Adesso
che la bufera si è un po’ calmata, vorrei riflettere su quel trambusto che la
sentenza sul crocefisso appeso nelle aule pubbliche ha provocato. Anzitutto voglio esprimere il mio
convincimento che si tratti di una ennesima “querelle” “all’italiana”, cioè con
quella capacità tutta nostra di sapere mettere insieme problemi di ordine
diverso e di creare un pastrocchio in cui tutti simultaneamente hanno ragione e
non si capisce più dove stia il bandolo della matassa.
Perché
in questo caso abbiamo contemporaneamente il problema della laicità dello
Stato, con la questione connessa del rapporto di questo Stato con la religione
cristiana e la confessione cattolica in particolare, in un secondo momento
abbiamo poi i rapporti che uno Stato laico deve intrattenere con tutte le
organizzazioni religiose, e poi il problema attuale dell’immigrazione dal mondo
islamico che ha riaperto la questione tra civiltà islamica e civiltà cristiana
(si badi bene che qui parlo di civiltà e non di religione) connesso a tutta la dialettica
interna al mondo islamico di un difficile rapporto con la modernità che gli
appartenenti a questo mondo si trovano a vivere. Perciò non si può fare di tutta l’erba un
fascio e ogni problema deve essere
doverosamente studiato a parte. Premetto dunque che almeno per il momento non
voglio entrare nel problema del rapporto col mondo musulmano perché, se me ne
viene data occasione, vorrei trattarlo in separata sede. Qui voglio fermarmi
alla sentenza con cui un giudice ha creduto di garantire da un lato la laicità
dello stato e dall’altro ad un musulmano la libertà della sua espressione di
fede, volendo proteggere entrambi da ogni tentativo di ingerenze confessionali.
Diamo
per buone le sue intenzioni di fondo, anche se in realtà non supportate da una altrettanta
tecnica giuridica all’altezza del problema: anche i più sprovveduti di diritto
sanno che quella del 1983 non è stata la stipula di un nuovo concordato tra la
S. Sede ma solo la revisione di alcuni punti particolari dell’unico concordato
che rimane in vigore con la Repubblica
italiana. Fra l’altro i Patti Lateranensi appartengono all’ambito del diritto
internazionale e come ogni patto fra Stati sovrani, non rientrano nella
disponibilità giurisdizionale dei singoli giudici per ovvie ragioni, per cui mi
chiedo come un giudice può giudicare sulla validità di questi e delle leggi e
regolamenti attuativi di questi patti. Finchè un patto non viene impugnato da
una delle due parti questo rimane in vigore per il principio del “pacta
servanda sunt” . Inoltre tutti sanno che i Patti Lateranensi sono stati
recepiti nella nostra Carta costituzionale e noi sappiamo quanto siano
intangibili i principi costituzionali. Al massimo perciò il nostro caro giudice
poteva proporre una eccezione di incostituzionalità a chi di dovere…invece…
Invece ha emanato una sentenza in cui riflessioni pseudo giuridiche si
intrecciano a meri girotondi di lingua intessuti di un generico sociologismo.
Ma
non voglio entrare nel merito della sentenza quanto fermarmi alle intenzioni
del giudice, dando per scontato che, come dicevo prima, fossero pure buone
intenzioni.
Si,
è giusto che uno Stato moderno e laico non faccia proprie le insegne e i
simboli di qualsivoglia confessione religiosa e/o comunque di qualsiasi
organizzazione filosofica o ideologica perché significherebbe in un certo senso
essere di parte, lo si voglia o meno.
Io
mi chiedo però se questa azione di preservazione della laicità dello Stato sia
fattibile nel modo in cui il nostro giudice l’ha intesa oppure se sono praticabili
altre vie.
E’
un problema annoso questo, in cui il nostro giudice si trova nella (buona?)
compagnia di tutti gli anticlericali d.o.c. che hanno paura finanche ad
accogliere il Capo di Stato del Vaticano nel parlamento italiano: imperterriti
nell’ancoramento al loro statalismo ottocentesco. Per tutti questi la soluzione
consiste nel togliere i simboli, ma di simboli cristiani è costellata tutta la
nostra bellitalia: allora che ce ne facciamo dei presepi allestiti nelle aule
scolastiche e negli ospedali, di quadri a soggetto cristiano nei pubblici
musei, delle facciate delle chiese con le loro croci che spiccano sulle
pubbliche piazze, dei nomi dei santi dati alle pubbliche vie? E poi ci pensate
che uno Stato laico come il nostro mantiene ancora un calendario scandito dalle
domeniche e dalle festività cristiane? E allora che facciamo, togliamo tutto?
Però
poi per doveroso atto di giustizia, già che ci siamo dovranno essere emanati
decreti per eliminare anche gli altri simboli che potrebbero arrecare danno
alla serenità dei cittadini: se va via la croce devono scomparire pure le
mezzelune islamiche e le stelle di
David, ma anche quanto ancora sa di residuo di paganesimo (come la
mettiamo con uno stato laico che utilizza immagini pagane?). Perciò via dalle
farmacie quel brutto bastone coi serpenti (Freud avrebbe da dire qualcosa in
proposito) e via dalle aule dei tribunali quella dea bendata che tiene in mano
la bilancia, via dalle pubbliche piazze anche gli obelischi egiziani e tutto
quanto ancora ci riporta ai tempi
oscuri in cui l’uomo era vittima delle superstizioni!
E
già che ci siamo, sempre per il principio di uguaglianza davanti allo Stato,
perché non fare pure qualcosa per cambiare lo stemma della Repubblica Italiana?
Poiché i cristiani si potrebbero sentire offesi e in un certo senso intimiditi
da quella persecuzione occulta che il mondo massonico e anticlericale porta
avanti ogni volta che sventola una bandiera con lo stemma della nostra
Repubblica: lo sanno tutti che la stella a cinque punte è un simbolo massonico.
E perché io me lo debbo ritrovare in tutte le carte bollate, nei francobolli,
nelle pagelle e in tutti i documenti? E se nello Stato laico la Massoneria come
associazione segreta è proibita, perché poi lo Stesso governo ne ha assunto i
simboli? Pensate anche alle stellette dei nostri soldati e alle stelle che
trionfano sul marciapiede di Montecitorio!
E
allora che facciamo, leviamo? Leviamo,
per riportare il nostro Stato alla laica purezza delle origini?
Solo
che arrivati a questo punto mi viene fortemente un dubbio: ma siamo proprio
sicuri di preservare così la laicità dello Stato? Ma cosa sarà poi mai questa laica purezza delle origini?
Qualcuno dice che lo stato moderno è nato con la Rivoluzione francese, ma confesso che io proprio di questo ho paura e
ne spiego il motivo.
Chi
certo ha studiato più di me ricorderà come anche gli illuministi
incominciarono col levare: levarono prima i crocefissi e poi le statue dalle
chiese e poi le stesse chiese e poi per sicurezza tagliarono la testa ai preti
e ai cristiani, levarono il calendario e lo sostituirono con un altro in cui
non c’era né venerdi perché islamico, né sabato perché ebraico, né domenica
perché cristiana, e non c’erano settimane ma decadi…e poi levarono anni alla
storia e secoli e millenni e finì che qualcuno pensò che la storia stesse
incominciando con loro. E levarono le feste e levarono… tutto! Ecco, confesso
che di questo leva leva ho paura: e se
poi rimaniamo nudi, senza niente?
Ripeto:
si è proprio sicuri che la soluzione sia nel levare?
Qualche
tempo fa, si dice, un signore stanco
delle umiliazioni che provava nel dover esibire ogni volta il proprio
certificato di nascita dove purtroppo la
vita gli aveva negato la gioia di poter trascrivere il nome della madre, se ne
lamentò con qualcuno in alto: e così, poiché in uno stato laico e fondato
sull’uguaglianza di tutti i cittadini non ci può essere diversità, fu
stabilito che nei certificati non si
annotassero più la paternità e la maternità dei cittadini. Diventammo pertanto
tutti figli di NN!!!
Ora
io ho proprio paura che se noi cominciamo col togliere ora questo e ora quello,
va a finire che culturalmente tutta la nostra civiltà diventerà figlia di
“m.ignota”, come si scriveva un tempo.
Perché
il problema non è religioso, dice il falso chi afferma che il problema sia la
religione: e mente sapendo di mentire perché sono certo che a qualcuno una
nuova bella guerra di religione (magari per stornare l’attenzione dai problemi
veri) farebbe comodo e piacere!
No,
il problema non è religioso, è di cultura e di civiltà.
Cosa
è la civiltà se non il sedimentarsi lungo il corso dei secoli di ideali,
principi, valori, credenze religiose, sentimenti di appartenenza ad una cultura
peculiare, nel cuore dei popoli: e l’uguaglianza tra culture e civiltà non si
fa mai negandone la diversità, negandone le radici e i frutti. Ora, lo si
voglia o meno, è innegabile che la civiltà europea è impregnata di
cristianesimo come è impregnata del pensiero classico greco e del pensiero
giuridico romano. Io oggi potrò credere o non credere nel Dio di ebrei e
cristiani, ma non posso negare che nel mio patrimonio genetico scorra pure
quella linfa. Negarlo significa essere come un figlio che nega la propria
maternità e paternità: ma non perché io abbia rifiutato i miei genitori,
questi finiscono di essere tali!
L’Occidente
oggi, e l’Europa in particolare, soffre proprio a partire dall’Illuminismo del
tipico complesso adolescenziale del disconoscimento delle proprie origini,
credendo che solo un tale misconoscimento possa portare alla piena maturità:
cosa è infatti se non questo il rifiuto di scrivere nella Carta costituzionale
europea che noi siamo figli anche della matrice giudeocristiana? Imbroglia le
carte chi dice che si vuole imporre Dio nella costituzione come chi dice che il
crocifisso nelle aule è un’imposizione. No, qui non si tratta di imporre una
fede, si tratta di riconoscere che, per cultura e civiltà noi europei “non
possiamo non dirci cristiani”. E questo lo chiedono non solo il Papa, ma tutte
le confessioni cristiane insieme (cioè per chi ancora non vuol capire
cattolici, luterani, anglicani e quanti ancora si sentono legati insieme dal
cristianesimo per un motivo o per un altro).
Nessuno
vuole imporre niente all’altro, si tratta solo di capire che uguaglianza non
significa uniformità, che laicità non significa monolitismo nudo e vuoto ma un
pluralismo che arricchisce tutti nella
diversità. E promuovere il pluralismo non significa togliere, eliminare, ma
semmai comporre, aggiungere, operare sintesi ad un livello più alto.
L’esporre
allora un crocefisso in pubblico non sarà mai e poi mai l’espressione della
volontà di imporre la mia fede ad un altro, quanto il riconoscere che la mia
civiltà è figlia anche di questa esperienza. E che, diciamolo chiaro, se io
rimuovo le tracce di questa esperienza, tante espressioni di cultura della mia
civiltà mi diventeranno non intelligibili, dall’arte alla letteratura, ma la
stessa scienza e la stessa storia.
E
poi lo sappiamo, quando qualcosa diventa simbolo, in un certo senso già
trascende il contesto stesso in cui è nato per assurgere ad un significato
universale: anche in questo senso, paradossalmente la dimensione simbolica del
crocefisso per la nostra civiltà è stata sottolineata più da pensatori laici
che cristiani.
E
allora? Credo che ci voglia una coraggiosa apertura del laicismo nostrano a
saper integrare anche il crocifisso come tutti gli altri simboli che parlano
all’uomo e dell’uomo e della sua dignità nel vivere e nel morire e nel soffrire
per un alto ideale e per i valori dello spirito.
Ho
scritto “integrare anche” perché questa per me è la via: perché invece quel
giudice non faceva un’altra proposta, quella di esporre insieme al crocifisso
anche i simboli delle altre credenze religiose dei bambini di quella classe o
comunque di quelle ormai presenti nella nostra società? Io da cristiano non mi
sarei scandalizzato nel vedere accanto alla croce la Stella di David o la
Menorah ebraica insieme alla invocazione dei 99 nomi dell’unico Dio. Così avrebbe
dato un esempio di una integrazione fra popoli e culture in cui chi accoglie ma
anche chi viene accolto impara a conoscere e riconoscere e rispettare l’altro
nella sua interezza. E avrebbe insegnato
a riconoscere i veri dai falsi problemi!
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