C’è un ciclico ritornare di alcune idee, nell’orizzonte del
dibattito culturale. Questo non fa meraviglia. Quello che fa meraviglia, invece,
è la virulenza con cui ne è ritornata in auge una in particolare, dietro il
tentativo di spiegare la matrice religiosa di un certo terrorismo islamico: è
la tesi per cui la radice della violenza religiosa si annida nel monoteismo. E
in particolare in quello cristiano e islamico. E’ l’idea, tanto per fare
qualche esempio, di Umberto Eco, volgarizzata qualche anno fa in diverse sue
pubblicazioni, ma è soprattutto il forte convincimento di Jan Assman, illustre
egittologo, che ha lanciato con forza, inoltre, l’idea, ripresa a tamburo battente dai media
di tutto il mondo e fatta oggetto di accesi dibattiti, che per sconfiggere la
violenza terroristica bisogna superare il monoteismo che la genera, per
ritornare al politeismo tollerante, multiculturale e multireligioso, del
passato. Ma è davvero così?
Prendendo sul serio la provocazione, la Commissione
Teologica Internazionale[1] ha
pubblicato nel 2014 un documento dal titolo Dio
Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza.
E’ un peccato che tale pubblicazione sia quasi passata sotto
silenzio, e la sua conoscenza sia rimasta nell’ambito degli addetti ai lavori,
quando avrebbe merito una più ampia diffusione, perché entra in questo
dibattito quanto mai urgente ed attuale. Da qui la necessità di riparlarne.
Vediamo dunque cosa dice la Commissione Teologica
Internazionale.
Il Documento vuole rispondere dunque all’accusa, sempre più
frequente e ripresa a più livelli, per cui è proprio il monoteismo, a generare
la violenza religiosa e l’intolleranza tra gruppi religiosi. La riflessione della
Commissione si propone perciò di offrire una chiarificazione circa << una teoria diversamente argomentata, secondo
la quale esiste un rapporto necessario fra il monoteismo e le guerre di
religione>>[2],
chiarificazione offerta come proposta di dialogo e perciò elaborata e presentata <<in chiave di argomentata testimonianza, non
di contrapposizione apologetica>>[3].
Si inizia, allora, dalla costatazione che, con un certo
corto circuito logico, da tante parti si affermi come, dato che ogni religione
monoteista presenta il proprio Dio come l’unico e l’assoluto, e sia questi posto
a fondamento della verità, allora lo scontro tra monoteismi sarà inevitabile,
perché ogni gruppo tenderà ad imporre la supremazia e l’unicità del suo dio e
quindi la propria verità su tutti gli altri. Magari con la violenza, oltre a
tutti gli altri mezzi di persuasione e di proselitismo. Come uscirne?
L’accusa in fondo, come dicevamo all’inizio, non è nuova e
l’Illuminismo cercò di superare il problema elaborando, con il Deismo[4],
un concetto di Dio, per così dire, super
partes, svincolato dalle immagini veicolate dai tre monoteismi storicamente
affermatisi: ebraismo, cristianesimo, islam.
Tuttavia, tale concezione deistica della divinità, resasi
autonoma rispetto all’immagine di Dio, quantomeno, nei riguardi dei due
monoteismi biblici, ebraismo e cristianesimo, non è riuscita ad entrare in
dialogo positivo con queste due esperienze storiche di monoteismo, anzi spesso
si è attestata su posizioni di antagonismo e scontro essa stessa, col paradosso,
talvolta, di voler superare la presupposta radice violenta del monoteismo ebraico-cristiano
con l’imposizione, anche violenta, di un nuovo monoteismo o di un altro
principio ideologico assoluto! Qui il Documento rimanda al << pregiudizio – tipico del modello
razionalistico – secondo il quale, anche sul piano esistenziale e sociale, c’è
un solo modo per affermare la verità: negare la libertà o eliminare
l’antagonista>>.[5]
La degenerazione dell’Illuminismo segna proprio il fallimento di questa
impresa.[6]
Ma il deismo - constata ancora il Documento - non fu e non è
l’unica reazione al preteso legame tra violenza e monoteismo. L’alternativa
radicale alla creduta concezione assolutizzante del monoteismo, così come nei
confronti di ogni altra idea religiosa, è data dalla teorizzazione delle varie
forme di agnosticismo, di laicismo politico, dell’ateismo umanistico e
immanentistico e naturalistico.[7]
Se però può essere comprensibile, e in parte giustificabile,
una certa posizione agnostica o ateistica nei riguardi dell’esperienza
religiosa in sé, a volte frutto di una reazione alle sue concretizzazioni
storiche, in cui la religione spesso è servita da supporto strumentale alle
varie forme di potere e alla sua gestione, appare quanto meno strana - afferma
il documento - la posizione odierna di alcuni che vedrebbero il monoteismo come
la radice di ogni violenza, e da qui il rimpianto, da parte di taluni
pensatori, di una concezione religiosa politeista che assicurerebbe il rispetto
per la diversità di idee e di forme di vita etica e sociale in un contesto,
ormai attestatosi, come pluralistico e variegato.
Stranamente, infatti, – rileva la Commissione - si sta assistendo al capovolgimento del
giudizio sul monoteismo, un tempo considerato come l’approdo della ricerca
religiosa degli uomini in una forma <<culturalmente
più evoluta>>[8],
cioè come concezione ultima della divinità a cui è pervenuto il pensiero
filosofico-teologico dopo una riflessione durata secoli, e ora invece ritenuto
come il vero ostacolo al progresso e alla piena realizzazione dell’uomo e della
società[9].
Perciò il Documento non nasconde la sua meraviglia quando rileva che <<il rovesciamento del quadro moderno è
inaspettato: ora il monoteismo è arcaico e dispotico, il politeismo è creativo
e tollerante>>.[10]
Alla base di questo ribaltamento - spiega la Commissione
Teologica - c’è certamente il cambiamento del modo di comprendere l’esercizio
della ragione e il concetto di verità. Dalla sfiducia tutta moderna sulla
possibilità che la ragione conosca una verità assoluta, o anche da una certa
indifferenza verso questa verità, e dalla riduzione dell’ambito della certezza
al solo mondo scientifico (e forse neanche più a questo) discende, anzi, l’idea
che proprio l’affermazione della verità stia alla base di un pensiero unico
sfociante nel totalitarismo e nella <<
pretesa di possesso esclusivo da parte di un soggetto o gruppo umano>>[11]
della stessa verità. Da qui, si pretende affermare da parte di
alcuni, la nascita dei conflitti a causa dei fondamentalismi religiosi, giacché
uno dei fondamenti del pensiero monoteista starebbe nel ritenersi detentore
assoluto della verità. Conseguentemente, l’unica posizione su cui attestarsi,
si ritiene, in reazione a questa pretesa assolutistica, sarebbe quella di un pensiero
relativista circa la verità, che di fatto concretamente sfocia nella
indifferenza circa qualsiasi principio o valore. Perciò la Commissione Teologica
afferma che l’idea della consequenzialità tra monoteismo e violenza,
considerata da alcuni intellettuali come una ovvietà culturale, non faccia
invece che acuire l’indifferenza della società nei riguardi della esperienza
religiosa, oscurando la vera immagine della religione e offendendo la dignità
dei credenti sinceri.[12]
Paradossalmente, inoltre, questo <<sentire relativistico totale abbandona i
rapporti umani a una gestione anonima e burocratica della convivenza civile>>
e sfocia nell’affermarsi <<di un
disegno totalitario del pensiero unico>>[13]:
così, per uscire dal preteso totalitarismo del monoteismo, si ricade nel
tentativo, altrettanto totalitaristico, di gruppi e lobby più o meno occulte
spinti da interessi di potere, non senza risvolti economici, che cercano di
imporre le loro strategie sociopolitiche e ideologiche!
Il Documento reagisce così con forza a tale concezione
sviluppando una argomentazione a più livelli.
Anzitutto, viene negato che il politeismo, così come
storicamente attestatosi, ieri e oggi, sia davvero un esempio ideale di
tolleranza: la Commissione formula infatti una <<riserva critica nei confronti di una semplificazione culturale che
riduce l’alternativa alla scelta fra monoteismo necessariamente violento e un
politeismo presuntivamente tollerante>>[14].
Anzi, si afferma che <<l’applicazione
metaforica del politeismo religioso alla democrazia civile, come antidoto alla
violenza, in verità, sembra talora stravagante dal punto di vista storico,
sociologico, e anche teorico>>[15].
Basti pensare al “tollerante” impero romano e alle persecuzioni contro i
cristiani![16]
Si rigetta, poi, la scelta di fatto di accomunare, sotto l’unica
denominazione di monoteismo, i tre grandi monoteismi storici conosciuti:
ebraismo, cristianesimo e islam. Il Documento sottolinea vivacemente come sia
profondamente ingiusto mettere insieme tre esperienze religiose che, dietro la
forma monoteista, in realtà veicolano già concezioni stesse della divinità
radicalmente diverse, da cui discendono antropologie e concezioni culturali e
socio-politiche diverse. Basti pensare al rapporto, variamente inteso e
interpretato, tra religione e Stato, in ognuna delle tre religioni in questione.[17]
Ma la Commissione, poi, concentra tutta la sua
argomentazione verso la concretizzazione della accusa della radice violenta
monoteista contro il solo cristianesimo. Di fatto, dei tre monoteismi storici,
l’ebraismo è generalmente sottratto a questa accusa, sia perché gli
intellettuali d’Occidente sono ancora sotto l’influenza del complesso di colpa
per la Shoà, sia perché, a causa della scelta del giudaismo di non puntare
sulla missione e sul proselitismo, non ci si sente “attaccati” dalla sua presenza
(fra l’altro numericamente esigua rispetto agli altri due monoteismi); mentre
il rapporto con l’Islam è interpretato sotto il riflesso del conflitto storico
fra dominio cristiano e dominio islamico, e quindi in chiave geopolitica,
mentre si stenta a farne una lettura filosofica e teologica.[18]
Così non resta che il cristianesimo <<a essere preferibilmente analizzato come
caso esemplare dell’inclinazione dispotica del monoteismo religioso>>[19].
La Commissione comincia con l’affermare che questa <<puntigliosa identificazione del
cristianesimo come ostacolo da abbattere, nella lotta contro il monoteismo che
diffonde la violenza religiosa nel mondo… non cessa di stupire>>[20]
sia perché, almeno nella cultura occidentale, il cristianesimo è la
religione che dovrebbe essere di gran lunga la più conosciuta e quindi non ci
dovrebbero essere equivoci sulla sua reale essenza e identità, sia perché
alcune acquisizioni della società occidentale, quali il primato della dignità
della persona umana, la libertà, l’uguaglianza fra gli esseri umani, la
separazione fra sfera laica dello Stato e della società civile e l’esperienza
religiosa, sono tutte radicate nei valori irrinunciabili propugnati dal
cristianesimo.
E perciò non si può pensare – afferma il Documento - che questo
attacco sia fatto in buona fede, perché tante affermazioni errate e distorte
sul cristianesimo non sono certo frutto di sola ignoranza.[21]
Ma tale attacco è sicuramente fatto in base alla concezione nichilista del
mondo impostasi in Occidente, a partire dalla modernità e che ha condotto
all’odierna società “liquida” dell’epoca postmoderna, per cui si vive in una
sorta di ripudio del cristianesimo, di cui l’Occidente è pure, in larga parte,
frutto.
La Commissione, perciò, indica come irrinunciabile per tutte
le religioni, specie le monoteiste, reagire alle accuse fatte loro di essere
generatrici di violenza e per far ciò afferma che occorre un ripensamento
critico di ognuna che ne mostri il vero volto e le faccia uscire da un
ripiegamento in se stesse e dal pericolo di una loro visione distorta, ad intra
come ad extra, della stessa loro esperienza religiosa.[22]
Il Documento, così, passa all’enunciato fondamentale:
<< Possiamo attestare, con tutta la
fermezza e l’umiltà necessaria, che il radicale ammonimento nei confronti di un
uso dispotico e violento della religione appartiene in un modo unico al nucleo
originario della rivelazione di Gesù Cristo e ne rappresenta uno degli aspetti
più inauditi ed emozionanti nella storia dell’attesa della manifestazione
personale di Dio e dell’esperienza
religiosa dell’umanità>>[23]
e questo perché <<l’unità
indissolubile del comandamento evangelico dell’amore di Dio e del prossimo
stabilisce il grado di autenticità della religione. Di ogni religione>>[24].
E pertanto la Commissione si sente di proclamare con forza
che << nella tradizione della
Chiesa il principio di questa verità cristologica di Dio non si è mai perso, a
costo di mettere il cristianesimo in contraddizione fra la sua prassi storica e
la sua autentica ispirazione>>.
Come dire che, se in qualche momento storico la Chiesa è
stata tentata da un uso violento del messaggio evangelico, ciò è stato fatto
non in ossequio a tale messaggio ma in evidente contraddizione a questo e
perciò dando aperto scandalo circa la sua fedeltà alla rivelazione di Dio in
Cristo. Ed è proprio a partire dalla verità dello stesso messaggio evangelico
che la Chiesa ha potuto convertirsi e rinnovarsi per ritornare alla purezza
originaria del vangelo.
In parole povere: se un cristiano si rifà al messaggio
evangelico per giustificare il suo agire violento, sa e deve sapere che tale
ricorso non può essere assolutamente giustificato, perché è il vangelo stesso
che rigetta e rimprovera questo uso strumentale del suo messaggio, con il suo
appello all’amore per Dio e il prossimo.
Per dimostrare tali affermazioni, la Commissione ripercorre
il cammino della rivelazione biblica, dalla iniziativa di Dio nel cammino degli
uomini (parte II), con l’offerta della alleanza destinata per tutte le genti, e
poi, operando un discernimento cristiano sull’antica rivelazione a Israele,
mettendo in risalto l’appello alla pratica dell’amore e alla custodia della
giustizia, in cui anche gli stessi passi difficili e “violenti” sono ricompresi
alla luce della pedagogia divina nei riguardi del suo popolo, sottolineando
come il senso ultimo della alleanza di Dio con Israele sia la rivelazione della
sua misericordia e della sua giustizia.
Si arriva così alla rivelazione di Dio nel Figlio (parte
III) in cui si sottolinea come lo stesso operato del Figlio sia stato fatto in
vista della riconciliazione e del superamento della inimicizia fra gli uomini.
E ciò attraverso il superamento della violenza nella morte in croce del Figlio.
In lui è tolto ogni muro di inimicizia e ogni barriera e distinzione fra gli
uomini. La croce dimostra come la lotta da sostenere non è fra popoli ma contro
il male che alberga in noi stessi e le potenze del Maligno che si oppongono
alla signoria di Dio sulla terra e nel cuore degli uomini. L’incarnazione e la croce
manifestano così l’essenza del Dio uni-trino, lui stesso comunione di amore
(radicalmente diverso ad esempio dal monismo monoteista delle altre religioni)
che vuole coinvolgere gli uomini in questa comunione di amore. Nella logica
dell’incarnazione e della rivelazione della gloria di Dio nella paradossale
potenza della croce, anche la Chiesa è chiamata a proclamare la sua fede nel
Dio della pace e così dare speranza a tutti i popoli per superare ogni
conflitto etnico e odio di civiltà. E per tutte le volte che la Chiesa ha
tradito questo ministero di pace e riconciliazione fra i popoli la Chiesa ha
fatto e fa il suo mea culpa.
Così facendo il Documento recupera (parte IV) la dimensione
della fede nel rapporto con la ragione, per superare le critiche dell’ateismo
sulla stessa esistenza di Dio, ridimostrando la validità del percorso che dalla
ragione arriva alla fede nel Dio creatore, un Dio “persona” e unico che
interpella ogni uomo e lo chiama a vivere in relazione con lui. Da qui il valore
(parte V) della dignità del singolo uomo e il legame dei molti nell’unico Dio
che fonda la dimensione etica dell’agire umano e la passione per la giustizia
dei singoli e dei popoli.
In conclusione, la Commissione tira le fila del discorso
ampiamente sviluppato nel Documento.
Il monoteismo che si realizza in questo modo nella fede
trinitaria del cristianesimo - si afferma - non solo rigetta ogni tentativo di
violenza, ma concorre a purificare ogni esperienza religiosa dalla tentazione
del dominio: in questa tentazione va riconosciuta infatti non l’autentica
esperienza religiosa ma una sua radicale corruzione, specie se proveniente da
forme di violenza generate da interessi economici e politici che
strumentalizzano la sensibilità religiosa dei popoli. E dimostrare la forza
della pace con Dio è e sarà sempre di più la missione irreversibile della
Chiesa.
L’augurio è che anche le altre religioni, in particolare
quelle monoteiste, riescano ad argomentare con altrettanta verità il ripudio di
ogni violenza, nella riflessione sulla loro esperienza religiosa: specie quelle
maggiormente esposte alla tentazione della <<chiusura su se stesse, e persino attraversate da orribili presagi di
guerra>>[25].
[1]
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Dio
Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza. EDB,
2014.
[2]
Ivi, presentazione, p. 7.
[3]
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Dio
Trinità…, presentazione, p. 7.
[4]
Ivi, n. 4, p. 13.
[5]
Ivi, n. 9, p. 18.
[6]
cfr. Ivi, presentazione. Si veda anche la tesi di BARRINGTON MOORE JR., Le origini religiose della persecuzione
religiosa nella storia, Sellerio editore, Palermo, 2002, pp. 175, per cui
lo stesso radicalismo violento in cui sfociò la rivoluzione francese non fu che la ripresa “laica” della stessa idea
monoteistica assolutizzante di voler imporre la propria verità con la forza e
la violenza.
[7]
cfr. Ivi, Cap. I.
[8]
Ivi, n. 3, p.12.
[9]
cfr. Ivi, n. 14, p. 21.
[10]
Ivi, n. 6, p. 15.
[11]
Ivi, n. 5, p. 14.
[12]
cfr. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Dio
Trinità…, n. 8, p. 17.
[13]
Ivi, n. 5, pp. 14-15.
[14]
Ivi, Introduzione, p. 8.
[15]
Ivi, n. 8, p. 17.
[16] A
confermare proprio questa affermazione, mi permetto qui di segnalare certi
episodi che registra la cronaca attuale di “intolleranza” e violenza religiosa
di matrice induista o buddista che non sono certo riconducibili a fedi
monoteiste.
[17]
Infatti, tra l’altro, si fa notare come il <<rapporto tra osservanza religiosa e legislazione civile è un tema di
discussione e di ricerca sul quale tutte le culture religiose sono ancora
divise e oscillanti al loro interno. Gli eccessi del “fondamentalismo”
religioso appaiono, in Occidente come in Oriente, radicalmente problematici
anche dal punto di vista della loro genuina ispirazione religiosa. Si tratta
dunque di un tema di discussione comune alle religioni>>, a tutte le
religioni. A ragione perciò si sottolinea come la <<correlazione con la credenza monoteista appare perciò una
semplificazione eccessiva e pretestuosa, che oscura la più fondamentale
questione del rapporto fra trascendenza religiosa e secolarizzazione
civile>>: cfr. Ivi, n. 10, pp. 18-19.
[18]
Ivi, n. 10, p. 18.
[19]
Ivi, n. 11, p. 19.
[20]
Ivi, n. 12, p. 19.
[21]
cfr. Ivi, n. 12, p. 20.
[22]
cfr. Ivi, n. 18, p. 24.
[23]
Ivi, n. 15, p. 22.
[24]
Ivi,
[25]
Ivi, n. 18, p. 24.
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