Non si riuscirà a comprendere a pieno la portata
profetica del gesto di Papa Benedetto, se non si parte dalla comprensione
fondamentale di cosa sia realmente il papa e il papato.
Il papa niente altro è che il Vescovo della diocesi
di Roma. Una diocesi sui generis perché è la sede di Pietro, creato primo tra
gli Apostoli da Cristo e pertanto, nella tradizione della Chiesa, chi succede a
Pietro nella cattedra episcopale di Roma eredita anche il suo munus particolare, non solo di guida
della diocesi di Roma ma di guida e centro visibile della comunione di tutta la
chiesa cattolica. In pratica la Chiesa qui sulla terra è costituita dalla
diocesi di Roma e da tutte le diocesi in comunione con essa, così che il
vescovo di Roma, successore di Pietro, e i tutti i vescovi, successori degli
apostoli, in comunione con lui ripresentino il primitivo collegio di Pietro con
gli Apostoli, e perciò come Pietro fu capo degli apostoli, così il papa è il capo
del collegio dei vescovi.
Il fatto che il papa sia vescovo di Roma è ancora
indicato dal fatto che la sua elezione sia riservata ai cardinali. Chi sono
questi? Idealmente questi costituiscono il clero della diocesi di Roma, cui da
sempre è spettato il diritto di eleggersi il suo vescovo. Un tempo erano
effettivamente i diaconi, i parroci e i vescovi delle città vicine
(suburbicarie) a Roma, adesso il titolo di cardinale-diacono è dato ai capi
dicastero della Curia, quello di cardinale-presbitero ai vescovi delle città
più importanti del mondo (ad esempio il Cardinale di Palermo ha il titolo di
Santa Maria Odegitria dei Siciliani), quello di cardinale-vescovo alle più alte
cariche della Curia. Inoltre al collegio cardinalizio sono aggiunti i
patriarchi delle antiche chiese orientali: questo fa sì che da un lato sia
mantenuta la tradizione antica della elezione del papa dal clero di Roma e
dall’altro assicura che la sua figura sia veramente espressione della chiesa
universale.
Il romano pontefice è quindi un vescovo: la
sacramentalità è connessa all’episcopato e non tanto al ministero petrino in
sé, perciò, sacramentalmente parlando, la dignità del vescovo di Roma è pari
alla dignità di un qualsiasi vescovo della Chiesa di Cristo. In questo senso,
come successore di un apostolo, è costituito vicario di Cristo, così come
qualsiasi altro vescovo, giacchè è il collegio apostolico nel suo insieme ad
essere vicario di Cristo. Che questo titolo sia rimasto nell’uso frequente al
papa, non ci deve ingannare sul suo significato teologico, così come lo stesso
titolo di papa, che significa “padre”, di per sé è un residuato di un titolo
greco che fino ad oggi è dato (papàs) ad ogni prete, e finanche il titolo di
“santità” nella chiesa antica era un titolo con cui ci si salutava
scambievolmente tra cristiani. Rimanere legati ai titoli, ma
decontestualizzati, potrebbe portarci ad una comprensione sbagliata del
ministero petrino.
Quindi il papato non è un sacramento, così come il
cardinalato non è un sacramento: il sacramento dell’ordine ha solo tre gradi,
episcopato, presbiterato e diaconato.
Diversa è invece la considerazione da fare per
quanto riguarda la giurisdizione, cioè la capacità di esercitare una auctoritas, una potestas regiminis nella Chiesa. Il sacramento è alla base (che
comporta il munus docendi e il munus sanctificandi ma non il munus regendi), per cui non si può
esercitare una vera potestas
ecclesiastica senza essere ordinati, ma la potestas
non risiede nel sacramento dell’ordine. Per l’ininterrotta tradizione della
Chiesa, il papa appena accettata la sua elezione, riceve la potestà di
governare la diocesi di Roma e la potestà di governare tutta la Chiesa col
ministero petrino, direttamente da Dio e sarà da lui che ogni vescovo riceverà
la potestà di governare la sua diocesi particolare, ma solo la sua diocesi e
basta. Invece il munus docendi e sanctificandi, come qualsiasi altro vescovo, li
riceve con la sua consacrazione episcopale: ecco perché il canone prescrive che
se l’eletto papa non è vescovo deve essere immediatamente ordinato vescovo
prima di compiere qualsiasi altro atto.
Perciò, dato che la sua potestas è ricevuta da Dio all’atto dell’elezione, il papa può
anche rinunciare all’esercizio di questo ministero rimettendolo nelle mani di
Dio (e perciò non occorre che nessuno riceva o accetti la rinuncia e non si può
parlare di dimissioni). Questo comporta anche la rinuncia alla sede episcopale
di Roma perché di fatto i due ruoli sono connessi anche se distinti (ad esempio
il Papa ha due Curie: una per guidare la Chiesa univerale e un’altra per
guidare la diocesi di Roma): il pensare il papa come ad un super vescovo o come
ad un capo dei capi (mi si passi l’espressione) potrebbe indurre a pensare
erroneamente che il papato sia un sacramento ulteriore (che metta in secondo
piano l’essere vescovo di Roma), o che si possa rinunciare a fare il papa
rimanendo per assurdo vescovo di Roma! Quindi, a proposito della discussione su quali titoli dare in futuro a Benedetto XVI è chiaro che sarà solo "vescovo emerito di Roma" o anche "Romano Pontefice emerito" e perciò "papa emerito": che poi per cortesia lo si continui a chiamare "santità" e col nome di Benedetto (come un ex primo ministro o ex capo dello Stato si continui a chiamare "presidente") questo non inficia il titolo che gli compete per diritto o ipoteca l'esercizio di un potere nei riguardi del nuovo papa, giacché emerito significa nel diritto proprio chi non esercita più un ufficio, e quindi nessun pericolo che ci siano nella Chiesa due papi come non ci sono mai in una diocesi due vescovi ma solo uno nel suo ufficio e l'altro solo emerito.
Quanto detto finora ci porta alla considerazione del
papato come l’esercizio del ministero petrino a servizio della Chiesa
universale: cioè ad un ruolo per il bene della Chiesa tutta, un ruolo le cui
modalità possono anche variare nel tempo ma che non ne intaccano l’essenza.
Una cosa sola è essenziale in questo servizio: la
promozione dell’unità della Chiesa nella confessione di una sola fede. Il resto
è contorno.
Questo ci spinge a mettere da parte qualsiasi
concezione devozionale riguardante più il papa in sé che non il suo ministero e
il fine stesso del suo ministero: il bene della chiesa. Ogni altra visione, per
quanto affascinante che sia, ci fa correre il rischio di non vedere l’essenza
del ministero papale.
Si racconta che San Giovanni Bosco abbia
rimproverato aspramente i suoi ragazzi che gridavano “Viva Pio IX” ammonendoli
di dover gridare sempre e solo “viva il papa”: perché ciò che interessa è non
il nome del papa, ma il suo ruolo. Non chi siede sulla Sede di Pietro, quanto
la stessa Sede. C’è stato purtroppo uno scivolamento negli ultimi tempi nella
considerazione della figura del papa che non ha fatto bene al papato! Una
sacralizzazione della figura del papa stesso che ha fatto correre il rischio di
staccare il papa dal contesto ecclesiale di riferimento: paradossalmente era
meno sacrale la figura del papa quando questi era recato col triregno sulla
sedia gestatoria e ci si chinava davanti a lui “al bacio del sacro piede” e si
sperimentava l’esercizio di una potestas
in un continuo confronto nel concistoro coi cardinali collaboratori (perché se
un Re può arrivare a dire “lo Stato sono io”, un Papa non può mai dire “la
Chiesa sono io”) che non nell’ultimo secolo, quando un’apparente
desacralizzazione ha invece dato la stura ad un’interpretazione monocratica
della chiesa a tutti i livelli (dal papa ai tutti i vescovi che si sono sentiti
sostenuti nella loro interpretazione monarchica e falsamente conciliare
dell’episcopato).
Ed eccoci arrivati al dunque: se quello che conta è
il ministero e il fine per cui è esercitato, il bene della Chiesa, allora si
può rinunciare al ministero, qualunque sia? Certo, anzi a volte, proprio per il
bene della Chiesa è doveroso. E anche il papa deve sempre porsi questa domanda,
come qualsiasi altro nella Chiesa svolga qualche servizio. Perché quello che
interessa è che la Chiesa, in ogni momento debba essere all’altezza della sua
missione nel mondo. La Chiesa non può “perdere tempo”, perché sa che siamo
ormai nel tempo dell’attesa della Sua venuta, per cui si deve mantenere sveglia
ed attiva. Non è una considerazione attivistica, efficientistica, ma teologica,
sacramentale. E’ questa considerazione che ha portato il Concilio e Paolo VI a
fissare, ad esempio, l’età dei 75 anni per le dimissioni dei parroci e dei
vescovi: date le condizioni della società e dei tempi moderni, si può
continuare ad avere la responsabilità di una comunità, anche se si fosse in
buona salute, ma certo non più con quelle energie intellettive e spirituali che
occorrono per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime? Non è sotto gli
occhi di tutti che tante diocesi e parrocchie nascono – crescono - si sviluppano
- e muoiono insieme all’età e all’invecchiamento dei loro pastori?
Ecco perché Papa Benedetto ha rinunciato al suo
ministero. Ed è una idea che ha sempre avuta. Lo ha scritto in tempi non
sospetti, lo ha detto in interviste, lo aveva suggerito a Giovanni Paolo II
nell’ultimo periodo della sua decadenza fisica. Lo aveva fatto intuire quando
depose sull’urna di Celestino V il suo pallio usato per la messa di
intronizzazione.
Non c’è nessuna dietrologia da fare e non sono stati
gli ultimi avvenimenti drammatici che lo hanno spinto e quasi obbligato a
rinunciare: chi scrive ciò sa di mentire, perché la sua decisione era presa da
più di un anno e lui la voleva rendere operativa per il compimento del suo 85°
compleanno. Se è rimasto è perché non ha voluto lasciare la barca di Pietro
durante il mare in tempesta degli scandali: ha detto che si può scendere solo
quando il mare è sereno. E’ stato il suo modo di rimanere abbracciato alla
croce di Cristo: con Giuda il traditore accanto. Se lo ha fatto invece ora è perché
ha riconosciuto che la tempesta è passata: il suo è dunque un messaggio di
speranza: la Chiesa è viva ed è pronta a riprendere nuovamemente il largo. Con
nuove forze e un nuovo papa. E’ il contrario di quanto vorrebbe farci credere
la coltre dei mass media puntando su una chiesa vecchia, corrotta e moribonda.
Ma noi sappiamo che non è così.
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