Qualcuno che mi ha detto: << belli i tuoi articoli e
belle le tue riflessioni critiche, ma tu non ti metti mai in discussione? E sei
sicuro che la tua Chiesa vada sempre difesa senza trovare in essa qualcosa che
non vada? >> Certo che mi metto in discussione – e chi mi conosce sa che
lo faccio più di quanto venga fuori dal mio atteggiamento sempre sicuro – e
certo che la mia appartenenza alla compagine ecclesiale non è sicuramente di
mera acquiescenza verso tutto e tutti – e anche qui chi mi conosce sa quale sia
la mia franchezza (pagata a caro prezzo) all’interno della realtà ecclesiale –
e se qualcuno è stato un lettore attento dei miei scritti sa pure che non sono
certamente scritti con distacco ma che qualunque cosa io pensi o dice è sempre
frutto di una reale e a volte sofferta compartecipazione al problema
affrontato. Comunque ringrazio chi mi ha fatto queste osservazioni perché mi da
modo di ritornare ai miei temi più cari, in cui la meditazione sulla realtà
circostante parte sempre dalla introspezione personale.
E permettetemi allora di
cominciare con una confessio laudis, per dirla con le parole di
Sant’Agostino. Una confessione cioè di lode e di ringraziamento per i miei 55
anni di vita cristiana che compio proprio oggi, 1° giugno, anniversario del mio
battesimo.
Chi sa di quante difficoltà sia
irto il cammino di un sacerdote sa come allora non è la voglia di trionfalismo
che ti spinge a segnare queste tappe e magari a fare festa con i tuoi amici e
la tua comunità ecclesiale. In queste occasioni mi sento un po’ come i
patriarchi di Israele che segnavano le grandi tappe del loro itinerario con
l’erezione di cippi a ricordare non solo il cammino ma anche come in questo
cammino avessero sempre sentito accanto la presenza di Dio che li accompagnava.
Una presenza che si sostanzia poi in eventi, circostanze, compagni di viaggio
in cui tu cogli il dispiegarsi amorevole di un amore grazioso che illumina la
tua strada e da senso pieno alla tua vita.
Per questo, ad ogni passo, chi
riconosce che la possibilità di averlo fatto non proviene dalle proprie forze,
non può che ringraziare. Non riconosce il povero curato di campagna di
Bernanos al termine del suo cammino che tutto è grazia?
Ecco allora oggi ancora il mio
grazie, ripetuto, anzitutto al Signore perché finora umanamente mi ritrovo a
chiedermi perché abbia scelto proprio me, con i miei limiti, e non altri a
servirlo nella sua Chiesa. Ma comprendo sempre di più che poi tutto sommato non
ha senso una domanda del genere quanto invece una risposta di fedeltà e di
obbedienza che io sono chiamato a dare. E poi il grazie per quanti mi sono
stati accanto in questo cammino, chi fin dall’inizio, chi aggiuntosi in questi
ultimi anni, i cui nomi sono scritti a lettere d’oro nel mio cuore. Sono gli
amici fraterni con cui condivido la compagnia della fede e lo sforzo quotidiano
dell’accettazione e del perdono. Sono i confratelli presbiteri con cui
condivido l’anelito del servizio sacerdotale. Sono in particolare tutti i
sacerdoti che ho incontrato nella mia vita, senza la cui testimonianza non
sarebbe né nata prima né maturata poi la mia vocazione. Sono tutti quelli che
il Signore ha affidato alle mie cure, prima come catechista e poi come
sacerdote e che hanno contribuito a dare forma alla mia identità presbiterale.
Sono le suore che pregano per me con affetto materno. Sono i fedeli della mia
parrocchia che mi sforzo di pascere come il buon Pastore.
Ma c’è un grazie peculiare che
voglio dire anche a quelli, preti e laici, che in questi anni mi sono stati
contrari. A volte certo per i miei peccati, e di questo domando perdono e Dio e
a loro, ma a volte in modo gratuito e viscerale, spesso con un odio che non
sono riuscito a spiegarmi fino ad oggi. Non giudico nessuno e rimetto nelle
mani di Dio il giudizio su ognuno: so come poi nella vita il peso dell’umano,
la corsa al potere, la paura dell’antagonista, l’invidia e la gelosia hanno il
loro peso; so come spesso i risentimenti per desideri insoddisfatti facciano il
loro gioco, e non mi scandalizzo. Ho cercato di fare il prete e il parroco
nella consapevolezza che a volte si deve avere davanti a Dio il coraggio di
fare anche delle scelte impopolari e controcorrente e che a volte pur volendolo
non si possono accontentare tutti, anzi mi sono accorto che in fondo qualsiasi
scelta si faccia sempre c’è qualcuno che ti rimprovera di aver sbagliato! Ma
non mi tiro indietro, anzi la sofferenza che spesso contrasti gratuiti e
critiche ingiustificate (per non parlare delle calunnie vere e proprie che il
venticello della maldicenza porta sempre in giro) mi conferma nella convinzione
che non c’è altra strada per un cristiano che quella della croce, d’altronde
non è questa la via del Maestro?
Per le esperienze personali fatte
e il mio cammino spirituale poi mi accorgo sempre di più che il cammino
ecclesiale e quindi anche quello di un prete deve essere non nella forza ma
nella debolezza, nella debolezza di un Dio che annichila se stesso sulla croce.
Per questo non mi piacciono tutti quegli
escamotage che mirano a proporre ancora un regime di cristianità imperante in
cui il prete è ancora una forza non solo ecclesiale ma anche sociale e
politica. No. Io mi riconosco più in un don Milani o un don Mazzolari che
rifuggivano proprio da questo. Perciò non voglio che la gente più che
attaccarsi a Cristo si attacchi al prete perché è un bravo organizzatore di
feste e gite e tornei di calcio, perché ha messo i bigliardini in parrocchia. Oggi
più che mai credo che il prete si debba spendere nell’annuncio della Parola e
nell’accompagnamento col dialogo personale dei fedeli, oltreché certo la
preghiera e i sacramenti. Il resto, ed è tutto lo spazio mondano, spetta ai
laici, altrimenti avremmo ancora una volta una forma di clericalismo invadente
che promuove i laici facendone dei sacristi!
Perciò chi mi vuole bene e mi
vuole augurare un felice ministero mi auguri proprio questo: di vivere in
cammino come Abramo e nella kenosi di Cristo verso i peccatori.
Non mi auguri altro e, se
credente, per questo e non per altro, preghi.
E nessuno idealizzi me o gli
altri preti (e nemmeno vescovi e papi): ricordiamo Agostino che dice “Per voi
sono vescovo ma con voi sono un cristiano in cammino”.
Perché prima di ogni altra cosa è
il cammino di discepolato che conta: in questo siamo tutti uguali, perciò
anzitutto, come ricordava il Cardinale Pellegrino ai suoi, il primo dovere è
camminare insieme.
A chi pensa di poterlo fare,
perciò io rivolgo un invito: camminiamo insieme!
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