Ho la grazia di occuparmi di dialogo interreligioso e quindi di vivere sulla frontiera dei rapporti fra le tre
confessioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islamismo. Dico grazia perché
in occasioni come queste ti accorgi come la possibilità di poter vivere un’esperienza
di fede forte, frutto di un’identità consapevole e vissuta coerentemente non
significa necessariamente l’arroccarsi in un integralismo fanatico, ma apre le
porte ad un confronto sereno e ad un dialogo costruttivo tra appartenenti a
fedi diverse, purché lo si voglia fare e soprattutto purché lo si faccia con
grande onestà intellettuale. Confesso, infatti, di
essere rimasto piacevolmente sorpreso e ammirato del coraggio che un musulmano,
il noto sociologo e giornalista arabo Magdi Fuad Allam, ha avuto non solo nel
deplorare ancora una volta l’islam della “guerra santa” e dei kamikaze
imbottiti di dinamite (lo ha fatto in un libro bellissimo: Lettera ad un kamikaze che consiglio a tutti di leggere) ma di
denunciare la deriva integralista che una parte dell’Islam sta vivendo. E l’integralismo,
lo ha ammesso senza mezzi termini, è frutto di una lettura letteralista e
fondamentalista del Corano. Una lettura che pretende cioè di derivare “sic et
simpliciter” dal testo coranico valori e norme di vita “sine glossa” cioè senza
nessun lavoro di interpretazione e di contestualizzazione. E tale lettura è
voluta strumentalmente da chi vuole manovrare le masse ignoranti (e volutamente
tenute nell’ignoranza) per tornaconti personali dove la volontà di Allah non
c’entra affatto. Continuando di questo passo ha affermato icasticamente Allam
l’islam sta procedendo verso il proprio suicidio, nonostante l’apparente marcia
trionfale odierna: l’islam o accetta di rinnovarsi tramite l’apertura alla
riflessione critica ed ermeneutica o non avrà futuro. Al di là delle sorti
dell’islam credo che questa puntualizzazione sia stimolante anche in ambito
cristiano. Fuad Allam dice che non si può leggere il Corano senza la chiave d’interpretazione
dello stesso che ne da Muhamad nei suoi Detti e raccolti da tutta la tradizione
e senza lo sforzo esegetico. Ugualmente penso che oggi anche in ambito
ecclesiale ci sia il pericolo di un approccio letteralista e fondamentalista
verso la Sacra Scrittura :
in singoli personaggi ecclesiali o in tanti gruppi o movimenti o associazioni è
in auge una lettura semplicista e acritica del vangelo da cui si sfocia o in un
soggettivismo alienante in cui il “secondo me” - che non tiene conto della
lettura “contestualizzata” da Esegesi e Tradizione ecclesiale - vanifica il dato oggettivo del testo in un
pensiero pio ma autogratificante tanto da non incidere per nulla nella storia
personale, oppure sfocia in una lettura integralista e materialista del testo
in cui il dato oggettivo è costretto in un “corto circuito” ermeneutico tale da
violentarne il senso con la pretesa di una sua attualizzazione senza nessuna
mediazione critica e quindi con un impatto astorico dirompente sulla realtà. E inoltre
in entrambi i casi il rischio di plagio non è solo un’ipotesi astratta ma
purtroppo reale ed attuale. La soluzione secondo l’Allam è il ritorno allo
studio, allo sforzo esegetico, ad un’esperienza di fede non romantica o
istintuale ma colta. E in questo sono più che d’accordo: lo si voglia o no Corano, Bibbia e Vangelo sono libri e come
tali devono essere letti, studiati,
interpretati e rettamente capiti. Non possediamo una rivelazione diretta da
Dio: e questa è una grazia perché ci libera da ogni tentazione di teocrazia,
non solo del Papa-re di Roma ma di tutti i piccoli papa-re che a volte si credono
alcuni vescovi e preti e leader carismatici di questo o quel gruppo. Lo si
voglia o no il cristianesimo non vuole ignoranti: è una “dotta ignoranza”
quella che viene richiesta, una fede cioè certamente umile e sincera – perché
non è riservato solo alla gente “colta”-, ma che sa che non può fare a meno
della ricerca appassionata, amorevole e faticosa, lo “studium” appunto, con cui
riuscire a cogliere la Parola nel cuore delle parole. Confesso che ho paura
dell’approccio immediato con cui clero e laici spesso si accostano alle pagine
evangeliche col risultato di formare alla fede personalità bigotte ma non
certamente mature e responsabili. Nonostante il pullulare nelle nostre
sacrestie di iniziative di incontri e di lectio
divina purtroppo bisogna riconoscere che siamo lontani da un approccio
serio con la Bibbia. Bisogna
tornare all’esegesi: il lavoro paziente e diuturno fatto nelle madrasse
coraniche, nelle yheshivà ebraiche e che abbiamo quasi dimenticato nelle nostre
parrocchie. La nascita di Gesù per i cristiani è la festa della Parola che si fa carne:
ma se non si riesce a decifrarla nella Scrittura come poi riuscire a leggerla
nei drammi dell’umanità e della storia?
CATHOLICA FORMA : Non basta dirsi cristiani. Il credere deve avere una forma. La forma cattolica è il modo in cui la sostanza della fede cristiana prende corpo nel cuore dei credenti. Questo spazio vuole essere un luogo per mostrare la bellezza della fede cattolica.
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