martedì 15 aprile 2014

San Giuseppe


Giuseppe ha un grandissimo ruolo nella storia di Gesù, secondo solo a quello di Maria, eppure è uno dei personaggi di cui si parla di meno e di cui non ci viene riportata nessuna parola. La sua figura può essere tratteggiata a partire dalle descrizioni e notizie indirette che ci vengono dai vangeli.

Le due genealogie sia in Luca che in Matteo, pur seguendo a volte linee diverse, concorrono nel delineare in lui il discendente davidico (proveniente da Betlem, la stessa città natale di David), così che possa assicurare legalmente a Gesù il titolo di Messia (in greco Cristo, cioè consacrato con l’unzione regale). Tuttavia i due evangelisti ci tengono a sottolineare che nella nascita del Messia il suo ruolo fu solo quello di sposo di Maria ma non di padre biologico di Gesù, salvaguardando così la verginità di Maria e l’unicità del suo parto.  

Il suo compito così viene delineato come quello di un custode della Vergine e del figlio di costei in tutte le traversie della nascita e della crescita: salvaguardare Maria dall’accusa di essere ragazza madre, proteggerla nel pellegrinaggio del censimento prima e della fuga in Egitto poi, assicurare alla madre e al figlio una dignitosa sistemazione familiare, educare e seguire nelle fasi della crescita il Verbo incarnato).

Secondo gli studi esegetici più avanzati è riduttivo dire che il mestiere di Giuseppe fosse quello di falegname, in quanto la parola greca corrispondente delinea più la figura di un carpentiere-capomastro vicino quasi a quella di un geometra, più simile anche ad alcune figure di maestranze locali tuttora esistenti ai nostri giorni.

Sicuramente doveva essere ancora vivo all’inizio della predicazione pubblica di Gesù perché il suo nome viene ancora ricordato nei vangeli, anche se si suppone fosse morto prima della morte di Cristo, data la sua assenza al Calvario accanto a Maria.

Della sua vita interiore abbia due tratti sintetici ma significativi: in Luca Giuseppe è il prototipo dell’uomo di fede che insieme con Maria cerca di crescere sempre di più nella comprensione dell’evento della salvezza rappresentato dalla nascita di Gesù, nome impostogli da Dio stesso tramite l’angelo nell’annunciazione e che significa appunto Dio-è-Salvatore; in Matteo è sempre l’uomo di fede come Abramo e quindi definito “giusto” perché si sforza di essere sempre corretto sia nei riguardi di Dio che verso gli altri uomini e come Abramo e tutti i patriarchi (cfr. i suoi sogni come Giacobbe e soprattutto il suo eponimo Giuseppe) è sempre obbediente alla volontà di Dio.

Il silenzio dei  vangeli è supplito dagli apocrifi dei vangeli dell’infanzia che invece si soffermano con dovizia di particolari, spesso di sapore popolare e leggendario, quasi fiabesco, sul ruolo di Giuseppe nel salvaguardare la verginità di Maria (per questo nasce la tradizione di un uomo anziano e vedovo e con figli della prima moglie) e poi nel prendersi cura di Gesù nella fuga in Egitto e nella sua infanzia e adolescenza in cui a volte deve riprendere il bambino per le sue marachelle e per essere stato discolo a scuola! Commoventi sono le scene in cui insegna a Gesù la sua arte di falegname e la sua morte con la sposa e il suo figlio al capezzale. Proprio per questo nella tradizione Giuseppe sarà invocato non solo come patrono dei falegnami e di tutti i lavoratori, ma anche come il patrono della buona morte.

Nella chiese antiche la memoria di Giuseppe è sempre legata al mistero dell’Incarnazione per cui la sua festa è prevista sempre nel periodo del  Natale (così ancora oggi il  rito mozarabico, gallicano, ambrosiano, armeno, siriano, maronita e bizantino), mentre il rito romano fissò la sua festa il 19 marzo forse per cristianizzare la festa romana degli opifices, cioè dei lavoratori (le successive feste di questo rito quali il patrocinio o del suo sposalizio con Maria sono state ridotte di grado, restando come obbligatoria la memoria di San Giuseppe Patrono dei lavoratori anche questa voluta per cristianizzare la festa del lavoro del Primo Maggio). Diversamente copti, etiopici ed armeni legano la sua festa alla data della sua morte secondo gli apocrifi avvenuta o l’undici luglio o il due agosto o il ventisette ottobre.

La devozione moderna al Santo ha un primo momento di diffusione nel medioevo e poi di grande espansione a partire dal 1500 grazie anche agli ordini monastici, specie ai carmelitani. Negli ultimi due secoli il suo culto è stato patrocinato dalla stessa gerarchia ecclesiastica e diffuso in tutta la chiesa.

In Sicilia e nel meridione la figura di Giuseppe è legata soprattutto all’idea della Provvidenza e per questo in tante città isolane sono diffuse le “Cene” o le “tavolate” di San Giuseppe fatte in favore dei poveri e dei diseredati.

La data della festa il 19 marzo, vicina all’equinozio di primavera, ha collegato anche all’idea della fuga in Egitto come fuga dal male e quindi vittoria del  bene il rinnovamento della natura primaverile simboleggiato dai grandi falò della vigilia di sapore appunto apotropaico diffusi un po’ in tutta Italia e di cui la tradizione dei “pagghiara” a Scicli e della cavalcata è una testimonianza.

La festa di San Giuseppe perciò oggi è un valido esempio non solo di come i  valori biblici possono essere vissuti nella quotidianità della vita e nel silenzio operoso e umile, ma anche di come questi valori vissuti  possono permeare la cultura e la tradizione di un popolo finanche a contribuire, come nel caso di Scicli, a delineare con le sue tradizioni parte dell’identità cittadina.

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