sabato 13 febbraio 2016

Chi educa oggi?

Passavamo davanti ad una casa, due bambine di un quattro anni circa con in braccio ognuna una bambola giocano. Rallentiamo un po’ il passo perché ormai non è più facile incontrare scene del genere. Ma il sapore di quella scena serena dura poco. Una bambola scivola dalla mano di una bimba e cade sul gradino della porta, la vuole raccogliere ma l’altra la ferma: “aspetta facciamo un gioco” dice e io quasi mi fermo curioso. Nel frattempo l’altra bimba si mette accanto alla porta e finge di telefonare: “Pronto polizia? Si? Venite, c’è un maniaco che ha violentato una bimba. E poi le ha staccato le mani e poi i piedi e poi la testa e poi l’ha ridotta in piccoli pezzetti e poi ha pestato tutto coi piedi”. E questo detto con una naturalezza e con un tono disincantato come se stesse ordinando un gelato. Vi confesso che io e l’altro sacerdote che passeggiava con me ci siamo fermati allibiti e sconcertati. Che dire? Che pensare? Immagine dei tempi d’oggi, frutto di ciò che purtroppo si vede e si sente nelle nostre televisioni, evidenza di ciò che la cronaca nera ci riporta tutti i giorni… Ci domandiamo che esempi stiamo dando alle nuove generazioni. Ci interroghiamo sulla responsabilità educativa che ognuno per sua parte dovrebbe sentire. Chi educa oggi? Chi dovrebbe educare oggi? Educare: tra le altre cose significa formare ai valori. Ma nessuno oggi ci pensa. Lo stato laico non può imporre valori, si dice: ma è proprio sicuro che il contrario di uno stato “etico” sia uno stato amorale? La scuola non educa più i giovani né al rispetto reciproco, né a quello per gli insegnanti e comunque per gli adulti, né a tutti quei valori che costituiscono i fondamenti di una civiltà: gli insegnanti scaricano la responsabilità sui genitori che hanno abdicato al loro ruolo, e anche questo è vero. Ormai nessun padre osa dire al figlio che un gesto o un comportamento sono sbagliati. Umilmente devo riconoscere che anche nelle nostre parrocchie il tono si è abbassato di molto, per paura che i giovani scappino via o per un malinteso senso di benevolenza pastorale siamo pronti ad accettare o a subire anche comportamenti al limite dell’educazione e della morale. Che fare? Spesso ne abbiamo parlato e non vogliamo ripeterci né fare gli eterni catoni pronti più a censurare che ad indicare nuove strade. Un educatore tedesco dei primi del novecento diceva che l’educazione delle nuove generazioni è ogni volta come l’inculturazione dei barbari. I grandi devono accettare continuamente la sfida di inculturare, cioè inserire nel solco della tradizione e della civiltà ogni nuova generazione: perché ogni nuovo nato è un “barbaro” che deve essere educato alle regole del gioco civile. Forse ci siamo illusi che questo “incivilimento” avvenisse in modo automatico e senza bisogno di un intervento degli adulti che aiutasse a “razionalizzare e interiorizzare i comportamenti”. Abbiamo dato troppe cose per scontate: me ne accorgo quando do per scontato il fatto che alcune esperienze, solo perché le abbia vissute io le abbiano vissute anche gli altri, i miei alunni o i miei giovani. Poi però vedi che è impossibile parlare di Moro se a quei tempi nessuno di loro era nato e quindi loro la stella a cinque punte te la disegnano sulla lavagna come una decorazione natalizia. Lo stesso, è impossibile parlare del Papa Buono dando per scontato che ci si riferisca a Papa Giovanni se sono tutti sono i quindici anni. Perché il guaio non è della loro piccola età, è dato dal fatto che nessuno ha mai raccontato loro queste storie. Ugualmente nessuno ha mai detto loro come ci si comporta in società. Gli ebrei a Pasqua invece sono obbligati a raccontare ai figli la loro liberazione dall’Egitto: così è come se ogni generazione ripetesse quell’esperienza. Io credo che una strada per uscire dalla barbarie sia il recupero della memoria e della storia che ti fa sentire parte di un popolo e di una civiltà: altrimenti sarà la fine! Immaginate cosa significhi entrare in una classe a Scicli e scoprire che nessuno conosce S. Guglielmo o il perché di altre tradizioni religiose come quella del Venerabile a Pasqua. Ma domani si potrà pure dimenticare Hitler e i suoi efferati crimini, e allora cosa succederà? “Un popolo che dimentica la sua storia è condannato a riviverla” ha detto qualcuno. Mi auguro sinceramente che questo non avvenga.

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