C'è
un principio in teologia che è anche principio per la spiritualità e per la
catechesi: Actus credendi non
terminat ad enuntiabile sed ad rem ipsam. Come dire: l'atto del
credere non finisce nella enunciazione di cosa o in chi si crede, ma nella
esperienza stessa dell'oggetto del credere.
Cioè
dire che il credere non è semplicemente un fatto di "enunciazione" di
dogmi di fede (un tempo si parlava di fides quae creditur, cioè di contenuti
di fede che sono creduti appunto dal "credente") anche se questo
aspetto, che comporta l'impegno a rendere intelligibile la stessa fede, a
mostrane le ragioni e perciò la sua razionalità, è certamente importante e
necessario, giacchè - e ce lo ha ricordato papa Benedetto XVI - la fides non
può mai essere separata o prescindere dalla ratio.
Ma
l'atto del credere non può mai essere ricondotto ad un puro atto -
illuministicamente - di comprensione intellettuale: il comprendere
razionalmente, ad esempio, come il dogma fondi ed esprima la coesistenza in
Gesù Cristo della divinità con l'umanità, è certamente fondamentale ed
importante, ma questo non significa ipso facto che questo sia
automaticamente un atto di fede, un actus credendi.
Anzitutto
perchè a questa comprensione può addivenire anche un ateo, senza implicare
alcunchè di fede. Ma poi, soprattutto, perchè l'esperienza della salvezza (cioè
il perdono dei peccati e il dono della vita eterna) non è il frutto della
comprensione intellettuale del fedele: se così fosse saremmo in presenza non
più della fede cristiana ma di una pura e semplice esperienza di gnosi (che in greco significa conoscenza), cioè
appunto di conoscenza intellettuale, in cui si crede che per il semplice fatto
che io ho compreso una verità di vita (ho cioè avuto - come si dice in gergo -
una "illuminazione" intellettuale) io sia automaticamente già salvo!
La
gnosi è stato il pericolo più sottile e insidioso del cristianesimo, nei suoi
duemila anni di storia, e anche oggi si ricicla nella teoria dei
"valori" o dei "principii" del cristianesimo, estrapolati e
resi autonomi dal Vangelo e dalla Chiesa. Ma ridurre la fede ad alcune
enunciazioni di alti ideali (più o meno condivisibili anche da chi vive in
altre fedi o non è animato da nessuna fede), quali quelle oggi di moda: la
pace, la giustizia, i diritti, la natura, e via di seguito, significa snaturare
l'essenza stessa del cristianesimo.
Il
cristiano non è colui chiamato a vivere di belle idee! E' colui che è
chiamato a vivere l'incontro con una persona, Gesù Cristo, capace di cambiarti
la vita, anzi di salvarti dal male e di darti la vita eterna: quello che in
gergo si chiama “salvezza”.
Per
questo noi parliamo di "esperienza di fede": cioè di un atto del
credere che coinvolge non solo l'intelletto ma tutte le dimensioni
dell'esistenza (e perciò oltre alla fides quae creditur occorre
sempre anche la fides qua creditur cioè la fede per mezzo della quale si crede, in
pratica quell'atteggiamento fondamentale di affidamento della propria persona
nelle mani di colui che si riconosce come il proprio Signore e Salvatore).
Allora
si capisce meglio il principio enunciato all'inizio.
L'atto del credere, cioè il mio cammino
di fede, non finisce quando io comprendo che Gesù è il Signore e il Salvatore,
ma quando io di questa stessa salvezza concessami in Cristo e per Cristo ne
faccio una esperienza piena,completa, personale.
Che
questo sia un principio fondamentale per la teologia dovrebbe essere evidente
di per sè: perchè la vera teologia non è mai riconducibile solamente ad una
dotta discussione "su Dio" (questa la può fare anche un ateo, abbiamo
detto) ma è sempre anche intelligenza piena e quindi esperienza vitale di Dio!
Cosicchè non ci può essere vero credente che non sia anche "teologo"
e non ci può essere teologo senza che sia anche un vero credente.
E'
la lezione di San Tommaso d'Aquino, capace di innalzare la mente nelle
esplorazione delle alte vette di Dio, ma poi anche di saper piegare le
ginocchia davanti al Santissimo Sacramento e di saper dire che davanti al
mistero della transustanziazione dove falliscono
la vista, il tatto e il gusto, solo la fede è capace di fondare l'atto del
credente: e forse il dramma di oggi è quello di avere tanti sedicenti teologi
ma pochi veri credenti!
Se
questo è dunque un principio teologico non astratto ma esistenziale, allora è
anche il fondamento della vita spirituale: non si comprende come si possa avere
vita spirituale (che poi significa vita di grazia, nello Spirito Santo, cioè
esperienza della presenza salvifica di Dio in Cristo nella nostra persona)
senza che questa sia per l'appunto esperienza, e non solo precomprensione
razionalista di tecniche e metodi mentali di "accaparramento del
sacro" che si fermano al chiacchiericcio senza attingere alla rem
ipsam cioè alla stessa esperienza della grazia e della salvezza,
riducendosi a forme di autogratificazione personale, al limite
dell'autoerotismo psicologico.
E
la garanzia che si arriva a vivere, a sperimentare il dono della grazia, cosa
in cui consiste di fatto l'esperienza della salvezza, è data dall'inveramento
del principio, cioè dalla sua concretizzazione nell'esperienza
liturgico-sacramentale.
La
domanda soggiacente allora sarà: “Come
posso ottenere la salvezza oggi?” (diamo qui per scontata la voglia di
salvezza, anche se crediamo che il far prendere coscienza di dover essere
salvati - e da che cosa - sia il vero problema della nuova
evangelizzazione): e meglio “Come e dove posso incontrare oggi il Cristo
che mi salva?” La domanda non è oziosa, perché significa interrogarsi sulle
esatte modalità della salvezza: la salvezza non è un gesto ripetitivo di Cristo
ogni volta applicato ad un uomo diverso, la salvezza è l’evento pasquale
compiuto “una volta per tutte (Ebrei 1). Si tratta quindi di trovare un “modo”
che mi renda “contemporaneo” alla pasqua di Cristo: ora questo “modo” è la
Liturgia. Se solo la Liturgia e non altro permette di attingere alla salvezza:
il contenuto fondamentale della catechesi liturgica sarà anzitutto una corretta
nozione di Liturgia e poi contenuti
specifici saranno le peculiarità che la celebrazione
della Liturgia comporta.
Il
termine LITURGIA indica una azione (specie se onerosa) fatta da qualcuno in
favore del popolo: cfr. le opere pubbliche che magistrati e cittadini facoltosi
erano obbligati a fare nell’antichità.
Per
questo nel linguaggio biblico indica
anzitutto L’OPERA SALVIFICA DI DIO IN FAVORE DEGLI UOMINI
perciò
si può dire che LITURGIA E’ LA STESSA ECONOMIA SALVIFICA REALIZZATA NEL MISTERO
PASQUALE.
Si
parla infatti di
·
Liturgia nascosta
(il mistero di Cristo nascosto nei secoli = il piano salvifico di Dio)
·
Liturgia rivelata
(l’economia salvifica nella storia di Israele fino al compimento in Cristo)
·
Liturgia attuata
(la realizzazione nell’evento Pasquale)
1.
la dimensione
trinitaria della liturgia: (dal Padre) -
Per Cristo - Nello Spirito - Al Padre
2.
dimensione
sacramentale (legge dell’incarnazione): Cristo Dio-Uomo, sacramento(segno e strumento) dell’incontro tra Dio e l’uomo.
·
A partire dalla
pasqua-ascensione-pentecoste Cristo associa a sé i battezzati (= salvati) nel
suo Corpo che è la Chiesa: tramite questo Corpo continua la sua missione
salvifica nel mondo e nei secoli.
·
La Chiesa ha,
analogamente a Cristo, una dimensione “teandrica” (umano-divina): come Cristo è
sacramento del Padre, così la Chiesa è
sacramento di Cristo.
·
Celebrando la
Liturgia e i sacramenti la Chiesa santifica i fedeli: “Nella liturgia...con
segni sensibili è significata e in modo proprio a ciascuno realizzata la
santificazione dell’uomo...”
·
Con segni e simboli
-
attenzione al linguaggio simbolico tratto dalla creazione (fuoco, luce, acqua),
dalla vita umana (olio - unzione, pane -
frazione..., acqua - lavare), dalla stooria della salvezza (es. riti pasquali e
la stessa Pasqua ebraica)
=>
significato naturale > religioso > cristiano
=>
recupero della dimensione simbolica per uscire dalle liturgie chiaccherate
·
Con Parola e azione
- Legge dell’incarnazione: Verbo si fa carne
- Verbis gestisque: la Parola apre
all’intelligenza del gesto, il gesto nel suo linguaggio simbolico dice ciò che
la parola non riesce a dire: La Parola di Dio che “risuona” nella Liturgia e
dalla Liturgia: La liturgia è luogo privilegiato della catechesi del Popolo di
Dio
=>
Importanza fondamentale della Liturgia della Parola
=>
Tutta la Liturgia è impregnata di parola di Dio
·
nello Spirito Santo
- lo Spirito opera nella creazione e nell’incarnazione, così opera nella
liturgia: l’attualizzazione della salvezza è dovuta oggi alla epiclesi consacratoria.
·
Il Mistero di
Cristo nell’Oggi della salvezza: la
Pasqua eterna
·
Il giorno del Signore: la Pasqua settimanale
Giacchè
l'esperienza della salvezza di Cristo è possibile oggi solo attraverso i
sacramenti e nella liturgia della Chiesa, dire oggi che l'atto del credere non
si conclude con l'enunciazione del dogma ma deve arrivare alla ipsam rem
della salvezza, vuol dire concretamente che la confessione della fede deve
terminare nell'esperienza sacramentale.
Non c'è fede senza Sacramento.
Non
c'è proclamazione di fede che non nasca dunque dalla Parola e dal suo
accoglimento, ma che non si concluda nel Sacramento.
Nel
Battesimo-Confermazione, anzitutto, come a conclusione del cammino di
conversione (e nei sacramenti collegati del perdono che sono la Confessione e
l'Unzione dei malati); e poi nei sacramenti della vita nuova del servizio
ecclesiale (Ordine e Matrimonio) ma soprattutto nel Sacramento dell'Eucaristia che
della vita nuova in Cristo è centro.
Ciò
vuol dire allora che questo principio teologico è anche il principio
che sottostà a tutto l'impegno di evangelizzazione e catechesi. A cosa
deve tendere infatti la evangelizzazione e la catechesi se non ad una pedagogia
della fede che accompagni il cristiano non solo a saper confessare la sua fede
e a renderne ragione, cioè a saper interiorizzare ed esprimere i contenuti del
suo credere perchè ne risulti tutta la sua razionalità e credibilità e il
credere non sia ridotto a miti e favole per bimbi, ma che arrivi anche e
soprattutto a far fare di quella fede confessata una esperienza celebrata nei
sacramenti e vissuta nelle varie dimensioni dell'esistenza personale del
credente?
Una evangelizzazione e catechesi che non
sbocchi nella celebrazione sacramentale dà solo l'illusione di un cammino
compiuto, che si arresta invece proprio davanti alla porta dell'esperienza
della salvezza che pur vorrebbe favorire!
Non
solo: staccando poi l'esperienza di fede dal percorso dell'intellectus la
stessa esperienza sacramentale viene ridotta ad una esperienza o magica o
puramente estetica o ad una pura esperienza celebrativa ridotta ad una
cerimonia avulsa dalla realtà del credente, incapace di produrre frutti di
grazia (cioè di attingere alla pienezza dell'esperienza di salvezza se non per
il minimo vitale dell'ex opere operato) e quindi anche di sostenere
l'impegno del credente in una coerente testimonianza di vita (o i rischi della
pietà popolare).
Così
abbiamo percorsi catechistici che si riducono solo all' enuntiabile
(quasi percorsi scolastici paralleli incapaci di toccare il cuore dei credenti)
oppure modelli di presunta evangelizzazione ispirati solo ad una esperienza di
fraternità cristiana ridotta però al solo humanum del "vogliamoci
bene, come è bello stare insieme!"
Questo
spiega perchè tanti bambini e ragazzi, pur frequentando il catechismo il sabato
non riescano poi a comprendere le ragioni della partecipazione alla Messa
domenicale; o perchè tanti ragazzi e giovani abbandonino la vita sacramentale
al culmine della iniziazione cristiana, quando questa vita dovrebbe prendere le
mosse proprio dalla pienezza della iniziazione che dovrebbe vedere
nell'Eucaristia (e non nella Cresima) la fonte ed il culmine di tutta la vita
cristiana, come insegna il Concilio Vaticano II.
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