Mentre assistiamo agli eventi
terribili della guerra in Siria e sentiamo nostra tutta la preoccupazione del
Papa a che non venga strumentalizzato il nome di Dio per evitare la scusa di
presentare questa guerra come uno scontro fra Islam e Cristianesimo, come
omaggio alla chiesa copta, chiesa martire e coraggiosa ancora ai nostri giorni,
come omaggio alla sua fedeltà al Vangelo, pubblico il resoconto di un
pellegrinaggio compiuto nel 2002 in Egitto.
SULLE ORME DELLA SACRA FAMIGLIA
NELLA FUGA IN EGITTO
Dopo aver visitato negli anni
passati i luoghi della nascita di Gesù a Betlemme (chiesa della natività e il
campo dei pastori) e la famosa grotta del latte, prima tappa della fuga verso
l’Egitto, dove appunto la Madonna si fermò per allattare il bambino, il
villaggio cristiano-palestinese di Gifna dove la famiglia si fermò a riposare
all’ombra di un fico, e la città di Ramallah dove Maria si accorse di aver
smarrito Gesù, con una delegazione della parrocchia di San Giuseppe ci siamo
recati in pellegrinaggio in Egitto per ripercorrere le tappe toccate dalla Sacra
Famiglia nella sua fuga, fino a raggiungere partendo dal delta del Nilo,
attraverso un percorso nell’Egitto classico e copto, il luogo in cui vissero in
esilio per tre anni e mezzo sulla strada per la tebaide e Luxor. E’ stata
l’occasione non solo di conoscere l’arte e la cultura egiziane ma anche la fede
e la vita delle comunità cristiane che
conservano la memoria della vitalità dei primi secoli del cristianesimo e dove
rimangono ancora oggi le chiese e gli altari più antichi di tutta la
cristianità. In tutte le chiese visitate la delegazione parrocchiale ha
lasciato una documentazione circa la festa di San Giuseppe e della rievocazione
della fuga in Egitto con la Cavalcata e ha chiesto di rimanere in contatto per
una qualche forma di collaborazione e di scambio. Come sempre ci è piaciuto
visitare non solo i monumenti e le pietre ma anche incontrare le persone che
abitano i luoghi da noi visitati nel
rispetto delle loro tradizioni e del loro stile di vita. Se non è stato
possibile farlo per tutti i posti, abbiamo cercato di inserire piccoli
“segnali” che a differenza degli itinerari turistici standard ci consentono di
avere uno spaccato di un mondo dove la diversità culturale e religiosa è sotto
gli occhi di tutti. Oggi si parla tanto di globalizzazione: se questo significa
incontrarsi tra culture diverse per un dialogo e una convivenza pacifica allora
che ben venga! E tutto nasce dalla conoscenza: per questo noi mentre con i
ricordi della scuola si vagava per l’Egitto dei Faraoni non ci siamo dimenticati
di dare uno sguardo attento e curioso (ma insieme discreto) all’Egitto attuale,
alla sua situazione sociale, politica, economica e religiosa. Avremmo voluto
avere un incontro anche con una realtà islamica ma nelle circostanze attuali
non è stato possibile. In particolare abbiamo avuto modo di incontrare la
minoranza cristiana copta e – minoranza nella minoranza – la cristiano
cattolica. I copti si vantano di custodire ininterrotta la fede sin dai
primordi del cristianesimo, nonostante la conquista islamica, e il piccolo
gruppo dei cattolici è testimone di un ecumenismo di fatto che va al di là
delle dichiarazioni teologiche ufficiali: è difatti il dialogo della carità
portato avanti con i copti e insieme a loro con i musulmani, pur in condizioni
di estrema povertà, diffidenza e a volte di aperta ostilità che negli ultimi
decenni ha visto decine di cristiani subire il martirio da parte di gruppi
islamici integralisti. Ma dall’Egitto non può scomparire la traccia del Dio di
Israele e di Mosè e del Dio di Gesù Cristo: è Terra santa al pari di tutte le
altre che sono stati luoghi della rivelazione del Dio che riscatta i poveri e
gli oppressi e di schiere di santi monaci e martiri che con la loro fuga dalle
ricchezze e dalle vanità del mondo hanno testimoniato la verità di valori
eterni e immutabili. Ripercorreremo con voi le tappe della fuga in Egitto della
sacra Famiglia e così idealmente ripercorreremo non solo la storia di una delle
più grandi civiltà mai esistite, ma quindi anche i luoghi legati alla storia
della salvezza.
Arrivare sul Cairo di notte
sorvolando il Nilo e le piramidi è stata la prima di una serie lunga di
emozioni che il nostro viaggio ci ha procurato. Insieme a tanta stanchezza
accumulata nei lunghi trasferimenti da un posto all’altro, ripagata solo dal
sapere di stare facendo un’esperienza sui generis, alla scoperta di un Egitto
sconosciuto ai canali normali del turismo di massa. Perché l’Egitto non è solo
quello dei faraoni, è anche quello dei romani, dell’ellenismo diffuso da quel
grandissimo centro culturale che fu Alessandria, è l’Egitto culla del
cristianesimo che qui ha operato una mirabile forma di inculturazione dando
origine alla Chiesa Copta, che può vantare un legame continuo e ininterrotto
con l’esperienza apostolica delle origini e che divenne poi il luogo di nascita
di quella particolare forma di vita cristiana che fu il monachesimo sia
eremitico sia cenobitico, da Sant’Antonio Abate ai nostri giorni in una rete
fitta di monasteri – vere oasi naturali e spirituali nel deserto – che a costo
di sacrifici eroici e a prezzo del sangue di innumerevoli martiri offre ancora
oggi l’opportunità di un’intensa esperienza ascetica a quanti lo desiderano. Un
Egitto diverso dunque dai soliti cartelli pubblicitari e che non mancherà di
stupirci giorno dopo giorno.
E già l’inizio è più che promettente: avere la possibilità
di avere l’albergo a Giza e quindi di poter contemplare al di là della strada
la stupenda triade delle piramidi più famose, ora baciate dal sole ora
illuminate dalla luna, non è certo cosa di tutti i giorni! Meno bello è stato
sapere che la partenza (arrivati alle due di notte) era prevista per le quattro
e mezzo! È stato quasi un rivivere proprio l’inizio notturno della fuga in
Egitto sulle cui orme noi volevamo andare! E non volevamo perderne neanche una:
dopo un lungo tragitto per il deserto, attraversato il canale di Suez, quasi
sulle sponde del Mediterraneo, arriviamo ai pochi ruderi rimasti di Zaranik
(l’antica Flosiat) ed El Farma (l’antica Pelosium). E’ qui che arriva,
provenendo da Betlem, la Sacra Famiglia, attraverso la via maris e
passando dalla “striscia di Gaza purtroppo oggi così tristemente famosa. Non
c’è ormai più quasi niente da vedere però per noi è importante lo stesso per
avere un’idea della strada percorsa e della difficoltà del cammino. A Zaranik
avviene il nostro primo incontro con una parrocchia copta. L’Abuna (il “padre
nostro”, come viene chiamato qui il sacerdote) ci accoglie gentilmente (e sarà
questa una caratteristica costante dei nostri incontri) e ci spiega come i
cristiani di quel posto sono orgogliosi di vivere in un luogo che non solo
ricorda il passaggio della Sacra Famiglia ma dove si fa memoria della dimora di
Giacobbe quando scese in Egitto richiamato dal figlio Giuseppe insieme a tutti
i suoi figli. Quel luogo - ci dice - è
stato da sempre una colonia ebraica e non fa impressione che proprio qui si
diresse anzitutto Giuseppe scappando da Betlem per portare in salvo Maria e il
Bambino. Attraverso poi i mille canali del delta del Nilo ci portiamo a
Bubastis (attuale Tell Basta), qui – secondo la tradizione - all’arrivo di Gesù
crollarono tutti gli idoli dei templi e gli abitanti impauriti scacciarono la
Famiglia. Qui il Bambino prese le lacrime dal volto rattristato di Maria e fece
scaturire un pozzo. Il pozzo (conservato fra le rovine dell’antica città ora
all’interno di un presidio militare) e la chiesa dedicata a Maria esistono
ancora. Ma qui la famiglia non si sente al sicuro e si sposta ancora e arriva
ad un luogo che poi si chiamò El Maganna (luogo del bagno), perché la
Vergine fece il bagno al Bambino Gesù. Qui la commozione è tanta nel
vedere uno sparuto numero di famiglie copte con le case quasi diroccate
costruite con l’entrata verso il sagrato della chiesa e “accerchiate” da
moschee e sue pertinenze (ma anche questa sarà una costante di tutte le chiese
copte visitate) fare la guardia per custodire una memoria così importante per
la loro storia e la loro fede. E poi per me parroco è particolarmente toccante
vedere la scena di un gruppettino di bambini che con un catechista diciottenne
fanno la loro lezione di catechismo sui gradini della chiesa, unica loro aula
catechistica!!! E che pure fanno a gara a farmi vedere come recitano le preghiere
a memoria e tutti sanno fare il segno di croce: e penso ai nostri bambini del
catechismo, serviti con le migliori strumentazioni audiovisive e messi nelle
migliori condizioni e che pure non riusciamo a smuovere dal loro disinteresse e
dalla loro apatia!!! E le famiglie cristiane qui incontrate: povertà
grandissima, quasi alla soglia della miseria, ma quanto orgoglio in queste
persone, quanta gioia nel portare il nome cristiano, al punto di farsi tatuare
una croce blu sul polso, sapendo che però questo non solo può costargli la
vita, ma che spesso questo significa la perdita del lavoro o la preclusione di
una carriera scolastica o militare o l’impossibilità di migliorare la propria
condizione socio-economica e penso alle nostre famiglie “cristiane” spesso solo
di nome ma rose dal di dentro dal perbenismo borghese e dalla perdita di
orgoglio, identità, ideali e valori! Quanta differenza!
Andando a sud la famiglia si
rifugiò a Bilbais qui un albero si piegò per fare loro ombra. Qui nella chiesa della Vergine si venera l’albero di
Maria o meglio, quanto ne resta: si racconta infatti che quando qui arrivò
Napoleone con i suoi soldati, spinto da odio anticlericale, avesse ordinato di
sradicare quest’albero per eliminare “l’insana devozione cristiana” dal cuore
della gente. Ma quando i soldati lo colpirono con la scure dalle ferite
dell’albero cominciò ad uscire del sangue. I soldati francesi allora lo presero
a cannonate e lo sradicarono del tutto. La gente per devozione quando i
francesi se ne andarono piantò quello attuale. Siamo nel delta del Nilo e il
viaggio procede lento e a fatica fra i mille canali e i ponticelli di
collegamento. Le scene sembrano fissare nel tempo uno stile di vita che si
ripete sempre uguale nei secoli: i contadini nei campi, le capanne di fango e
paglia, le donne che lavano le stoviglie o i panni lungo i canali, i bambini
che tra un lavoro e l’altro si ritagliano spazi per il gioco. E gli immancabili
asinelli tuttofare che trottano aitanti ora sommersi dal loro carico ora
leggeri e spensierati. La Famiglia
seguitò verso Samanud e noi la seguiamo, orami al tramonto nel luogo della sua
sosta dove si conserva un antico recipiente di pietra considerato come
l’utensile dove Maria impastava il suo pane: è l’attuale chiesa del martirio
dove si conservano i resti di un santo martire sotto la persecuzione di
Diocleziano. Un adolescente che per non rinnegare la fede morì sottoposto a
terribili sevizie e il cui culto e la fama miracolosa continua tutt’oggi. Ci
arriviamo addentrandoci tra un corridoio del mercato cittadino tra una ressa di
venditori che si apre e ci fa spazio tra il divertito e il curioso nel vedere
un gruppo di occidentali arrivare in quel villaggio lontano. L’abuna, il
parroco, è così onorato della visita da aprire il reliquiario e permetterci di
baciare le reliquie del martire avvolte in stoffe di porpora e oro e che
profumano di incenso. Ci vorrebbe intrattenere più a lungo ma la fretta ci
spinge a ripartire per arrivare in serata a Sakha (nome copto di Gesù) nella
chiesa della Vergine: qui si conserva l’impronta del piede di Gesù Bambino
sulla roccia. Pur essendo arrivati in ritardo scopriamo che tutto il villaggio
ci ha pazientemente atteso e la facciata della chiesa è illuminata a festa. Pur
nella visibile povertà siamo accolti nientemeno che con una coccola a testa! E
si ripete la scena del parroco che apre il prezioso reliquiario per farci
toccare con mano la preziosa reliquia. Il nostro arrivo è diventato una festa
per tutta la comunità: tutti fanno a gara a mostrarci qualcosa, non riusciamo a
capire tutto – sono pochi quelli che parlano inglese – ma c’è una lingua che ci
accomuna: il sentire di essere tutti fratelli nella fede. Mastorod, invece fu
una tappa nel viaggio di ritorno della Famiglia: qui ancora oggi una chiesa
della Vergine conserva un pozzo dedicato alla “signora Maria” (come qui
cristiani e musulmani chiamano la Madonnna) che possiede proprietà curative:
portiamo via l’acqua in bottigliette di plastica, se non proprio per le virtù
curative, certo per accettare l’omaggio di una parrocchia tra le più povere che
abbiamo incontrato . Il giorno dopo è la volta della visita ai monasteri di
Wadi el Natrun,, l’antica valle dove si estraeva il sale per l’imbalsamazione.
Qui l’esperienza cenobitica non è mai stata interrotta a partire dal quarto
secolo dell’era cristiana. Nei tre monasteri visitati siamo accolti con
gentilezza da monaci colti ma dallo sguardo in cui l’umiltà dell’ascesi
lasciava intravedere la lunga frequentazione della Parola e della Divina
Liturgia. La vita che qui si svolge è un tentativo di vivere fino in fondo
l’esperienza comunionale della chiesa primitiva degli atti degli apostoli: come
poi sarà per l’occidente il tentativo benedettino dell’ora et labora. E il
numero dei pellegrini e la vitalità delle attività rivela questi monasteri come
i centri propulsori ancora oggi della spiritualità copta. Per non parlare del
folto numero di monaci giovani, segno che l’esperienza monastica continua
ancora ad esercitare la sua attrattiva. Dai libri di storia ricordiamo la
teoria della fuga mundi, spesso da noi interpretata come rinuncia solamente ad
un confronto con la storia: ma il monaco che ci accoglie ce ne da un’altra
versione. Tanti monaci scappavano è vero dalla città e dalle invasioni e dalle
persecuzioni. Ma non per paura ma per amore. Avevano capito che una loro
resistenza poteva portare l’altro ad ucciderli: indirettamente però sarebbero stati
loro la causa del loro peccato per la trasgressione del comandamento di non
uccidere. Chi ama veramente non mette mai il fratello nella condizione di
peccare! Si racconta di un solo monaco che non fuggì e fu ucciso a colpi di
spada: ma lui stesso prima di morire disse che l’aveva fatto per espiare le
colpe della sua gioventù prima della conversione. Era stato un assassino e
quindi è giusto che chi aveva colpito di spada morisse di spada! Adesso la
tomba di questa monaco martire è meta di pellegrinaggi e anche qui le reliquie
ci sono mostrate con grande orgoglio. Ma la cosa che personalmente mi fa più
pensare non sono tanto i tesori di arte (tantissimi) e di storia, ma una prassi
bellissima tuttora in uso tra i monaci: all’ingresso di ogni chiesa c’è un
catino con l’acqua dove la domenica
l’abate lava i piedi a tutti i monaci del monastero. Nel refettorio sarà
poi lui stesso a leggere la regola e i passi scritturistici durante il pranzo.
Un bel modo per ricordare che l’autorità nella chiesa è evangelicamente
servizio!
Navigando da Garanous, Gesù Maria e Giuseppe giunsero a Banhassa,
attraversando il fiume approdarono a Gebel el Tair qui in una chiesa si
conserva l’impronta della mano di Gesù Bambino. Continuando in barca la
Famiglia arrivò a El ashmunim e poi a Dayrout, fino a El Muharraq qui nel monastero si conserva
l’altare in pietra più antico del mondo. Qui rimasero per tutta la loro
permanenza in Egitto ricordata nei monasteri di Meir Dranka, Aba bane, Deir
Abullu. Al momento di ripartire la Famiglia passa da Assyut e poi percorre a
ritroso lo stesso itinerario dell’andata.
In Egitto registriamo una notizia
in controtendenza che però ci fa ben sperare: il governo egiziano ha stabilito
che la festa del Natale (nella data in cui la chiesa copta lo festeggia, cioè
il 7 gennaio) diventi una ricorrenza civile festiva di tutto lo stato. E’
l’unica festa cristiana che viene riconosciuta (nemmeno la domenica che è
tollerata di fatto) e la prima istituita ufficialmente come vacanza da uno
stato islamico la cui popolazione è però per un quarto cristiana. Salutiamo con
piacere questo passo in avanti quasi a riprova che dove lo si voglia la
possibilità di vivere un islamismo non integralista e fondamentalista viene
data. Ed è pure la riprova che alla fine la via cristiana della testimonianza
(martirio) silenziosa e del dialogo ad oltranza prima o poi da i suoi frutti.
D’altronde proprio in ciò il governo egiziano sta dando prova di lungimiranza e
di sano realismo: perché alla gente del popolo sono estranee tutte le
elucubrazioni ideologiche, fossero pure teologiche, mentre vive – qualora non
sia strumentalizzata da subdoli politicanti per altri fini – un ecumenismo e un
dialogo interreligioso di fatto. Ce ne siamo accorti nei nostri pellegrinaggi
in Terrasanta, lo abbiamo visto anche in Egitto. La devozione alla Madonna ad
esempio è un tratto che accomuna cristiani e musulmani: in tutti i santuari
visitati, specie nel santuario della Cairo vecchia dove in questo secolo è
apparsa più volte la “Signora Maria” – come anche il Corano appella la Vergine
–. In questo santuario moderno, sorto nei pressi di Matariah dove - provenendo
da Wadi el Natrum la Famiglia e diretta ad Heliopolis - un sicomoro si piegò a
fare ombra ai tre fuggitivi dopo che il bambino con il bastone di S.Giuseppe
aveva fatto sgorgare una sorgente di acqua (un sicomoro ormai secco eppur
imponente è tuttora visibile accanto al pozzo che oggi si chiama “sorgente del
sole”nel “giardino del balsamo”) era impossibile distinguere i fedeli delle due religioni fra quelli che
invocavano l’intercessione della Madonna pregando e accendendo candeline
davanti alla sua immagine. Lo stesso in un antico monastero nel quartiere copto
del Cairo dove famiglie intere si recavano a chiedere l’intercessione di un
santo monaco eremita lì vissuto nel medioevo e famoso per le guarigioni dalle
malattie mentali: cristiani e musulmani in egual maniera si sottoponevano fra
le lacrime al rito di esorcismo compiuto con l’imposizione al collo della
catena che il santo usava per legare gli ossessi. E sono queste le esperienze
che ti fanno riflettere sul senso religioso innato in ogni uomo e del bisogno
di esprimersi in una devozione naturale e popolare, al di là delle forme
storico-culturali in cui poi le religioni si manifestano. E lo stesso fenomeno
è avvenuto in tutti i santuari dove si veneravano reliquie di martiri o in
tutti i posti dove il passaggio della Santa Famiglia ha lasciato quasi una scia
di sorgenti e di luoghi taumaturgici: è come se in modo quasi naturale l’uomo
avvertisse in sé il bisogno della salvezza. E questo è un sentimento comune a
tutti: chi lo ha detto allora che la religione deve per forza dividere? Una
esperienza religiosa vissuta in modo equilibrato e che non diventi alibi invece
per la creazione di strutture di potere può essere un mezzo di pace e di
riconciliazione. Proprio queste cose meditavo la domenica mattina passeggiando
per la Cairo vecchia dove in un unico quartiere troviamo le moschee più
antiche, ma anche le chiese delle diverse denominazioni cristiane e finanche la
più vecchia sinagoga d’Egitto, sulle rive del Nilo, dove secondo la tradizione
approdò cullato dalle acque il canestro con il piccolo Mosè. Ci troviamo nei
pressi di Maadi: qui in una grotta si rifugiarono la S. Famiglia sia all’andata
che al ritorno della fuga. Sopra i copti vi costruirono poi la chiesa di San
Sergio dove si conserva l’altare in legno più vecchio del mondo: una meraviglia
sia per la storia dell’arte che per la storia della liturgia. Accanto c’è la
Chiesa della Vergine Maria con una scalinata che scende verso il Nilo: qui
secondo la tradizione Mosè fu salvato dalle acque e da qui la Famiglia si
imbarcò per risalire il Nilo. L’esperienza intensa vissuta in queste viuzze del
quartiere copto tra i suoni dei sonagli dei turiboli fumiganti di incenso della
divina liturgia che in tutte le chiese quasi simultaneamente si sta celebrando
in cui l’arabo si mescola al greco e al copto in una melodia che a volte si fa
quasi struggente ci riporta ai primordi dell’esperienza cristiana. E ci sembra
quasi di vivere le pagine dei padri e di Tertulliano, Origene, Ippolito nella
descrizione della liturgia quando al termine della Messa ci viene offerto il
tipico pane arabo con panna/ricotta con miele di datteri: gli apologisti
raccontano che nell’eucaristia oltre al pane e al vino veniva offerto pure
latte e miele per indicare che si stava mangiando il pane celeste, il pane
della terra promessa! E ancora una volta per me prete viene spontaneo il
paragone con le nostre liturgie cristiane fredde, monotone, formali, cui si
partecipa per senso del dovere – se non per altro – ma che non diventano quasi
mai esperienza gioiosa della salvezza, evento di fede. E mi chiedo se la crisi religiosa
che sta vivendo l’occidente, la crisi dell’identità cristiana di cui stiamo
soffrendo anche in Italia (e di cui, al di la dei discorsi ufficiali, non
sembrano rendersi conto neanche le alte gerarchie ecclesiastiche, ancora illuse
dalle chiese piene nelle occasioni di circostanza) non sia un modo per
riportarci ad una autenticità che non un regime maggioritario di cristianità ma
solo una esperienza minoritaria ma libera dal peso di sentirci quasi una
“chiesa di stato” o “chiesa civile” (buona cioè solo come agenzia di
solidarietà e solo per questo tollerata) ci può dare veramente. Ma forse questi
sono solo sogni di un prete ad occhi aperti.
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