Alluvioni e disboscamento, sconvolgimenti climatici … C’è di che parlare, anzi
se parla già molto. Forse troppo. E come al solito tanti parlano per tirare le
ragioni dalla propria parte. Io direi che anzitutto c’è di che pensare. Perché
molti riducono il tutto ad un problema “tecnico”: quasi fosse solo un problema
di migliore organizzazione, di protocolli di comportamento da definire. E con
buona pace di tutti – per me - non è nemmeno politico ( se non per qualche suo
aspetto). Prima ancora io direi che è un problema culturale e – per chi crede –
un problema teologico. Ma non in senso riduttivo (come una lettura
fondamentalista della Bibbia potrebbe indurre a credere) , falsamente apocalittico,
per cui la rovina del creato sarebbe l’indizio della prossima fine del mondo,
ma secondo una vera lettura del testo biblico in cui i dati dell’Apocalisse (ma
anche alcuni significativi testi paolini) riprendono le idee della Genesi e di
tutta la tradizione biblica. Tradizione che si potrebbe sintetizzare nella
seguente affermazione: pur avendo in sé anche una radice ontologica diversa,
l’uomo condivide il suo essere “animale” (nel senso etimologico di possessore
del “respiro della vita”) con tutte le altre creature, e per il suo essere
fatto di polvere del suolo condivide poi la stessa finitudine di tutta la
materia del creato. Per questo c’è una solidarietà tra l’uomo, gli animali
e il creato più stretta (e quindi più vincolante) di quanto si possa immaginare
a prima vista. Per questo un salmo può affermare “uomini e bestie tu salvi,
Signore”. Anzi il destino della salvezza per Paolo si estenderà a tutta la
creazione che per ora geme e soffre “le doglie del parto” finché “Dio sarà
tutto in ogni cosa del creato”. Il ruolo dell’uomo allora qui non è certo
quello di un dominio (che si è in pratica tradotto in sfruttamento irrazionale
del creato) ma di una salvaguardia “attiva” che conduce pian piano il creato
tutto verso la consapevolezza piena (la “noosfera” di Theilard De Chardin)
della sua finalità teo-logica. Perché il “paradiso” non sarà il luogo della
beatitudine solo delle anime (ahi! Dante, quanti danni hai fatto!): sarà la
“nuova creazione”, cioè l’universo interamente rinnovato e giunto alla pienezza
per cui era stato creato. Il racconto del primo capitolo della Genesi ci mostra
un principio che è anche la descrizione della meta finale. Ecco perché la
Bibbia ci parla non solo di immortalità dell’anima (ahi! Benedetta filosofia
greca infiltrata nella teologia, anche tu quanti danni hai fatto!) ma ci parla
di resurrezione dei corpi: il che già a dirsi è radicalmente diverso!
Confesso che il tema del creato
è, anche per un prete, un tema difficile da affrontare senza aver prima
superato tanti pregiudizi, primo fra tutti un “antropocentrismo” sbagliato che
ci fa sentire al centro del mondo e isolati dominatori dell’universo. Non è un
problema di ecologia o ambientalismo o animalismo, né si può risolvere il tutto
dell’unico destino dell’uomo e del creato facendolo discendere dalle scimmie.
E’ il problema di reimpostare un nuovo rapporto con tutta la creazione, a
partire dagli animali. La Bibbia testimonia episodi quale quello dell’asina di
Balaam capace di vedere l’angelo del Signore e di rimproverare il profeta che
invece non l’aveva visto (bellissima la meditazione di Paolo de Benedetti in
proposito). E gli animali a Ninive faranno anch’essi penitenza per la
predicazione di Giona. Ma anche la tradizione – e ci fermiamo a Scicli – ci
parla dei buoi che tiravano il carro col feretro di San Guglielmo che decidono
la chiesa dove deve essere seppellito, o dei buoi che a Jungi si inginocchiano
indicando il luogo dove era stata sepolta la pisside con il Santissimo
Sacramento rubata a Santa Maria La Nova. Per non parlare del Francesco che
predica agli uccelli e parla col lupo. E se non fossero solo fioretti?
E’ questa la domanda che mi sto
portando dentro in questi giorni: “e se la storia della mucca pazza ci dovesse
costringere non solo a cambiare abitudini alimentari ma il nostro stesso
rapporto con gli animali? E se il buco dell’ozono ci dovesse costringere non
solo a trovare fonti non inquinanti ma a ritornare a trovare nei cieli anche la
sede di Dio?”
Allora forse l’asino e il bue, la
stella e gli angeli del presepe quest’anno ci diranno qualcosa di più. E forse
diventeremo non soli più buoni.
Buon Natale.
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