sabato 6 febbraio 2016

Scambiare il cavallo per il cavaliere

A Modica gira un racconto: ‘Un modicano di campagna si recò per la prima volta al duomo di San Giorgio e al sacrista -  davanti alla sua statua del Santo cavaliere - mostrando grande interesse per il simulacro chiese al sacrista: “Bello davvero S.Giorgio! Ma quello sopra il cavallo chi è?”. Il campagnolo aveva riconosciuto il cavallo – questo rientrava nella sua esperienza – ma non aveva riconosciuto il santo che cavalcava il cavallo, perché - così si scusò – il santo non l’aveva mai incontrato prima! Il guaio non è stato la sua inesperienza in fatto di santi, quanto il voler leggere a partire dalla propria limitata esperienza un fatto più grande di lui col risultato di confondere il cavaliere col cavallo! Dove è stato lo sbaglio? Nel non confessare la propria ignoranza e così la sua stessa esperienza si è rivelata un pregiudizio, un fattore che cioè lo ha ingannato nell’accrescersi del suo processo conoscitivo dando luogo ad un errore. Risibile errore in questo caso. Solo che in tanti altri casi gli esiti dei pregiudizi danno luogo ad esiti drammatici. Mi veniva in mente questo aneddoto a proposito della preparazione della festa di San Giuseppe e della Cavalcata: c’è chi purtroppo ogni anno si ferma ai cavalli e non riesce ad andare al di là del cavallo! Fuor di metafora c’è chi crede che la Cavalcata sia una manifestazione equina (al massimo arriva alla sua dimensione folkloristica) ma non riesce a cogliere il suo aspetto fondamentale che è quello religioso. Come per la statua di San Giorgio, per bello che sia il cavallo quello che conta è il Santo che lo monta, così la cavalcata non ha ragione di esistere senza San Giuseppe e la rievocazione della fuga in Egitto! Chi vuole separare le due cose volendo fare la festa al solo cavallo di San Giorgio credo che abbia le idee confuse [ ma – detto per inciso - i miei cari lettori (e in questo caso i devoti di San Giuseppe ) non devono temere: finché il parroco sarò io la Festa e la Cavalcata saranno “di San Giuseppe”!].  Anche qui il guaio sta nella mancanza di una conoscenza esatta o in una conoscenza parziale ed errata che però rimane inconfessata ma che viene creduta esaustiva e quindi dà luogo ad una lettura preconcetta delle cose. Perché scrivo questo? Per raccontare anzitutto il modo con cui nascono le mie riflessioni.  Spesso infatti  mi viene chiesto il perché dei miei articoli, se scrivo perché ce l’abbia con qualche persona in particolare o se sono dettati da qualche episodio particolare. Voglio soddisfare la parte legittima della curiosità di chi mi ha fatto queste domande. Le mie confessioni nascono sempre da esperienze personali, questo però non vuol dire che “sic et simpliciter” siano trasposte nei miei scritti, né tantomeno che usi i miei articoli per attaccare indirettamente qualcuno. Mi sembra di aver dato ampiamente prova che quando voglio dire qualcosa a qualcuno so benissimo chiamarlo per nome e cognome. Ma non credo che il giornale o il blog debbano servire per combattere le mie battaglie. Se ho accettato l’invito a scrivere e ho deciso di collaborare attraverso lo strumento delle mie “confessioni” sul periodico “Dibattito” di Scicli è perché invece credo che forse a qualcuno le mie riflessioni sui più vari accadimenti possano interessare, dato che penso di non essere il solo a cercare di dare continuamente senso alle più varie esperienze che la vita ci propone, come d’altronde io sono grato a quanti, aprendomi il loro cuore e mettendomi a parte dei loro pensieri, mi consentono di usufruire della loro ricchezza spirituale per la mia crescita personale. Ritornando alla storia del cavallo di San Giorgio: il problema del pregiudizio è il tema della stupidità di cui abbiamo parlato la volta scorsa. Perché? Perché il problema – e se ne era accorto già Platone nella sua Apologia di Socrate – è che spesso chi è ignorante o ha una conoscenza parziale, invece di aprirsi ad una conoscenza più ampia, si chiude in una sorta di compiacimento autosufficiente e si crede invece già saggio e sapiente, ritenendo di non aver niente da imparare dagli altri, anzi la sua conoscenza parziale, se assolutizzata si rivela come un pregiudizio insanabile. Lo stupido di cui parlavo in qualche altro scritto precedente è di questo genere: avrebbe tutti gli strumenti di cui l’ha dotato madre natura per conoscere non superficialmente ma dal di dentro le cose (intelligenza, intelligere, non viene proprio da intus – leggere : leggere dentro?) ma non li usa o li usa male! E li usa male perché è viziato da pregiudizi insuperabili che gli fanno leggere in modo distorto la realtà. Un antico detto ammonisce “timeo lectorem  unius libri”: temo il lettore di un solo libro. Come dire, temo chi si è chiuso nelle proprie idee e vuole sentir suonare solo la propria campana. L’altro articolo si chiudeva con l’accenno al fatto che la stupidità si risolve da un lato con la responsabilità e dall’altro con la qualità della propria esistenza. Ebbene, qualità significa qui appunto la capacità di saper uscire dalla propria mediocrità, dalla propria ignoranza, aprendosi alla cultura, al confronto con le ragioni degli altri, all’intelligenza che non si fa abbagliare dagli specchietti per le allodole. Confesso che per me è sempre una gioia stimolante incontrare e parlare con persone di cultura che magari combattono in campi diversi e talora opposti al mio ma la cui intelligenza  ti permette un incontro vero con l’altro e una comune ricerca della verità, piuttosto che a volte sopportare la pena di gente vuota e insignificante che non sa andare al di là dei propri pregiudizi e del pettegolezzo e che pure dice di essere dalla tua parte e d’accordo con te! Per questo non amo i talk – show e rifiuto gli inviti a parteciparvi. Perché spesso sono solo una sfilata di gente che monologa e ognuna a partire dal proprio pregiudizio. Alla fine ognuna ritorna a casa così come era prima: e allora cosa ci ha guadagnato? La qualità della vita invece credo dipenda dalla propria onestà intellettuale con cui uno si mette alla ricerca della verità e della sapienza. Partendo però da un ammissione: il sapere di non sapere! Cioè il non credere di sapere tutto. Si può conoscere la propria arte eppure non essere sapienti! Proprio come Socrate: allora si arriverà alla “dotta ignoranza” di cui parlano mistici religiosi e laici. E credo che, in tempi in cui è facile scambiare il cavallo per il cavaliere, un po’ di saggezza e di intelligenza non guastino a nessuno!

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