RITROVATA LA TOMBA DEI FIGLI
Davvero non pensavo
che il caro Uomo libero sarebbe riuscito, col suo fiuto da investigatore di
storie patrie, a trovare così tante informazioni sul nostro Sergente Maggiore,
incuriosito da una chiacchierata fatta insieme su alcuni aspetti del passato
della nostra città.
Ciò mi rafferma
nell’idea che gran parte della nostra storia debba essere riscritta, giacché per
anni, per non dire secoli, ci si è limitati a ripetere quello che il Carioti,
forse l’unico vero nostro storico, nonostante i suoi limiti, scrisse nel ‘700.
Il Pacetto e lo Spadaro lo ripresero, il Pluchinotta li compendiò tutti, il
Cataudella ne fece una sintesi. E, come sempre avviene, tutte le sintesi e i
compendi non rendono conto della ricchezza dei dati originari. La storia (e la
cultura) non si fa coi Bignami! E da allora dunque niente di nuovo sotto il
sole. In verità non è che il nuovo non ci sia, anzi, ma il fatto è che tanti
non se ne sono accorti o preferiscono non accorgersene. Tanto per fare dei nomi
di quanti hanno prodotto delle novità e aggiornato i dati a nostra disposizione
basti pensare al nostro Paolo Nifosì, ai fratelli Pietro e Paolo Militello, e
se permettete mi ci metto anch’io per quanto riguarda la storia religiosa di
Scicli: eppure ho avuto modo di vedere alcune ultime pubblicazioni e tesi prodotte
a Scicli in quest’ultimo anno compilate senza tener conto delle nuove
acquisizioni e dove l’ultimo autore in ordine di tempo citato è il Santiapichi
del secolo scorso! I nostri giovani non leggono i giornali locali a stampa né
quelli on line né si aggiornano sulle altre pubblicazioni prodotte in proposito
a livello locale e perciò abbiamo il ripetersi di cliché obsoleti che rendono
vecchi e inutili le loro tesi pur fresche di stampa. Scrivo ciò non per vena
polemica, ma per stimolare invece ad una attenzione maggiore e ad uno scambio fecondo
tra studiosi e appassionati di storia patria: le ricerche di Un Uomo libero che
ogni tanto pubblica su questo sito credo vadano proprio in questa direzione e
di questo dobbiamo essergliene grati. Così come quelli di tutti gli altri qui
pubblicati, penso ad esempio alle note di Di Stefano e all’ultimo scritto del
Nifosì sul nostro San Matteo.
Tutto ciò ci aiuta ad
avere un’immagine nuova ed inedita della nostra città. Ci siamo incaponiti ad
esempio sull’idea che l’unico benefattore di Scicli sia stato il Busacca,
quando abbiamo avuto figure che per l’operato e la generosità non gli sono state
seconde.
Si prenda il caso del
nostro Domenico Serraton e della moglie Donna Teresa. Mi sono imbattuto in lui
facendo le mie ricerche sulla Madonna delle Milizie.
Purtroppo non sappiamo
quando arrivò a Scicli, perché non si è ancora trovata la sua nomina. Ma
sappiamo quando arrivò a Palermo, nel 1696, quando era stato appena nominato
Cavaliere di San Giacomo. Ha appena 38 anni, è già sposato con Donna Teresa, di
15 anni in meno di lui e quindi ventitreenne, e col figlio Pedro, nato a
Cartagena nel 1692, che porta il nome del nonno paterno come è giusto che sia,
di appena 4 anni, e che come secondo nome si chiama Ambrosio, cui è legata la
madre Teresa e la sua parentela. A Palermo sarà rimasto per qualche anno, sia
perché la seconda figlia gli nascerà proprio a Palermo nel 1699 e lui la
chiamerà Rosalia, il nome della Patrona amata dai palermitani; e questo
dimostra la grande squisitezza d’animo di questa coppia che pur potendo dare
alla figlia un nome spagnolo gli impongono il nome della Santa della città che
li ospita. E a Palermo saranno stimati perché sono una decina le richieste
provenienti dai nobili di quella città perché i coniugi facciano da padrini di
battesimo ai loro nascituri: i Serraton (con atti stilati ancor prima della
nascita dei bambini) delegheranno altre coppie nobili della stessa Palermo o di
altre città vicine, e poi in seguito delegheranno lo stesso figlio Pedro ad
assistere a questi battesimi. Così come sono tante le analoghe richieste da
parte di tutti i nobili delle città della Contea ma anche di altre parti della
Sicilia e che stanno ad indicare come, prima di essere nominato Sergente
Maggiore a Scicli, lui abbia svolto qualche incarico che gli ha permesso di
intrattenere rapporti con tutta la nobiltà dell’Isola. Certe alcune richieste
di comparatico saranno state dettate da interesse o opportunismo, ma crediamo
che altre saranno state sincere. In seguito le stesse richieste saranno rivolte
al figlio Pedro: la prima è registrata in un atto del Notaio Errera del 3
luglio 1706, in cui Don Pietro Cerranton “come asserisce lui e appare dal suo
aspetto, essendo maggiore di 14 anni” può fare da padrino e quindi dà la
procura per il battesimo del figlio di Don Alois Guarino e Lina Consales,
spagnoli, all’amico Marco de Leo, pure spagnolo, perché funga da padrino in suo
nome. E tante altre ne seguiranno. La procura tra l’altro è interessante perché
riprende il principio del diritto romano della inspectio corporis per provare la pervenuta adolescenza: le guance
del giovane Pietro dovevano essere già ricoperte della peluria adolescenziale
che attestava l’aver raggiunta la capacità per poter esercitare alcuni diritti,
tra cui appunto quello di poter fungere da padrino.
Ma ritorniamo al nostro Sergente. Il Pluchinotta recensisce
il Serraton come sergente a Scicli già alla fine del ‘600, potrebbe essere
arrivato tra il 1698-1699? Purtroppo finora non ci sono documenti che
suffraghino questa ipotesi. Forse più sicuramente qualche anno più tardi. Un
atto mutilo che gli si potrebbe attribuire starebbe ad indicare il 1701.
Però il primo atto
sicuro è la procura per la riscossione della gabella della macina del 9 ottobre
1703: ora noi sappiamo che lo stipendio, per dire così, dovuto al Capo della
Sergenzia era il risultato appunto dei proventi della Gabella della Macina. E
infatti da quest’anno in poi troveremo questa procura annuale che lui faceva ai
suoi riscossori, comprese altre entrate la cui riscossione era affidata a suoi
procuratori a Palermo, a Noto e in altre città della Sicilia.
Perciò io propenderei
per questa data per il suo arrivo a Scicli, anche perché poi il 25 gennaio 1704
Domingo de Cerrandon “cavaliere di san Giacomo, hispanus” affitta una casa di
otto stanze dal proprietario Francesco d’Angelo, comprendenti “due sale, un
camerino, una cucina e antecucina al primo piano e sotto comprendente l’entrata con scala, un catodio e
un magazzino, in contrada Xifazzo confinante con altre case del detto d’Angelo
e la via pubblica”.
Ma nel 1706 si
trasferiranno in una casa più grande vicina alla chiesa di Santa Maria
Maddalena affittata loro dalle suore di Valverde (le agostiniane di San
Michele).
I Serraton sono una
famiglia pia e cominciano a frequentare, i vicini conventi e le altre chiese
della città. Don Domenico si prenderà subito cura delle povere orfanelle che
hanno trovato rifugio nell’ex convento delle Suore Agostiniane di Valverde, che
dopo il terremoto hanno trovato nuova dimora nella chiesa di San Michele. Fra i
ruderi del convento, che nel dire comune della gente rimarrà sempre di
Valverde, dando nome allo stesso quartiere, una bizzocca (diremmo oggi “monaca di casa”,
terziaria francescana) aveva radunate alcune orfanelle e creato un
“conservatorio” con l’annessa chiesa di Santa Maria degli Angeli. Il Sergente
le aiuta, così come scrive il Carioti e l’amico Uomo libero ci ha ricordato.
Ma l’opera più grande
del Serranton sarà quella compiuta in favore della divulgazione della devozione
alla Madonna delle Milizie. Nel 1708,
in aprile, all’arrivo dei primi venti caldi dell’Africa, ritorna pure la piaga
delle cavallette. E perciò gli sciclitani, il 24 aprile 1708 indicono una
processione penitenziale con il busto reliquiario di san Guglielmo fino
all’eremo dei Milici, passando per le campagne di Scicli, come si era fatto in
passato.
Si noti come ci si rivolge a san
Guglielmo perché preghi la Madonna per ottenere dal Signore la cessazione del
flagello: è la perfetta manifestazione della concezione della intercessione dei
santi presso Dio e del ruolo peculiare della Vergine. Ma l’invasione non cessa.
Per tutto il mese di maggio le orazioni nelle chiese sono continue e alla fine,
il 2 giugno del 1708,
dalla chiesa delli Milici il
simulacro della Madonna
è condotto in processione penitenziale per le campagne di Scicli a scongiurare
l’invasione delle cavallette venute dall’opposto lido africano. Al passaggio
della processione orante le locuste muoiono o fuggono via: la Città è preservata dal rinnovato pericolo delle
locuste grazie all’intercessione della Vergine delle Milizie, pertanto gli sciclitani fanno voto di ripetere
ogni anno la processione in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo.
La descrizione di
questo prodigio è fatta dall’Alberti nel 1718 e
il Carioti si limiterà a riprendere la sua narrazione.
Ancora una volta dunque la
liberazione dall’invasione delle locuste è attribuita alla Vergine dei Milici,
come già nei secoli precedenti: ma a questo fatto si aggiunge anche un altro
motivo di ringraziamento, il fatto che stavolta Scicli è rimasta indenne dalla
peste che invece a Modica e altrove nel 1708 ha mietuto migliaia di vittime.
Ma d’improvviso scoppia la tragedia: la morte
dei due figli per una febbre (certo malarica o colerica) nello stesso giorno,
il 31 agosto 1708.
Lo
strazio è grande non solo per i genitori ma per tutta Scicli. Pietro, di 16
anni morto dopo aver ricevuto tutti i sacramenti, e Rosalia di 9 anni, dopo
aver ricevuto appena il sacramento della penitenza, sono sepolti insieme nel
presbiterio della chiesa del Carmine, sotto la nicchia della Madonna, dopo che
i funerali sono stati fatti dall’Arciprete Virderi nella Matrice San Matteo:
proprio l’undici luglio ultimo scorso abbiamo ritrovato la loro lapide che così
li piange:
Dom:
Petrvs et Domina Rosalia
Illvstrivm
ex Hyspaniis Orivndiis
Dvcis D:
Dominici Serraton e Regno Castille Veteris
Eqvitis Habitus S: Iacobi Siclensisqve Militie
Primarii
Maiorisve
Sergentis
Ac
Dominae Theresiae de Yzsco Qvin
conzes e
Regno Valentiae Ivgalivm
Filii
Merito Predilecti
qvos
eodem mense terris die
celis
hora fvneri communi fletv
datos
eadem
charitas devotio pietas
infirmitas mors et sepvltvra
vere
fecit esse germanos
Ecco una
trascrizione dal latino dell’epigrafe:
[QUI RIPOSANO]
DON
PIETRO E DONNA ROSALIA
DEI CONIUGI - ILLUSTRI TRA GLI ORIUNDI SPAGNOLI -
IL COMANDANTE DON DOMENICO SERRATON
DEL REGNO DI CASTIGLIA LA VECCHIA, CAVALIERE
DELL’ORDINE DI SAN GIACOMO E SERGENTE PRIMARIO E MAGGIORE DELLA MILIZIA DI
SCICLI
E DONNA TERESA DE YZCO QUINCOSES
DEL REGNO DI VALENCIA
FIGLI
MERITATAMENTE PREDILETTI
CHE
- CONSEGNATI
NELLO STESSO MESE E NELLO STESSO GIORNO
ALLA TERRA E AI CIELI
(oppure: DALLA TERRA AI CIELI)
CON GENERALE PIANTO NELL’ORA DEL FUNERALE -
LA STESSA
CARITA’ DEVOZIONE PIETA’
MALATTIA MORTE E SEPOLTURA
LI FECE ESSERE VERAMENTE FRATELLI
E’ davvero strana questa coincidenza che
fa sì che in pochi giorni si arrivi alla conoscenza di cose rimaste nell’oblio
per secoli.
Ad esempio: mi ero convinto che
appartenendo il Convento del Carmine alla parrocchia di Santa Maria la Piazza
gli atti di morte dovevano trovarsi nell’archivio di questa chiesa e non
avendoli trovati mi ero convinto che erano andati perduti e avevo smessa la
ricerca.
Ma l’insistenza del caro Uomo Libero mi
ha convinto a ricercarli nell’archivio di San Matteo: ed eccoti la sorpresa il
17 luglio!
Ecco
gli atti:
A di ultimo di agosto mille setticento
ed otto 1708
Don Pietro Ambrosio nato in Cartagena,
figlio legittimo e naturale del Sergente maggiore del terzo di Scicli, don
Domenico Serraton del Regno di Castiglia, e di Donna Teresa Schincosi di
Valenza, Iugali,avendo ricevuto li santi sacramenti, in età d’anni sedeci rese
l’anima a Dio, il di cui corpo fu sepolto nella venerabile chiesa del Convento
del Carmine, per me Arciprete Dottor Don Guglielmo Virderi.
***
A di ultimo di agosto mille setticento
ed otto 1708
Donna Rosa, nata in Palermo, figlia
legittima e naturale del Sergente maggiore del terzo di Scicli, don Domenico
Serraton del Regno di Castiglia, e di Donna Teresa Schincosi di Valenza,
Iugali,avendo ricevuto il santo sacramento della penitenza, in età d’anni nove
rese l’anima a Dio, il di cui corpo fu sepolto nella venerabile chiesa del
Convento del Carmine, per me Arciprete Dottor Don Guglielmo Virderi.
Questo ci
spiega meglio la lapide e ci porta a
fare alcune considerazioni sull’esattezza delle informazioni possedute. Infatti
ci sembrava strano quanto scriveva il Pacetto, ma adesso sia la lapide sia gli
atti di morte confermano che i due figli sono morti nello stesso giorno.
I coniugi Domenico e Teresa vivono
questo momento con intensa fede. Rimasti senza eredi intensificano le loro opere
di carità e si votano entrambi all’incremento della fede e della devozione di
Scicli.
Nel 1709, ad un anno esatto il
Procuratore della Chiesa delle Milizie, don Raimondo Penna, e il nostro
Sergente Maggiore, che si rivela così benemerito devoto della Madonna delle
Milizie, faranno la richiesta al Vescovo
di poter ottemperare al voto fatto con una processione di ringraziamento a
Maria, cosa che il vescovo concede il 20 giugno: il 30 giugno, si sciolse così il pubblico
voto per ringraziare Maria della duplice grazia ricevuta.
Si noti, tra l’altro, come l’istanza
è presentata non dal clero cittadino ma parte, per così dire, dall’iniziativa
privata del Serranton e del Penna.
Questi ebbero dalla loro parte tre
dei quattro giurati (Salonia, Papaleo, Novello), così come si evince dalla
annotazione delle spese per la processione in cui è detto che il Sindaco si era
rifiutato di approvare il bilancio della festa e certo perché forse non
approvava questa nuova processione a carico delle casse comunali. La riprova è
che il baldacchino sul fercolo della Vergine è portato dai tre giurati detti
sopra e dal capitano di Giustizia: il Sindaco per protesta non partecipò alla
processione!
A partire dal 1710
dunque la festa per la Madonna delle Milizie si sdoppia: si continuerà fare
quella del Sabato di Lazzaro che servirà a ricordare il miracolo
dell’apparizione durante la battaglia, e quella di luglio che servirà a
sciogliere il voto fatto nel 1708 e che si celebrerà dal 1711 in poi senza
soluzione di continuità fino al tempo della rivoluzione francese, come diranno
il Pisani ed il Pacetto.
A Maria perciò la Città riconoscente
dedicherà il Festino nella terza domenica
del mese di luglio (come poi verrà chiamato e il nome già ci richiama il
“festino” di Santa Rosalia), oltre
alla tradizionale festa quaresimale.
Ma il sergente maggiore spagnolo Domenico
Serranton non fu solamente il propugnatore del festino trionfale di luglio in
onore della Madonna.
Fu parte attiva della ricostruzione fisica e
spirituale della città.
Uomo di grande pietà e devozione, sentimenti cristiani
che condivideva con la moglie e i figli, il Serranton fu munifico non solo verso
l’orfanotrofio di Santa Maria degli Angeli, ma chiamò eremiti da Noto – essendo
l’eremo dei Milici da alcuni anni ridotto ad un solo eremita (forse in seguito
proprio alla mortalità dovuta al terremoto) - per rinverdire il culto della
Vergine, come dice il Carioti: << Il pio sargente sempre ebbe l’occhio
a questo rifuggio [delle orfane di Santa Maria degli Angeli] ed all’eremitorio
della Madonna delli Milici, e non ebbe a rossore dentro d’entrambi dispensarvi
più ore del giorno per soprastare a’ maestri muratori che vi faticavano. Egli
provvide di letti le zitelle [del rifugio delle orfane di Santa Maria degli
Angeli] e di arnesi fin la cucina. Chiamò alcuni eremiti da Noto per abitare
l’antico eremitorio delli Milici, per più anni non abitato, che di un solo
sacerdote ed un sacristano, che serviva
la chiesa>>.
Per far ciò il Serranton entrò in contatto, nel periodo tra il 1708 - 1710,
con il Venerabile Girolamo Terzo, eremita questi dapprima nell’eremo
netino di San Corrado, e poi dal 1710 nominato dal vescovo di Siracusa
Asdrubale Termini come superiore del novello romitorio della Madonna della
Scala, che lo stesso Terzo aveva fondato: proprio a fra Girolamo il Serranton
chiese l’invio di nuovi eremiti per l’eremo delle Milizie.
Fra Girolamo Terzo risponderà positivamente
alla richiesta e verrà lui stesso in visita all’eremo dei Milici accompagnato
dal Sergente Serranton.
Qui all’eremo Domenico Serranton, che sovraintende
ai lavori, si adopera per dare migliore sistemazione ad eremiti e pellegrini <<e
leuar così la puoca riuerenza dei forastieri che si coricavano nella
chiesa>> col suo contributo benefico, grazie anche ai consigli di
Girolamo Terzo.
I Giurati di Scicli gli sono così riconoscenti
per quanto lui ha fatto per la Chiesa di Sancta Maria Militum lo
nomineranno, con atto del 20 gennaio 1710 Procuratore a vita della
stessa chiesa: e questo è un riconoscimento importante perché attesta quanto
lui si sia speso per la devozione verso quella Madonna che gli ricordava tanto
il suo Santiago Matamoros! In questo forse ha ragione il nostro Uomo Libero
quando suppone che la stessa idea del simulacro della Vergine amazzone sia
stata proprio il frutto dell’accostamento al santo compostellano, per la
vicinanza non solo iconografica, quanto per il fatto di essere entrambi
combattenti contro i mori. Così come la stessa rievocazione della battaglia,
che nella sua forma arrivata fino a noi conserva lo schema (ah se lo capissero
i nostri registi improvvisati!) delle feste di “moros y cristianos” ancora
celebrate in tutti i luoghi della Spagna da cui furono scacciati i mori
all’epoca della riconquista, sicuramente deve al Serranton qualche suo
contributo. Si noti come è proprio dall’epoca del Serrandon che troviamo il
simulacro della Madonna a cavallo portato in processione ai Milici e per il
resto dell’anno conservato in un locale apposito nel convento di Santa Maria
degli angeli (altra coincidenza?).
La moglie al contempo, d’origine e indole
nobile, stringe invece legami di amicizia con le suore benedettine di san
Giovanni, monache di clausura, figlie delle famiglie più nobili e in vista di
Scicli, fra cui diverse di origine spagnola: qui si sente a casa e ad esse il
27 gennaio 1709 dona un completo di cortine di seta bianche e rosse per parare
a festa la chiesa di San Giovanni con la clausola, per la loro preziosità di
non cederle o prestarle ad altre chiese, nel cui caso le cortine sarebbero
passate al convento del Carmine!
La vita cerca di scorrere serena nonostante il
lutto: il 9 febbraio 1709 il sergente diventa armatore di una piccola barca (di
cui viene redatto un inventario minuzioso) nel porticciolo di Sampieri e che
affidata, ad un marinaio del luogo servirà a procurargli il pesce per la
famiglia.
Certo il povero Don Domenico non si riprese dal brutto colpo della sorte e, forse colpito dallo stesso male, è colto dalla morte il 17 agosto del 1710 e sepolto nella stessa fossa coi figli, ecco l'atto di morte:
Alli
dieci setti Agosto Mille Setticento e dieci 1710
Don
Domenico Seratòn Sergente maggiore del terzo della Città di Scicli, nato nella
città di Burgos nel regno di Castiglia, marito di Donna Tresa Quincosi, avendo
ricevuto li santi sacramenti rese l’anima a Dio, il di cui corpo fu sepolto
nella venerabile chiesa del Convento del Carmine, per me Arciprete Dottor Don Guglielmo
Virderi.
La data di morte, al 31 agosto
1708, anticipata rispetto a quanto avevamo supposto, spiega meglio i gesti di
devozione e carità fatti dai coniugi e in ciò si concorda con l’affermazione
che proprio dopo la morte dei figli i due coniugi furono ancora più prodighi in
generosità: di fatto, essendo morti i due eredi diretti, scelgono di fare loro
eredi i poveri! E questo è ancor più encomiabile. E illustra meglio il Serraton
dedito alla ricostruzione dell’eremo dei Milici e dell’orfanotrofio di
Valverde, come poi la meditata scelta della moglie di ritirarsi in convento:
lei era ancora giovane quando rimane vedova e secondo l’usanza del tempo
avrebbe dovuto risposarsi, eppure preferisce coltivare la memoria del marito e
dei figli nella preghiera e nel chiuso del chiuso del chiostro. Quale fede
amore più grande?
La povera moglie rimasta vedova e senza figli mette ordine alla sua
eredità (con atto del 20 aprile 1711) e intende ritirarsi nel Monastero di San
Giovanni a cui ha già fatto atto di donazione delle sue tele (e anche qui
l’indicazione di Uomo libero, sulla provenienza del Cristo di Burgos di San
Giovanni dalla famiglia Zerraton potrebbe essere azzeccata). Ma abbiamo visto
come alla fine sarà convinta a ritirarsi invece nel convento di Santa Maria
degli Angeli a continuare l’opera di beneficenza iniziata dal marito.
L’orfanotrofio diventerà con la sua dotazione monastero di clarisse, per dodici
suore povere, ricevendo nel 1713 dal Vescovo di Siracusa la clausura, e di cui l’ormai
Suor Maria Teresa sarà la prima priora fino alla sua morte.
Don Domenico e Donna Teresa Serraton: due
spagnoli che hanno speso la loro vita per Scicli. E forse sarebbe ora di
ricordarli con gratitudine. Una via intitolata in loro memoria sarebbe troppo?
Ignazio La China
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