Confesso
che è da un po’ di tempo che mi porto dentro la riflessione di questo mese e
che poi ho sempre rimandato a pubblicarla nella speranza di poter trovare una
espressione più soft rispetto a
quella che tra poco leggerete: il fatto è che gira e rigira non me ne sono
venute altre in aiuto per significare un tipico atteggiamento purtroppo diffuso
in tanti che pretenderebbero di fare i furbi ai danni di poveri malcapitati e
che, sinceramente mi ha fatto e continua a farmi soffrire non poco sia in
episodi in cui sono stato coinvolto in prima persona, sia in altri a cui mi
sono trovato ad assistere. Faccio affidamento allora sull’intelligenza dei
lettori che spero non si fermeranno al commento stupido e superficiale di come
un prete possa usare una battuta grossolana e che mi auguro invece mi
seguiranno nel deplorare la volgarità e l’ottusità di chi pensa che il mondo
sia fatto solo per chi si crede spocchioso. Ma forse avevano ragione già i
greci a proposito di commedia e tragedia quando dicevano che se il linguaggio
deve rispecchiare gli stili di vita
allora un comportamento volgare non può che essere espresso in una espressione a
prima vista volgare ma, diciamolo francamente, in realtà spesso volgare non è
il linguaggio ma il comportamento stesso che si trova a descrivere.
Ebbene,
col crescere vedo sempre di più la ricchezza dei consigli e delle riflessioni
su come va il mondo ereditata da mio padre e finisco sempre più col dargli
ragione nel suo guardare la vita e i rapporti sociali con occhi disincantati. E
se c’è una constatazione su cui sono sempre più d’accordo con lui è nel
riconoscere che molte persone veramente credono che “a minchia ‘nculu r’autru
para filu ri ina”. Il detto se volete è un po’ crudo e si riferisce ad un atto
di sodomia a cui chi si crede furbo vorrebbe sottoporre il “paziente” di turno,
nella pretesa che tale operazione sarà indolore (la “ina” è quell’erba che ha
uno stelo lunghissimo e sottilissimo: ergo…). La parabola è presto svelata,
perché chiaramente si adombra il comportamento di chi si crede libero di poter
usare e abusare degli altri a proprio piacimento, magari sorprendendosi se
l’altro ha una qualche reazione, come se fosse quasi un suo diritto abusare
dell’ altro e questi avesse solo il dovere di farsi abusare…salvo poi reagire
in modo indignato quando il trattamento che il furbo vorrebbe riservare agli
altri qualcuno vorrebbe riservarlo proprio a lui!!! Allora verrebbe da chiedere al furbo: ma se tu ti lamenti per il
supposto male che ti viene fatto, non ti è mai venuto in mente che tu hai
potuto fare male all’altro? Ecco il nocciolo della questione: confesso di
essere stanco e nauseato di vedere gente che si crede “sperta” e che in nome di
un preteso diritto fondato solo sulla propria “spirtizza” pretende che tutti
gli altri siano solo persone da prendere in giro! Non c’è rispetto che tenga,
non c’è sincerità alcuna, non c’è valore o ideale capace di arginare questo
comportamento. Gli altri sono solo oggetti che io posso usare a mio piacimento!
E non hanno neanche il diritto di ribellarsi! Specie se poi è un credente, un
cristiano che crede in quello che professa, a maggior ragione poi se è un
ecclesiastico o un prete: allora non ci sono dubbi che tengano. Io come prete
dunque ho solo il dovere di essere buono, dove “buono” a detta di questi
signori significa solo il dovere di farmi prendere in giro, di farmi sfruttare,
di subire i ricatti più o meno celati da
lusinghe di chi pensa solo al proprio interesse e tornaconto. Perché se reagisco
contro l’evidente ingiustizia e l’offesa della mia dignità che cristiano, che
prete sono? E mi si mette davanti magari il
vangelo del “porgi l’altra guancia” e l’esempio di Cristo che tutti ha
perdonato. Ma si dimentica che Cristo al soldato che l’aveva schiaffeggiato in
modo ingiusto chiese conto di quel suo schiaffo: “se ho parlato male,
dimostrami dov’è il male, ma se ho parlato bene perché mi hai schiaffeggiato?” Perché
essere buoni è un conto, essere “babbi”è un altro conto e Cristo ci ha voluti
“semplici come le colombe ma astuti come i serpenti” cioè buoni ma non fessi! E
un conto è la mia scelta personale e sofferta di perdonare chi mi ha fatto del
male, un conto è che l’altro deliberatamente mi faccia del male e pretenda pure
che io non solo non mi ribelli ma che pure lo perdoni! Nel vangelo secondo
Giovanni la masnada di gentaglia guidata da Giuda venuta per arrestare Gesù le
prime due volte fallisce nel suo tentativo e può mettere le mani su di lui solo
dopo che Cristo ha ribadito chiaro e tondo, come farà poi davanti a Pilato, che
non sono loro che lo prendono, ma è lui che si lascia arrestare: episodio da
sempre letto nella tradizione come un modo per dire che il cristiano il
“martirio” non lo subisce ma lo sceglie. Allora sia chiaro che sono io che
scelgo sempre se essere buono o no, se reagire al male o no, se perdonare o no:
e se a volte, come dice il vangelo, non oppongo resistenza al male lo faccio
non perché sedotto dal fascino del furbo ma solo perché so che il mio
Vendicatore è Dio e lui prima o poi farà giustizia. Perciò oggi più che mai, in
un tempo in cui si crede che il successo spetta a chi si impone di più con la
forza, con le grida, con le minacce e tutti i soprusi di ogni genere, mi
sentirei di ricordare a tutti quelli che si sentono “sperti” altri due detti
popolari: ricordate cari amici che “ sa chi nun piacia a tia a l’avitri nun
fari” perché “chiddu ca facimu avimu fattu”, perciò attenti cari amici che
andate in giro vantandovi di essere capaci di prendere gli altri per i fondelli,
non vorrei che alla fine la vera, grande solenne presa per il … alla fine della
vita non la prendiate proprio voi!
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