venerdì 30 gennaio 2015

la fede e i gialli

Sono un appassionato lettore di G. K. Chesterton che ammiro sia per lo stile e l’impegno culturale sia insieme per il coraggio che seppe avere, nella conversione al cattolicesimo, di vivere controcorrente nella società anglicana puritana e conformista dei suoi tempi. Forse qualcuno lo ricorderà per essere il creatore di quella straordinaria figura di prete - investigatore che è Padre Brown. Ed è proprio di P. Brown che qui voglio parlare. Non perché questo detective in talare abbia qualcosa da spartire con gli altri pur famosi quali la Mrs. Marple o il signor Poirot o la Jessica Flecther o il solito Holmes. Ma proprio perché in realtà questo detective è proprio l’antidetective ! Perché Padre Brown in realtà non investiga, o almeno nel senso comune della parola. Questo pretino dall’apparenza insignificante compie si delle investigazioni davanti ai delitti che gli si commettono davanti : ma sono investigazioni nel profondo del cuore. Del proprio cuore. Questo è il suo segreto che candidamente confessa agli increduli : non c’è delitto che il suo cuore non si senta capace di commettere. Perché il delitto è frutto del peccato e nessuno ne è immune. Ogni cuore è sempre potenzialmente aperto al delitto. Per questo P. Brown è capace di “sentire” il peccato e il delitto e l’orrore che ne viene fuori : “Sono un uomo - dice - e pertanto ho tutti i diavoli nel cuore”. Sentendo e pensando come chi il delitto l’ha realmente commesso (“ho visto davvero me stesso, il me stesso reale, commettere gli omicidi. Non ho ucciso materialmente le persone, ma non è questo il punto...voglio dire che ho pensato e ripensato a come un uomo possa arrivare a compiere tali azioni, finché ho capito che anch’io ero così, in tutto tranne nel concedermi il permesso dell’atto finale...è una specie di esercizio religioso”) non desta nessuna meraviglia che poi l’autore del delitto schiuda il suo cuore non al detective ma al prete nella confessione non del delitto in se ma del peccato che l’ha generato. Sono grato a Chesterton per aver “inventato” questo prete : che è, lo confesso uno dei miei “modelli”  ministeriali. A Chesterton in fondo il giallo interessa per avere l’occasione di riflettere e di far riflettere sul dramma del peccato, del genere umano capace di toccare vette altissime di grazia ma insieme di sprofondare anche negli abissi della degenerazione. E Padre Brown “investiga” proprio in questi abissi. Lo fa da prete. E proprio perché prete. Perché un prete non può fare a meno di farsi carico del peccato altrui. Ma lo fa senza farsi giudice del fratello. Anzi, proprio con una consapevolezza di fondo : che il baratro del peccato è sempre in agguato anche sotto i suoi piedi. Solo chi è in grado di comprendere questo può essere ministro della compassione divina. Ma qual è il segreto di P. Brown ? E’ che nella ripetizione di questa “specie di esercizio religioso” ,come lo chiama, lui alimenta in sé la capacità di continuare a provare orrore per il male e riconoscerne la radice diabolica che perverte la natura umana. E’ l’orrore per il male presente in sé che lo blocca da quello che lui chiama l’atto finale, ciò dall’accondiscendere alla tentazione della perversione. E’ l’orrore per il male che glielo fa riconoscere e leggere negli occhi degli altri.
Ecco perché ne scrivo oggi : perché credo che la lezione di Padre Brown dovrebbe essere seguita non solo da un umile prete qual io sono che cerca di fare bene il suo “mestiere” ma anche da chi prete - e aggiungo di più, cristiano o credente - non è. Oggi ci siamo assuefatti al male. Non ne proviamo più orrore. Non ci disgusta il male che ci circonda, dalle guerre alla violenza diffusa, dalle truffe agli inganni, dalla calunnia alla diffamazione... I lunghi rosari delle sciagure snocciolati dai telegiornali non ci scuotono più, il  male di cui veniamo a conoscenza, oppure quello solamente rappresentato in film e telefilm vari ci lascia indifferenti. E tutto ciò  forse proprio perché non ci disgusta il male che ci portiamo dentro : o perché ci siamo abituati a conviverci o peggio perché neanche più lo riconosciamo come male. Non ci scandalizziamo del male nel mondo perché prima dovremmo scandalizzarci dal male che sta in noi, e non ci impegniamo a combattere il male esterno in modo radicale perché in fondo sentiamo che dovremmo cominciare a combatterlo in noi stessi. Scusatemi : non è una predica. E’ per un estremo atto di amore, anzi direi di più, è per un estremo atto di giustizia, verso di me e verso gli altri in quanto persone umane e per il mondo e per l’uomo creati buoni e belli da Dio ma sempre tentati verso l’abbrutimento dal Serpente antico : come P. Brown scrivo non da giudice ma a partire dall’esperienza del male che per primo in me stesso ritrovo. Perché come P. Brown mi convinco sempre di più che se noi e il mondo dobbiamo avere un futuro allora dobbiamo ritornare a provare orrore per il male, per la stortura, per la bruttezza che rovina il bene. Dobbiamo ritornare a provare la gioia per il bene in se stesso, la gioia di quella buone azioni e magari di quei “fioretti” che facevamo da piccoli con la consapevolezza di mettere un argine anzitutto al male che alberga dentro di noi. Non scrive infatti Tagore che la prima rivoluzione contro il male del mondo la si combatte nel proprio cuore ? Un tempo si parlava di “anime belle”,  di “bei caratteri” . Oggi, per il mancato orrore del male,  si è perso il gusto e il senso estetico per il bene e per il bello (che filosoficamente “convertuntur”) : ma se è vero che la “bellezza salverà il mondo”  (Dostoevskij) allora il nuovo mondo (quello del terzo millennio), e quindi ognuno di noi, o sarà bello (e buono) o non sarà affatto.

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