lunedì 18 marzo 2013

Un post di Padre scalese che io sottoscrivo dalla prima all'ultima parola


Forse qualcuno dei miei lettori stava già pensando che fossi tornato in letargo. In effetti, “una rondine non fa primavera”, ma in questo caso il mio silenzio è stato causato semplicemente da mancanza di tempo materiale. D’altronde, dopo una inattività di quasi due anni, non è facile tornare a scrivere con regolarità.
Qualcuno mi ha chiesto di dire qualcosa a proposito dell’elezione del nuovo Papa. Beh, sarei ipocrita se dicessi di aver sprizzato gioia nel momento in cui il Card. Tauran ha dato l’annuncio. Personalmente avrei preferito il Card. Scola, che stimo, o il Card. Tagle, che conosco. Sentire che era stato eletto il Card. Bergoglio è stata sicuramente una sorpresa. Talvolta le sorprese possono essere accolte gioiosamente (ed è ciò che è avvenuto per la maggior parte dei fedeli). Nel mio caso questo non è avvenuto, non perché avessi qualcosa contro il Card. Bergoglio, che non conoscevo, ma semplicemente perché condizionato da ciò che si era detto sul suo conto, a proposito del precedente conclave: sarebbe stato lui il candidato del partito anti-Ratzinger, quello per intenderci guidato dal Card. Martini. Ebbene, il fatto di sapere che era stato eletto appunto l’«anti-Ratzinger» mi ha dato lí per lí l’impressione di una deliberata scelta polemica dei Cardinali contro il precedente Pontefice. È vero che questa impressione è stata immediatamente smentita dallo stesso neo-eletto; però è altrettanto vero che tutta una serie di piccoli dettagli, astutamente amplificati dai media, sembravano confermare quella prima impressione: il rifiuto di un certo abbigliamento, il ritorno a una liturgia pre-benedettiana, ecc.

In questi casi, però, è bene non lasciarsi condizionare troppo dalle prime impressioni, dalle reazioni istintive, e cercare di riflettere e considerare le cose con una certa razionalità. Innanzi tutto, è bene non farsi condizionare dai media, che ci presentano solo certi aspetti, e lo fanno unicamente per provocare in noi determinate reazioni. Che senso ha, per esempio, insistere nel mostrarci le scarpe nere del Papa, se non per convogliare il messaggio: Benedetto XVI usava scarpe Prada e quindi era antievangelico; Francesco, al contrario, è un Papa realmente povero. Non so se avete notato come si siano volutamente messe in giro frasi, attribuite al neo-eletto Pontefice (se vere o false sinceramente non saprei), che hanno rallegrato molti, ma hanno ferito altri: Papa Bergoglio avrebbe detto a Mons. Marini, che lo stata aiutando a vestirsi, a proposito della mozzetta: «Questa se la metta lei! È finito il tempo delle carnevalate!»; l’indomani, a Santa Maria Maggiore, visto il Card. Law, Arciprete emerito della basilica, avrebbe intimato: «Allontanatelo dalla basilica!». Non credo che, cosí facendo, si renda un buon servizio al nuovo Papa.
In secondo luogo, dobbiamo liberarci dai nostri pregiudizi. Non possiamo giudicare le persone dopo pochi minuti che le abbiamo incontrate: diamo loro almeno il tempo di presentarsi e farsi conoscere. Di per sé non dovremmo mai giudicare nessuno, ma se proprio smaniamo dal farlo, aspettiamo almeno che uno incominci ad agire, e poi giudichiamo il suo operato (mai le sue intenzioni!). Questo in qualsiasi senso: sia in bene che in male. Certe esaltazioni acritiche sarebbe meglio lasciarle da parte: a Papa Francesco piace uno stile informale? Benissimo, ha tutto il diritto di usarlo (anche perché è caratteristico di certi paesi); ma non si parli di una svolta nella storia della Chiesa, quasi che basti saldare il conto in albergo per salvare la Chiesa. Ben venga la semplicità, se questa aiuterà qualcuno a riaccostarsi alla Chiesa. Ma, per favore, non identifichiamo automaticamente lo stile informale con l’umiltà. Si può essere umili anche sottomettendosi a un cerimoniere che ti mette indosso una mozzetta di velluto con l’ermellino. Lasciatemi, per un attimo, mettermi sullo stesso piano di certi acuti “osservatori”: l’attuale Pontefice, sotto la semplice talare bianca, ha sempre fatto uso finora della camicia con i polsini e i gemelli; Papa Ratzinger, sotto la talare bianca, il rocchetto e la mozzetta, spesso indossava una semplice maglia con le maniche lunghe.
Un aspetto che ha mandato in visibilio le folle è stata la scelta del nome. Certo, il Santo Padre può scegliere il nome che vuole. Non si può accusarlo di aver rotto con la tradizione: gli ultimi Papi hanno tutti scelto un nome piú o meno originale: Roncalli ha scelto un nome che non si usava piú dal Trecento; Montini, dal Seicento; Luciani ha addirittura adottato un doppio nome (cosa mai avvenuta prima nella storia della Chiesa); quindi, liberissimo Bergoglio di scegliere il nome di Francesco. È chiaro però che ogni nome è un programma; lo stesso Bergoglio lo ha spiegato ieri ai giornalisti: “Francesco”, significa povertà, pace, amore alla natura. Un programma condivisibilissimo, a patto che non si trasformi in ideologia: pauperismo, pacifismo, ecologismo. Spero di cuore che il nuovo Papa incarni il vero San Francesco, non il surrogato che ci viene solitamente proposto dai media (e spesso dagli stessi Francescani). Personalmente, di San Francesco io sottolineerei soprattutto la vocazione: «Va’ e ripara la mia Chiesa!».
Naturalmente, come non mi piacciono i facili entusiasmi, ancor meno mi piacciono le stroncature senza appello, da una parte e dall’altra. Mi hanno dato estremamente noia (ma non mi hanno meravigliato piú di tanto) i tentativi di coinvolgere Bergoglio con la dittatura militare del Generale Videla, come pure la ridicola accusa di misoginia («Le donne non sono fatte per governare!»). D’altra parte, mi lasciano di stucco le reazioni scomposte di alcuni tradizionalisti: dopo aver per anni accusato i fratelli di fede di disobbedienza al Papa, perché non si adeguavano al suo stile celebrativo, tutto d’un tratto, non appena il Papa è cambiato, hanno incominciato a offendere il nuovo Pontefice, basandosi esclusivamente su quegli elementi esteriori intenzionalmente sottolineati dai media, proprio per mettere in evidenza la discontinuità dell’attuale pontificato con quello precedente.
Certo, una qualche discontinuità nelle forme e nello stile esteriore non può essere negata; ma ciò significa reale rottura di Francesco I con Benedetto XVI e con la tradizione della Chiesa? Diciamo la verità, almeno per il momento, tutto si riduce a questioni piuttosto marginali, come il modo di abbigliarsi o di celebrare. Quanto al primo aspetto, abbiamo già detto; quanto al secondo, non credo proprio che Papa Francesco voglia distruggere la liturgia. Bisogna tener conto che è un gesuita; e chi conosce anche solo un po’ i gesuiti sa che non sono dei grandi liturgisti, non per partito preso, ma per formazione, direi per costituzione. Si direbbe che per loro il movimento liturgico e il Vaticano II non siano mai esistiti; fondamentalmente, essi sono rimasti sempre un po’ tridentini. Del resto, basta prendere gli Esercizi spirituali per rendersene conto: sembrerebbe che per Sant’Ignazio l’esame di coscienza fosse piú importante della partecipazione alla Messa. Se si voleva un Papa liturgista, allora bisognava eleggere un benedettino, non certo un gesuita. I gesuiti sono molto piú attenti alla spiritualità che non alla liturgia: essi sono dei veri “contemplativi nell’azione”, per cui possiamo aspettarci da Papa Bergoglio un grande aiuto per la nostra vita spirituale.
Sono convinto che Papa Francesco riserverà a tutti delle belle sorprese (certo non quelle anticipate dai media). Quando furono eletti Giovanni Paolo II e Benedetto XVI provai una grande gioia e nutrivo grandi attese, che però in qualche caso furono successivamente deluse. Questa volta, come detto, all’Habemus Papam non ho sperimentato lo stesso entusiasmo; spero quindi che le soddisfazioni vengano in seguito. Ma, in fondo, anche se non venissero, non cambierebbe nulla: un Papa non viene eletto per soddisfare le nostre attese, ma per confermarci nella fede e servire la Chiesa. In questo momento non ci viene chiesto né di osannare il Papa né di criticarlo; ci viene chiesto semplicemente di sottometterci a lui («Subesse Romano Pontifici … omnino esse de necessitate salutis», Bonifacio VIII, bolla Unam sanctam), di pregare per lui e di «rimanere in perfetta tranquillità … [tenendo] presente che solo Gesú Cristo governa la sua Chiesa» (Rosmini, Massime di perfezione cristiana, III massima).
Anche un eventuale scarso feeling con il nuovo Pontefice potrebbe avere effetti tutto sommato benefici, perché ci costringerebbe a non fermarci alla sua persona, ma ad andare oltre, a colui che egli rappresenta; ci costringerebbe a distinguere fra la persona e l’ufficio che essa ricopre. Può essere utile ricordare in proposito quanto si racconta di Don Bosco; sembrerebbe che si riferisca ai nostri giorni:
A Torino giungevano le notizie di Roma ed anche qui continuavano ad ogni occasione le grida frenetiche, ostinate di “Viva Pio IX!”. Mons. Fransoni [Arcivescovo di Torino] però aveva compreso tra i primi che sotto quelle esagerate espressioni di entusiasmo si celava l’artificio delle sette, e sollecitato dal Papa a muovere i fedeli in aiuto degli Irlandesi che lottavano contro la fame, il 7 giugno 1847 scriveva in una sua lettera pastorale: «Quella essere un mezzo assai acconcio di mostrare ossequio al Pontefice, e perciò averglisi a dar plauso. Non come quei tali che applaudono a Pio IX, non per quello che è, ma per quello che vorrebbero Egli fosse. Doversi ancora riflettere, che non il battere fragoroso di palma a palma, né l’incomposto acclamar tumultuoso, sono gli applausi che possono a Lui tornar graditi, bensí l’ascoltarne docilmente gli avvisi, e il pronto eseguirne, non che i comandi, gli inviti». Don Bosco non la pensava diversamente dal suo Arcivescovo. Naturalmente anche all’Oratorio era un gridare a tutta gola di viva e di osanna al gran Pontefice; tanto piú che Don Bosco parlava sempre del Papa colla massima stima; ripeteva frequentemente essere necessario di stare uniti al Papa perché egli era quell’anello che unisce i fedeli a Dio, e preconizzava fatali cadute e castighi a quelli che presumevano osteggiare o censurare anche menomamente la Santa Sede; e tanto era l’amore che sapeva infondere verso di questa ne’ suoi giovani, che sentivansi disposti ad esserle sempre obbedienti e fedeli e a difenderla anche a costo della vita. I giovani adunque ripetevano: “Evviva Pio IX!”; ma con meraviglia intesero Don Bosco che cercava di cambiar loro le parole in bocca: «Non gridate “Viva Pio IX!”, ma “Viva il Papa!”». «Ma perché, gli domandarono, Ella vuole che gridiamo “Viva il Papa!”? Pio IX non è appunto il Papa?». «Avete ragione, replicava Don Bosco: ma voi non vedete piú in là del senso naturale; vi è certa gente che vuol separare il Sovrano di Roma dal Pontefice, l’uomo dalla sua divina dignità. Si loda la persona, ma non veggo che si voglia prestar riverenza alla dignità di cui è rivestita. Dunque, se vogliamo metterci al sicuro, gridiamo “Viva il Papa!”». E tutti i giovani ripetevano: “Viva il Papa!” (Memorie biografiche, vol. III, cap. 21).

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