Il tema può
sembrare a prima vista o banalmente scontato o sottilmente provocatorio.
Scontato, giacché per chi è cristiano è ovvio che
l’incarnazione del Verbo e la sua Nascita, così come tutta la sua storia di
salvezza culminata nella morte e risurrezione di Cristo, è l’evento da cui è
scaturita e può ancora scaturire una esperienza di pacificazione ai vari
livelli di relazione umana (con Dio, con gli altri uomini, con tutto il creato).
Provocatorio, perché – specie per chi non crede affatto o è
seguace di qualche altra religione – il nesso tra nascita di Gesù Cristo, e
quindi dell’affermarsi dell’esperienza cristiana, con la pace non sembra così
consequenziale. Anzi, addirittura proprio per stare in pace, specie nel
rapporto con altre istanze religiose, qualcuno ad esempio ha proposto di non
celebrare più il Natale o di non porre i segni della memoria natalizia di Gesù
nei luoghi pubblici. In questo senso sembrerebbe che proprio il Natale sia alla
base di litigi e contese. Ma è davvero così?
Per sgombrare il campo da ogni equivoco, chiariamo anzitutto
come la memoria del Natale, e quindi del suo rimando alla persona di Gesù di
Nazaret, solo da chi pensa in modo ignorantemente acritico e superficiale può
essere erroneamente intesa in modo offensivo nei riguardi delle altre due fedi
dichiaratamente monoteiste.
L’ebraismo ufficiale ed ortodosso ha da tempo superato e sue
preclusioni nei riguardi di Gesù, considerato oggi in tutta la sua ebraicità
come un grande ed illustre Rabbi, anzi, ci sono studi in cui è in piena
riconsiderazione e rivalutazione il suo rapporto con Dio e la sua
“messianicità”, seppur in senso lato: in questo senso certo non dispiace agli
ebrei la celebrazione di un loro fratello illustre.
Come pure è solo frutto di pregiudizio il fatto che si creda
che la realizzazione del presepe in classe o l’organizzazione di recite
scolastiche con la rievocazione della nascita di Gesù possa urtare od offendere
il credo o la sensibilità dei fedeli musulmani.
Al contrario
invece bisogna sottolineare cinque punti fondamentali per la fede islamica a
partire dai dati presenti nel Corano: Maria è considerata donna eletta da Dio
ed è onorata perché sempre vergine; Dio è lodato per la sua onnipotenza perché
ha fatto partorire una vergine senza intervento umano; Gesù, il figlio di
Maria, è dopo Maometto, il più grande profeta di tutti i tempi antichi; Maria e
Gesù ancora oggi sono molto venerati nel mondo islamico come figure di vera
obbedienza e sottomissione a Dio.
Nello stesso
Corano grande spazio è dato poi al racconto della nascita miracolosa di Gesù,
ispirata non ai vangeli canonici ma a quelli apocrifi, in particolare al
protovangelo di Giacomo. Il racconto del Natale di Gesù è descritto nella sura
19 detta “sura di Maria”, il cui nome deriva dal versetto 16 della stessa sura.
Maria è la donna
tramite la quale Allah ha voluto dare un segno particolare: “In verità o Maria
Allah ti ha prescelta; ti ha purificata e prescelta tra tutte le donne del
mondo” (III, 42) e il segno è stato Gesù suo figlio, nato per volontà
dell'Altissimo, divina creazione nella generazione umana: “...un segno per le
genti e una misericordia da parte Nostra” (XIX, 21). Tutta la vicenda di Maria
è dolcemente contraddistinta dall'abbandono ad Allah e da una purezza delle
intenzioni che ne fa una figura angelicata;
Maometto disse che Maria, insieme a Fâtima, Khadîja e Asiya (la sposa di
Faraone che salvò Mosè dal Nilo) è una delle signore del Paradiso.
La festa del Natale dunque non può essere portata a pretesto
per fomentare uno scontro tra le religioni.
Anzi, più che muro potrebbe diventare un ponte per gettare le
basi di una pacifica convivenza civile nel rispetto e nella collaborazione tra
credenti di fedi diverse.
Ma credo che, al di sopra di questo livello interreligioso,
ci sia un altro livello su cui riflettere sul senso della celebrazione del
Natale di Gesù oggi.
Proprio guardando all’evento stesso di cui si fa memoria a
Natale.
La fede cristiana afferma che Gesù è il Logos, il Verbo di
Dio, che si fa carne, che si fa uomo: pur nella difficoltà di dire in parole e
concetti umani il mistero indicibile dell’eterno, qui si vuole dire che il
Logos, o se si vuole la Ratio, la divina sapienza, con cui il mondo è stato
creato e ordinato e che continua a reggere e dare fondamento a tutta la
creazione, proprio questo Logos si è fatto carne ed è venuto come uomo ad
abitare in mezzo a noi, come ci ricorda il Prologo del vangelo di Giovanni.
Proprio questa affermazione è capace di riconciliare, e
quindi essere fonte di pace, diverse istanze che a prima vista a qualcuno
potrebbero sembrare inconciliabili.
Giacché è lo stesso Logos, la stessa Ratio presente nella
creazione e nell’incarnazione, non ci dovrebbero essere contraddizioni o lotte
tra ragione e fede cristiana, tra scienza e fede, tra natura e grazia.
Una falsa concezione di secolarizzazione e di laicità ha
creduto e crede che queste realtà siano invece irriducibili e irriconducibili
al dialogo l’una con l’altra, quando invece si dovrebbe riconoscere che c’è
ragionevolezza nella fede cristiana e che ci sono le ragioni della fede che la
stessa ragione non comprende, per dirla con Pascal.
Se la fede senza ragione diventa integralismo, la stessa
ragione se non è purificata dalla fede diventa pure integralismo intollerante.
Il rifiuto del Logos come cifra che misura l’esistenza non è forse
all’origine della follia drammatica dei nostri giorni: ricordiamo che proprio
“il sonno della ragione genera i mostri”.
Anche chi non crede può, dunque, unirsi ai cristiani in
questa celebrazione del Logos/Ragione che è e deve essere a fondamento della
vita umana privata e sociale. A tal fine Joseph Ratzinger, come teologo prima e
come papa Benedetto XVI dopo, si è battuto per un dialogo col mondo
contemporaneo, invocando il recupero del Logos a livello etico, politico e
religioso.
Non invitò forse Benedetto a Ratisbona l’Islam a farsi
purificare dalla Ragione contro ogni integralismo?
Non invitò forse Benedetto al Parlamento tedesco a ricondurre
la politica nel solco della Ragione che solo può fondare una moralità per il
bene comune?
La celebrazione del Logos incarnato allora davvero può essere
fonte di pace.
“Gloria a Dio nelle altezze dei cieli e pace in terra agli
uomini destinatari della buona volontà, della buona disposizione di Dio nei
loro confronti!”
Così cantarono gli angeli al campo dei pastori.
Questo è il senso dell’incarnazione del Logos: l’annuncio e
il dono della pace per tutti gli uomini senza distinzione alcuna, perché tutti
oggetto della benevolenza di Dio.
L’augurio è dunque che ogni celebrazione del Natale di Gesù
sia un passo verso la pace e la fraternità, la giustizia e l’uguaglianza di tutti
nel mondo intero.
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