Passavamo davanti ad una casa, due bambine di un quattro
anni circa con in braccio ognuna una bambola giocano. Rallentiamo un po’ il
passo perché ormai non è più facile incontrare scene del genere. Ma il sapore
di quella scena serena dura poco. Una bambola scivola dalla mano di una bimba e
cade sul gradino della porta, la vuole raccogliere ma l’altra la ferma:
“aspetta facciamo un gioco” dice e io quasi mi fermo curioso. Nel frattempo
l’altra bimba si mette accanto alla porta e finge di telefonare: “Pronto
polizia? Si? Venite, c’è un maniaco che ha violentato una bimba. E poi le ha
staccato le mani e poi i piedi e poi la testa e poi l’ha ridotta in piccoli
pezzetti e poi ha pestato tutto coi piedi”. E questo detto con una naturalezza
e con un tono disincantato come se stesse ordinando un gelato. Vi confesso che
io e l’altro sacerdote che passeggiava con me ci siamo fermati allibiti e
sconcertati. Che dire? Che pensare? Immagine dei tempi d’oggi, frutto di ciò
che purtroppo si vede e si sente nelle nostre televisioni, evidenza di ciò che
la cronaca nera ci riporta tutti i giorni… Ci domandiamo che esempi stiamo dando
alle nuove generazioni. Ci interroghiamo sulla responsabilità educativa che
ognuno per sua parte dovrebbe sentire. Chi educa oggi? Chi dovrebbe educare
oggi? Educare: tra le altre cose significa formare ai valori. Ma nessuno oggi
ci pensa. Lo stato laico non può imporre valori, si dice: ma è proprio sicuro
che il contrario di uno stato “etico” sia uno stato amorale? La scuola non
educa più i giovani né al rispetto reciproco, né a quello per gli insegnanti e
comunque per gli adulti, né a tutti quei valori che costituiscono i fondamenti
di una civiltà: gli insegnanti scaricano la responsabilità sui genitori che
hanno abdicato al loro ruolo, e anche questo è vero. Ormai nessun padre osa
dire al figlio che un gesto o un comportamento sono sbagliati. Umilmente devo
riconoscere che anche nelle nostre parrocchie il tono si è abbassato di molto,
per paura che i giovani scappino via o per un malinteso senso di benevolenza
pastorale siamo pronti ad accettare o a subire anche comportamenti al limite
dell’educazione e della morale. Che fare? Spesso ne abbiamo parlato e non vogliamo ripeterci né fare gli eterni catoni pronti più a
censurare che ad indicare nuove strade. Un educatore tedesco dei primi del
novecento diceva che l’educazione delle nuove generazioni è ogni volta come
l’inculturazione dei barbari. I grandi devono accettare continuamente la sfida
di inculturare, cioè inserire nel solco della tradizione e della civiltà ogni
nuova generazione: perché ogni nuovo nato è un “barbaro” che deve essere
educato alle regole del gioco civile. Forse ci siamo illusi che questo
“incivilimento” avvenisse in modo automatico e senza bisogno di un intervento
degli adulti che aiutasse a “razionalizzare e interiorizzare i comportamenti”.
Abbiamo dato troppe cose per scontate: me ne accorgo quando do per scontato il
fatto che alcune esperienze, solo perché le abbia vissute io le abbiano vissute
anche gli altri, i miei alunni o i miei giovani. Poi però vedi che è
impossibile parlare di Moro se a quei tempi nessuno di loro era nato e quindi
loro la stella a cinque punte te la disegnano sulla lavagna come una decorazione
natalizia. Lo stesso, è impossibile parlare del Papa Buono dando per scontato
che ci si riferisca a Papa Giovanni se sono tutti sono i quindici anni. Perché il
guaio non è della loro piccola età, è dato dal fatto che nessuno ha mai
raccontato loro queste storie. Ugualmente nessuno ha mai detto loro come ci si
comporta in società. Gli ebrei a Pasqua invece sono obbligati a raccontare ai
figli la loro liberazione dall’Egitto: così è come se ogni generazione
ripetesse quell’esperienza. Io credo che una strada per uscire dalla barbarie
sia il recupero della memoria e della storia che ti fa sentire parte di un
popolo e di una civiltà: altrimenti sarà la fine! Immaginate cosa significhi
entrare in una classe a Scicli e scoprire che nessuno conosce S. Guglielmo o il
perché di altre tradizioni religiose come quella del Venerabile a Pasqua. Ma
domani si potrà pure dimenticare Hitler e i suoi efferati crimini, e allora
cosa succederà? “Un popolo che dimentica la sua storia è condannato a
riviverla” ha detto qualcuno. Mi auguro sinceramente che questo non avvenga.
CATHOLICA FORMA : Non basta dirsi cristiani. Il credere deve avere una forma. La forma cattolica è il modo in cui la sostanza della fede cristiana prende corpo nel cuore dei credenti. Questo spazio vuole essere un luogo per mostrare la bellezza della fede cattolica.
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