nell'omelia conclusiva, quando avvertiva che avrebbero
diviso i membri dell’Assemblea in progressisti e conservatori, di destra e di
sinistra, che avrebbero parlato di laicato in rivolta contro l’episcopato, che
avrebbero calato dall'alto sull’evento griglie mondane di rivalse di potere tra
minoranze e maggioranza, non avendo altre ottiche con cui leggere la vita e le
dinamiche ecclesiali.
La
inadeguatezza delle proposizioni, in verità, era apparsa subito evidente alla
ricezione del testo da parte dei delegati, prima dell’assemblea, a partire anzitutto
dalla constatazione che la stringatezza delle proposizioni, e da qui la loro
genericità, non rendeva conto della ricchezza e della vitalità delle diocesi
emersa in questi quattro anni di cammino e condensata nelle relazioni finali, inviate
entro il 2 marzo 2025, alla segreteria del cammino sinodale.
Come
la segreteria ha riferito, alla scadenza erano pervenute relazioni da 196
diocesi (sulla totalità delle poco più di 200 diocesi italiane): e questo è già
indice del grande coinvolgimento con cui nelle chiese locali si è vissuto il
cammino sinodale.
È
comprensibile come non sia stato possibile esaminare con serenità tutto il
materiale e farne una sintesi adeguata, in due settimane, spinti dalla fretta
di giungere appunto alla formulazione delle proposizioni, che sono state
anticipate ai referenti diocesani solamente nel pomeriggio di sabato 29 marzo,
appena due giorni prima dell’apertura dell’Assemblea.
Oltre
la fretta, forse è stata presa troppo alla lettera e con troppo “zelo”, da
parte di chi aveva avuto il compito della redazione, l’indicazione di formulare
proposizioni sintetiche, così alla fine sono venute fuori proposizioni fredde e
“asciutte”, in cui non era più riconoscibile il retroterra ecclesiale e l’afflato
missionario che pur era evidenziato nelle premesse alle proposizioni,
riprendendo l’evangelico “perché la gioia sia piena”.
La
considerazione, poi, che le proposizioni di per sé non erano il Documento
finale ma dovevano servire solo da “ponte” per la scrittura vera e propria di
detto Documento nell’Assemblea dei Vescovi a maggio, avrà certo influito e fatto
sì che i compilatori rimanessero al livello del generico e del superficiale.
Una considerazione, questa, fatta circolare da chi in ogni caso voleva che si
distinguesse il ruolo decisionale dei vescovi dalle proposizioni formulate
dall’assemblea, richiamando l’indicazione codiciale per cui nel Sinodo
diocesano “l’unico legislatore è il vescovo” e spetta a lui accogliere e
promulgare in modo ufficiale le proposte dei membri del sinodo diocesano. Una
analogia forzata e non confacente a questo caso, perché, mentre nel sinodo
diocesano l’assemblea è composta da chierici, religiosi e laici della diocesi,
e il vescovo che lo presiede, in senso stretto non si può dire “membro
dell’assemblea” e infatti non partecipa alle votazioni delle proposte di
deliberazioni sinodali, in questa Assemblea sinodale nazionale i vescovi
facevano parte delle delegazioni diocesane e hanno partecipato come membri a
tutti gli effetti ai lavori dell’Assemblea. Se si voleva mantenere l’analogia
col sinodo diocesano, allora i vescovi non avrebbero dovuto partecipare
all’assemblea dei delegati diocesani e riservarsi l’esame (con accoglimento o
rigetto) delle proposizioni nella loro assemblea di tutta la conferenza
episcopale italiana. Forse qui non si è compreso bene che ci si trovava davanti
alla esperienza di una nuova “soggettività” ecclesiale, in cui con più coerenza
l’analogato principale doveva essere non il sinodo diocesano, ma il Sinodo dei
vescovi, così come rimodulato da Papa Francesco e vissuto nelle due ultime
sessioni del 2023 e del 2024. La “rivoluzione” sinodale di Francesco ha
ispirato infatti il Regolamento dell’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia
così che i vescovi italiani condividessero i lavori assembleari insieme agli
altri delegati. Ed è stato edificante vedere i vescovi inseriti nei vari gruppi
sinodali a dialogare e confrontarsi, addirittura essere stati tra i primi a
chiedere la riformulazione del documento. Prova ne sia che la mozione della
riformulazione delle proposizioni è stata approvata a maggioranza (835 voti
favorevoli su 854 votanti, con soli 12 voti contrari e 7 astenuti) formata, lo
ricordiamo da vescovi, chierici, consacrati e laici insieme.
Questo
insieme di cose ha fatto sì che ai delegati sinodali sia arrivato in mano un
testo delle proposizioni così generico che sembrava riportare il tutto
all’inizio del cammino, quasi alla “fase sapienziale”. E ciò è sembrato ai
delegati non solo irricevibile, ma anche irriguardoso verso quanti in questi
anni si erano impegnati con coraggio e passione nei lavori dei tavoli sinodali,
credendo e sperando davvero che il cammino sinodale potesse diventare
un’opportunità per un “salto di qualità” nella pastorale delle Chiese in
Italia.
Per
cui già all’apertura dei lavori assembleari emerse subito il desiderio della stragrande
maggioranza dei delegati di una riformulazione del testo delle proposizioni.
Magari si sperava che ciò potesse avvenire tramite le mozioni di contenuto e di
stile che sarebbe emerse nei gruppi di studio dei giorni a venire. Ma fu subito
chiaro all’assemblea, dopo le due mezze giornate di confronto nei gruppi di
studio (poche, anche perché ridotte di un giorno, visto che il progetto primitivo
prevedeva di chiudere i lavori non il 3 ma il 4 aprile) che non si trattava di modificare
con alcune mozioni questo o quell’altro testo delle singole 50 proposizioni, di
correggere, aggiungere o togliere un verbo o un aggettivo, quanto invece di rimodulare
tutto il testo e riformulare le tutte le proposizioni, anche diminuendole o
aumentandole nel numero, se ciò si fosse reso necessario, magari spostando le
proposizioni da uno all'altro delle tre parti tematiche previste, raggruppando
o anche uniformando proposizioni aventi lo stesso soggetto o la stessa materia e
dando alle proposizioni un ordine di priorità che rispecchiasse le urgenze
segnalate dai referenti sinodali, affinché queste urgenze non rimanessero confuse
e indistinte in mezzo alle altre meno specifiche.
La
riformulazione avrebbe così potuto correggere anche un certo squilibrio delle
tre parti del documento, sia per l’aspetto contenutistico che linguistico. Tra
le tre parti e tra le stesse proposizioni era poi evidente l’uso di un
linguaggio non omogeneo: da qui la richiesta di una uniformità linguistica e di
contenuti.
Inoltre,
considerata la stessa formulazione delle proposizioni, con troppi congiuntivi
esortativi e pochi indicativi, si è riconosciuto che non c’era bisogno di un nuovo
ma “solito” documento con inviti generici e pie esortazioni, quanto di un testo
che arrivasse a scelte condivise e indicazioni precise e determinate, pur nel
rispetto del cammino delle singole Chiese locali, ma che avesse il coraggio
della profezia, frutto del cammino sinodale di quest’ultima fase che per
l’appunto è stata denominata “profetica”.
In
questo contesto di rimodulazione, poiché la forma incide anche sulla sostanza,
si è domandato che il linguaggio esprimesse anche il fondamento ecclesiologico
alla base delle singole proposizioni. In particolare si è rilevato che, essendo
tutta la comunità ecclesiale il soggetto dell'azione pastorale, si dovesse superare
il linguaggio "dell'inclusione" che continua a dividere il popolo di
Dio in "noi" (già dentro e buoni) e "gli altri" (da
integrare), o paternalisticamente in “accompagnatori” e “accompagnati”, per
descrivere invece la Chiesa come “la casa di tutti”, dove tutti (ricordiamo
l’appello di papa Francesco: todos, todos, todos) hanno diritto a vivere
e agire da protagonisti, dove si cammina insieme, (bambini, adolescenti,
giovani, adulti, uomini e donne …), senza distinzione di età, etnia (cittadini,
immigrati, stranieri..), di situazione sociale di qualsiasi natura (povertà e
fragilità di vario genere), di situazioni personali circa l’affettività e lo
status personale (ad es. riguardanti matrimonio e famiglia), e nel rispetto per
l’orientamento sessuale e dell’identità di genere di ognuno.
Ma è
stato pure chiesto che fosse riaffermato con forza come sia tutta la comunità
ecclesiale (senza deleghe a gruppi o categorie particolari) a recuperare il
primato dell’ascolto della Parola, la bellezza della liturgia e dell’ars
celebrandi, la responsabile in solidum della iniziazione cristiana
di fanciulli e di adulti, dell’adozione di nuovi linguaggi che si aprano al
mondo e all’impegno per la pace, la giustizia, la salvaguardia del creato:
basti pensare che la fretta della sintesi aveva fatto dimenticare di inserire
il richiamo alla cultura, alla politica e alla dottrina sociale della Chiesa.
Come
si può evincere, il giudizio di inadeguatezza è stato dato su tutto l’impianto
delle proposizioni e non solo su alcune di quelle contenenti tematiche
particolari, come purtroppo alcuni lanci giornalistici hanno insinuato. Nessuna
spaccatura nell'assemblea, nessun contrasto, nessun antagonismo tra laicato ed
episcopato.
Nell’assemblea si è sentito il soffio dello
Spirito e respirata l'aria del Concilio Vaticano II. La decisione, frutto di un dibattito franco e
sincero, ci ha fatto vivere la bellezza dello stare insieme nel cammino
sinodale come fratelli e sorelle. Il sinodo è anzitutto stile e scuola di
comunione. E i responsabili del coordinamento del cammino sinodale hanno dato
prova di umiltà nel riconoscere l’insufficienza delle sintesi prodotte. Ma la
meta non era l'approvazione delle proposizioni, in modo che ognuno poi
ritornasse tranquillo (e magari continuare la sua esperienza ecclesiale come
prima). La meta è il Regno, e perciò la missione, e perciò la conversione
personale ed ecclesiale. In questa assemblea sinodale in fondo si è vissuto,
proprio nello sfondo giubilare, una esperienza di conversione e di obbedienza
allo Spirito. Nessuno ha perso o è stato sconfitto. Ha vinto la chiesa
"semper reformanda". Ha "vinto" la voglia di un reale
cambiamento nella pastorale delle chiese in Italia. Chi, anche nella nostra
diocesi, pensava che il sinodo fosse solo questione di ritocchi formali per
lasciare tutto come prima è stato smentito. Il cammino sinodale è irreversibile.
E chiede a tutti noi, anche in diocesi, una conversione ad uno stile di
comunione, condivisione, collaborazione, corresponsabilità, a tutti i livelli,
da imparare. In questi giorni sono stato edificato dal dibattito in cui con
coraggio, sincerità, rispetto e franchezza vescovi e laici ci siamo messi in
gioco. Vogliamo augurarci che lo stesso coinvolgimento e la stessa parresia
siano sperimentati nelle prossime tappe della nostra chiesa locale.