martedì 8 aprile 2014

dove esporre il crocifisso?


Adesso che la bufera si è un po’ calmata, vorrei riflettere su quel trambusto che la sentenza sul crocefisso appeso nelle aule pubbliche ha provocato.  Anzitutto voglio esprimere il mio convincimento che si tratti di una ennesima “querelle” “all’italiana”, cioè con quella capacità tutta nostra di sapere mettere insieme problemi di ordine diverso e di creare un pastrocchio in cui tutti simultaneamente hanno ragione e non si capisce più dove stia il bandolo della matassa.

Perché in questo caso abbiamo contemporaneamente il problema della laicità dello Stato, con la questione connessa del rapporto di questo Stato con la religione cristiana e la confessione cattolica in particolare, in un secondo momento abbiamo poi i rapporti che uno Stato laico deve intrattenere con tutte le organizzazioni religiose, e poi il problema attuale dell’immigrazione dal mondo islamico che ha riaperto la questione tra civiltà islamica e civiltà cristiana (si badi bene che qui parlo di civiltà e non di religione) connesso a tutta la dialettica interna al mondo islamico di un difficile rapporto con la modernità che gli appartenenti a questo mondo si trovano a vivere.  Perciò non si può fare di tutta l’erba un fascio  e ogni problema deve essere doverosamente studiato a parte. Premetto dunque che almeno per il momento non voglio entrare nel problema del rapporto col mondo musulmano perché, se me ne viene data occasione, vorrei trattarlo in separata sede. Qui voglio fermarmi alla sentenza con cui un giudice ha creduto di garantire da un lato la laicità dello stato e dall’altro ad un musulmano la libertà della sua espressione di fede, volendo proteggere entrambi da ogni tentativo di ingerenze confessionali.

Diamo per buone le sue intenzioni di fondo, anche se in realtà non supportate da una altrettanta tecnica giuridica all’altezza del problema: anche i più sprovveduti di diritto sanno che quella del 1983 non è stata la stipula di un nuovo concordato tra la S. Sede ma solo la revisione di alcuni punti particolari dell’unico concordato che rimane in vigore con la   Repubblica italiana. Fra l’altro i Patti Lateranensi appartengono all’ambito del diritto internazionale e come ogni patto fra Stati sovrani, non rientrano nella disponibilità giurisdizionale dei singoli giudici per ovvie ragioni, per cui mi chiedo come un giudice può giudicare sulla validità di questi e delle leggi e regolamenti attuativi di questi patti. Finchè un patto non viene impugnato da una delle due parti questo rimane in vigore per il principio del “pacta servanda sunt” . Inoltre tutti sanno che i Patti Lateranensi sono stati recepiti nella nostra Carta costituzionale e noi sappiamo quanto siano intangibili i principi costituzionali. Al massimo perciò il nostro caro giudice poteva proporre una eccezione di incostituzionalità a chi di dovere…invece… Invece ha emanato una sentenza in cui riflessioni pseudo giuridiche si intrecciano a meri girotondi di lingua intessuti  di un generico sociologismo.

Ma non voglio entrare nel merito della sentenza quanto fermarmi alle intenzioni del giudice, dando per scontato che, come dicevo prima, fossero pure buone intenzioni.

Si, è giusto che uno Stato moderno e laico non faccia proprie le insegne e i simboli di qualsivoglia confessione religiosa e/o comunque di qualsiasi organizzazione filosofica o ideologica perché significherebbe in un certo senso essere di parte, lo si voglia o meno.

Io mi chiedo però se questa azione di preservazione della laicità dello Stato sia fattibile nel modo in cui il nostro giudice l’ha intesa oppure se sono praticabili altre vie.

E’ un problema annoso questo, in cui il nostro giudice si trova nella (buona?) compagnia di tutti gli anticlericali d.o.c. che hanno paura finanche ad accogliere il Capo di Stato del Vaticano nel parlamento italiano: imperterriti nell’ancoramento al loro statalismo ottocentesco. Per tutti questi la soluzione consiste nel togliere i simboli, ma di simboli cristiani è costellata tutta la nostra bellitalia: allora che ce ne facciamo dei presepi allestiti nelle aule scolastiche e negli ospedali, di quadri a soggetto cristiano nei pubblici musei, delle facciate delle chiese con le loro croci che spiccano sulle pubbliche piazze, dei nomi dei santi dati alle pubbliche vie? E poi ci pensate che uno Stato laico come il nostro mantiene ancora un calendario scandito dalle domeniche e dalle festività cristiane? E allora che facciamo, togliamo tutto?

Però poi per doveroso atto di giustizia, già che ci siamo dovranno essere emanati decreti per eliminare anche gli altri simboli che potrebbero arrecare danno alla serenità dei cittadini: se va via la croce devono scomparire pure le mezzelune islamiche e le stelle di    David, ma anche quanto ancora sa di residuo di paganesimo (come la mettiamo con uno stato laico che utilizza immagini pagane?). Perciò via dalle farmacie quel brutto bastone coi serpenti (Freud avrebbe da dire qualcosa in proposito) e via dalle aule dei tribunali quella dea bendata che tiene in mano la bilancia, via dalle pubbliche piazze anche gli obelischi egiziani e tutto quanto ancora ci riporta ai   tempi oscuri in cui l’uomo era vittima delle superstizioni!

E già che ci siamo, sempre per il principio di uguaglianza davanti allo Stato, perché non fare pure qualcosa per cambiare lo stemma della Repubblica Italiana? Poiché i cristiani si potrebbero sentire offesi e in un certo senso intimiditi da quella persecuzione occulta che il mondo massonico e anticlericale porta avanti ogni volta che sventola una bandiera con lo stemma della nostra Repubblica: lo sanno tutti che la stella a cinque punte è un simbolo massonico. E perché io me lo debbo ritrovare in tutte le carte bollate, nei francobolli, nelle pagelle e in tutti i documenti? E se nello Stato laico la Massoneria come associazione segreta è proibita, perché poi lo Stesso governo ne ha assunto i simboli? Pensate anche alle stellette dei nostri soldati e alle stelle che trionfano sul marciapiede di Montecitorio!

E allora che facciamo, leviamo? Leviamo,  per riportare il nostro Stato alla laica purezza delle origini?

Solo che arrivati a questo punto mi viene fortemente un dubbio: ma siamo proprio sicuri di preservare così la laicità dello Stato? Ma cosa sarà poi  mai questa laica purezza delle origini? Qualcuno dice che lo stato moderno è nato con la Rivoluzione francese, ma  confesso che io proprio di questo ho paura e ne spiego il motivo.

Chi certo   ha studiato più di me  ricorderà come anche gli illuministi incominciarono col levare: levarono prima i crocefissi e poi le statue dalle chiese e poi le stesse chiese e poi per sicurezza tagliarono la testa ai preti e ai cristiani, levarono il calendario e lo sostituirono con un altro in cui non c’era né venerdi perché islamico, né sabato perché ebraico, né domenica perché cristiana, e non c’erano settimane ma decadi…e poi levarono anni alla storia e secoli e millenni e finì che qualcuno pensò che la storia stesse incominciando con loro. E levarono le feste e levarono… tutto! Ecco, confesso che di  questo leva leva ho paura: e se poi rimaniamo nudi, senza niente?

Ripeto: si è proprio sicuri che la soluzione sia nel levare?

Qualche tempo   fa, si dice, un signore stanco delle umiliazioni che provava nel dover esibire ogni volta il proprio certificato di  nascita dove purtroppo la vita gli aveva negato la gioia di poter trascrivere il nome della madre, se ne lamentò con qualcuno in alto: e così, poiché in uno stato laico e fondato sull’uguaglianza di tutti i cittadini non ci può essere diversità, fu stabilito  che nei certificati non si annotassero più la paternità e la maternità dei cittadini. Diventammo pertanto tutti figli di NN!!!

Ora io ho proprio paura che se noi cominciamo col togliere ora questo e ora quello, va a finire che culturalmente tutta la nostra civiltà diventerà figlia di “m.ignota”, come si scriveva un tempo.

Perché il problema non è religioso, dice il falso chi afferma che il problema sia la religione: e mente sapendo di mentire perché sono certo che a qualcuno una nuova bella guerra di religione (magari per stornare l’attenzione dai problemi veri) farebbe comodo e piacere!

No, il problema non è religioso, è di cultura e di civiltà.

Cosa è la civiltà se non il sedimentarsi lungo il corso dei secoli di ideali, principi, valori, credenze religiose, sentimenti di appartenenza ad una cultura peculiare, nel cuore dei popoli: e l’uguaglianza tra culture e civiltà non si fa mai negandone la diversità, negandone le radici e i frutti. Ora, lo si voglia o meno, è innegabile che la civiltà europea è impregnata di cristianesimo come è impregnata del pensiero classico greco e del pensiero giuridico romano. Io oggi potrò credere o non credere nel Dio di ebrei e cristiani, ma non posso negare che nel mio patrimonio genetico scorra pure quella linfa. Negarlo significa essere come un figlio che nega la propria maternità e paternità: ma non perché io abbia rifiutato i miei    genitori,  questi finiscono di essere tali!

L’Occidente oggi, e l’Europa in particolare, soffre proprio a partire dall’Illuminismo del tipico complesso adolescenziale del disconoscimento delle proprie origini, credendo che solo un tale misconoscimento possa portare alla piena maturità: cosa è infatti se non questo il rifiuto di scrivere nella Carta costituzionale europea che noi siamo figli anche della matrice giudeocristiana? Imbroglia le carte chi dice che si vuole imporre Dio nella costituzione come chi dice che il crocifisso nelle aule è un’imposizione. No, qui non si tratta di imporre una fede, si tratta di riconoscere che, per cultura e civiltà noi europei “non possiamo non dirci cristiani”. E questo lo chiedono non solo il Papa, ma tutte le confessioni cristiane insieme (cioè per chi ancora non vuol capire cattolici, luterani, anglicani e quanti ancora si sentono legati insieme dal cristianesimo per un motivo o per un altro).

Nessuno vuole imporre niente all’altro, si tratta solo di capire che uguaglianza non significa uniformità, che laicità non significa monolitismo nudo e vuoto ma un pluralismo che arricchisce tutti  nella diversità. E promuovere il pluralismo non significa togliere, eliminare, ma semmai comporre, aggiungere, operare sintesi ad un livello più alto.

L’esporre allora un crocefisso in pubblico non sarà mai e poi mai l’espressione della volontà di imporre la mia fede ad un altro, quanto il riconoscere che la mia civiltà è figlia anche di questa esperienza. E che, diciamolo chiaro, se io rimuovo le tracce di questa esperienza, tante espressioni di cultura della mia civiltà mi diventeranno non intelligibili, dall’arte alla letteratura, ma la stessa scienza e la stessa storia.

E poi lo sappiamo, quando qualcosa diventa simbolo, in un certo senso già trascende il contesto stesso in cui è nato per assurgere ad un significato universale: anche in questo senso, paradossalmente la dimensione simbolica del crocefisso per la nostra civiltà è stata sottolineata più da pensatori laici che cristiani.

E allora? Credo che ci voglia una coraggiosa apertura del laicismo nostrano a saper integrare anche il crocifisso come tutti gli altri simboli che parlano all’uomo e dell’uomo e della sua dignità nel vivere e nel morire e nel soffrire per un alto ideale e per i valori dello spirito.

Ho scritto “integrare anche” perché questa per me è la via: perché invece quel giudice non faceva un’altra proposta, quella di esporre insieme al crocifisso anche i simboli delle altre credenze religiose dei bambini di quella classe o comunque di quelle ormai presenti nella nostra società? Io da cristiano non mi sarei scandalizzato nel vedere accanto alla croce la Stella di David o la Menorah ebraica insieme alla invocazione dei 99 nomi dell’unico Dio. Così avrebbe dato un esempio di una integrazione fra popoli e culture in cui chi accoglie ma anche chi viene accolto impara a conoscere e riconoscere e rispettare l’altro nella sua interezza.  E avrebbe insegnato a riconoscere i veri dai falsi problemi!

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