mercoledì 30 ottobre 2013

Ad un mese dalla tragedia

Se c’è una immagine che mi rimarrà impressa nella memoria sarà quella delle tredici salme degli eritrei annegati nel loro tragico sbarco sulla spiaggia di Sampieri composti nel semplice feretro di legno rivestiti da un lenzuolo bianco offerto da altrettante mamme di Scicli. Non lenzuola usate, da scarto, ma lenzuola nuova, ricamate, del corredo buono di famiglia: una signora mi ha detto “questo lenzuolo l’ho usato solo per la nascita di mio figlio, all’ospedale; ora voglio che ricopra un altro figlio di mamma morto lontano dai suoi genitori”. Tredici lenzuola di mamme per tredici figli di mamma: non extracomunitari, non forestieri, non sconosciuti, tredici figli con nome e cognome, nel fiore della giovinezza, morti sulla nostra spiaggia in cerca di una sorte migliore. In quei tredici lenzuoli vedo espresso l’abbraccio di dolore, di affetto, di solidarietà che si è stretto non solo intorno alle tredici vittime, ma anche a tutti gli altri fratelli eritrei che sono sbarcati con loro e ai parenti e agli amici che sono in seguito venuti a Scicli per riconoscere e piangere i loro morti.
So che parlando di queste cose c’è il rischio di accentuare i toni del sentimento o di cadere in una sorta di autocelebrazione, però è anche vero che il bene va narrato perché fecondi e generi altre storie di bene.
Non finiranno forse sulle prime pagine dei giornali, non riceveranno medaglie o elogi ufficiali, però è giusto dire di quanti in quella spiaggia di Sampieri – prima ancora che arrivassero gli aiuti ufficiali – si sono prodigati davvero nella prima accoglienza (quanti altri ne sarebbero morti se non ci fosse stato chi dalla spiaggia si fosse buttato subito in acqua, che oltre a dare acqua e cibo ed abiti asciutti, è stata prodiga di affetto e sorrisi, di braccia spalancate ad abbracciare e rincuorare; è giusto dire del parroco di Sampieri che oltre a benedire le tredici salme è stato lì a vegliarle tutto il giorno, finché non sono state trasferite al cimitero; è giusto dire della cura con cui le salme sono state accudite e curate al cimitero di Scicli da operatori che sono andati al di là di quanto richiesto dalla loro mansione; è giusto dire di quanti hanno offerto la colazione e il pranzo ai parenti delle vittime, li hanno accolto gratis nei loro B&B, hanno pagato loro il biglietto dell’autobus, di chi è andato a portare fiori e lumini al cimitero, di chi ha partecipato al loro funerale come se si trattasse di persone di famiglia.
Ma io potrei parlare delle lacrime raccolte nelle confidenze personali dei sopravvissuti, dei loro sguardi e delle loro emozioni: potrei dire che sono stato io ad accogliere loro, ma in realtà sono stato io ad essere stato accolto nei loro cuori. E confesso che per me è stato una grazia

martedì 22 ottobre 2013

Credere: cioè pensare la fede

1.L’atto di fede

Credo Deum= “io credo (= io so) che Dio c’è” => non è ancora un atto pieno di fede
Credo in Deum = “io conosco Dio (= ho un rapporto di amicizia con Lui) => la fede “fiduciale”: fides qua creditur
Credo Deo= “io credo a Dio” (= io ho fiducia in lui e credo a quanto lui mi dice) => la fede nella verità che Dio mi rivela => le “verità di fede” della rivelazione: fides quae creditur
1. “al Dio che si rivela va dovuta l’obbedienza della fede” : Deus semper prior: primato/precedenza di Dio nella vita del credente: => la fede è grazia => Per uscire dal soggettivismo moderno: il recupero della coscienza come “luogo” in cui Dio parla al cuore dell’uomo
2. “piacque a Dio rivelare se stesso”: La fede come incontro personale tra Dio e l’uomo: esperienza di Dio, non conoscenza delle “cose di Dio”
3. “io so a chi ho creduto”: la fede come risposta dell’uomo a Dio: l’atto libero della fede che coinvolge tutto l’uomo, intelligenza e cuore
4. “l’uomo giusto vivrà per la suo fede”: la necessità della fede per la salvezza
5. “questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa”: io credo => noi crediamo: noi crediamo => la dimensione ecclesiale della fede => la fede ci è consegnata dalla Chiesa e nella Chiesa (battesimo: la chiesa ti accoglie…)
1. In chi e che cosa crede la Chiesa?
·         In Dio, Padre-Figlio-Spirito Santo,
·         e le verità contenute nella Scrittura e trasmesse a noi dalla Tradizione della Chiesa
·         il “depositum fidei”
·         la sacra Scrittura
·         la Tradizione
2. Il Simbolo della fede: come esprimere con un linguaggio comune ciò che crede tutta la Chiesa
Le “formule” di fede
I simboli e la professione di fede battesimale
Il simbolo apostolico
Il simbolo niceno-costantinopolitano

2. Lex credendi – lex orandi

1.       si celebra ciò che si crede
2.       si crede ciò che si celebra
“actus credendi non terminat ad enuntiabile sed ad ipsa rem”
la chiesa come luogo e strumento di salvezza
l’economia sacramentale come esperienza di Dio e della sua salvezza
la liturgia come momento comunitario e personale della storia della salvezza: “Oggi…”
3. Lumen fidei – lux vitae
“dilectio caritatis est fidei forma” : la vita nuova in Cristo
PER APPROFONDIRE
·         Benedetto XVI Porta Fidei
·         Lettera enciclica Lumen Fidei
·         Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 142 – 197
·         Youcat, catechismo dei giovani, nn. 1-29
·         Ricerca nei Catechismi CEI per i fanciulli e i ragazzi i  capitoli che parlano della fede in Dio
·         Sei catechista scout? Ispira le attività delle 3 branche alle schede “Dio”, “fede”, “Chiesa” del “Sentiero fede”.
·         Sei dell’Azione Cattolica? O di altri gruppi? Certo avrete sussidi sulla fede e il Credo.
·         Le tre virtù teologali: fede – speranza – carità = non ci può essere l’una senza l’altra: CCC nn. 1812 – 1829
·         La fede e il primo comandamento: CCC nn. 2083 - 2141

PER RIFLETTERE
·         La mia fede: tra grazia e ascolto = rendo grazie a Dio per il dono della fede?
·         La mia fede è veramente cristiana, cioè trinitaria?
·         Qual è il rapporto tra la “mia” fede e la “fede” della Chiesa?
·         La mia famiglia come luogo di “trasmissione” ed “educazione” alla fede
·         Le nostre catechesi trasmettono la fede? Conducono a celebrare e vivere la fede?

PER CELEBRARE LA FEDE
·        Le nostre celebrazioni sono sempre un atto di lode a Dio? Esprimono la fede della Chiesa? O sono una autocelebrazione delle nostre comunità?
·        Come far sì che i sacramenti e sacramentali siano espressione ed esperienza di fede? (specie battesimo/cresima; matrimoni, funerali…) come evitare che siano “privatizzati”?

PER VIVERE LA FEDE
·         La carità: la fede che si fa vita
·         Amare Dio che non si vede nei fratelli che si vedono: il precetto dell’amore oggi?
·         Ripartiamo dalle opere di misericordia corporali e spirituali?

PER LA CONVERSIONE:
1.       I DOVERI DELLA FEDE:
·         Adorazione
·         Preghiera
·         sacrificio
2.       I PECCATI CONTRO LA FEDE
·         Dubbio volontario
·         Incredulità
·         Disperazione
·         Presunzione
·         Indifferenza
·         Ingratitudine
·         Tiepidezza: accidia
·         L’odio di Dio frutto dell’orgoglio
·         Superstizione
·         Idolatria
·         Divinazione e magia
·         Stregoneria
·         L’irreligione: tentare Dio, il sacrilegio
·         Agnosticismo e ateismo



mercoledì 16 ottobre 2013

Che fare? la tragedia dei profughi eritrei ci interpella

“Ma noi a Scicli, finita l’emergenza e il momento delle lacrime per i morti, cosa possiamo fare?” E’ questa la domanda che i ragazzi delle quinte classi delle scuole superiori ci hanno rivolta in un incontro tenutosi venerdì scorso nei locali del Liceo di Scicli, organizzato dal preside Enzo Giannone con il Sindaco di Scicli, il sottoscritto in qualità di vicario foraneo, don Manlio Savarino giovane prete ex alunno dello stesso liceo e un sacerdote eritreo in missione subito accorso a Scicli appena saputo dello sbarco e della morte di tredici suoi compatrioti e che si è messo subito a disposizione come interprete per l’accoglienza degli eritrei al centro di Pozzallo e per il riconoscimento delle povere vittime, tutti giovani tra i 20 e i 24 anni.
L’intento del preside, - già espresso a conclusione della veglia organizzata il martedì precedente davanti al Municipio di Scicli, con la fiaccolata della comunità civile e la preghiera della comunità cristiana espressa dal sottoscritto e dal pastore della chiesa evangelica di Scicli David Zomer e con la lettura dei messaggi del Presidente della Repubblica, del Presidente della Camera dei deputati e del nostro Vescovo – era quello di far diventare questo tragico evento l’occasione per un’esperienza educativa per i ragazzi delle scuole in quanto cittadini e futuri responsabili della cosa pubblica.
In questo l’intento è stato raggiunto perché i ragazzi, dopo aver ascoltato la testimonianza del missionario eritreo che ha illustrato le ragioni della fuga dalla loro patria di tanti giovani alla ricerca di un luogo dove poter professare liberamente la fede e vivere una vita libera e dignitosa, hanno riflettuto sulla esigenza di educarsi a promuovere un nuovo stile di vita che faccia dell’accoglienza, nello stile del dialogo e dell’arricchimento reciproco, di qualsiasi altra persona, al di là di razza o confessione religiosa. E questo lo si può fare da subito e con chiunque.
Così i ragazzi si sono mobilitati per una iniziativa a favore degli eritrei ospiti del centro di Pozzallo, nell’attesa di poter partecipare ai funerali dei loro giovani coetanei, ma anche per studiare percorsi di integrazione con gli extracomunitari o comunque bisognosi presenti in città.
Ignazio La China


Omelia per i 13 giovani eritrei annegati nello sbarco a Sampieri e Letture della Parola di Dio

La vista di quelle imbarcazioni oscillanti sulle onde mi ha richiamato alla mente l’episodio evangelico della tempesta sul mare di Galilea: gli apostoli impauriti per la paura di affondare e annegare e il Cristo che dorme sul cuscino. Alla fine chiedono: “Signore, non ti importa che noi moriamo?” Gesù si alzerà e metterà a tacere il mare.
Ma oggi, davanti a questo stillicidio di morti che il mare inghiotte come il biblico Leviatano, siamo noi a chiedere, a chiederci, a chiedergli: “Signore, ma non ti importa che questi tuoi figli, questi nostri fratelli muoiano? Signore, ma tu dormi? Signore dove sei?”
La scena straziante cui abbiamo appena assistito mi ha richiamato quella degli altri giorni, quando da tutti i fratelli e le sorelle eritrei venuti per la penosa processione per il riconoscimento dei cadaveri si è levato alto un unico e ripetuto grido. “Signore, dove sei? Perché permetti tutto questo?”
Un non credente qui potrà sentire un fardello minore, ma chi crede in Dio sa che questo è il momento oscuro della fede, l’ora in cui alla domanda dell’uomo risponde il silenzio di Dio: come alla protesta accorata di Giobbe Dio risponde col silenzio, anzi richiedendo altrettanto silenzio da parte dell’uomo.
Giustamente il salmo ci fa dire: “Per te o Dio il silenzio è lode”: oggi è il giorno del silenzio, perché, come ammoniscono le Lamentazioni: “è bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore”.
E se noi osiamo rompere sommessamente questo silenzio lo facciamo solo perché spinti dal desiderio di trovare conforto nelle parole della Scrittura per il nostro dolore, per trovare in queste parole l’eco della sua Parola.
Anzi per ridire con le sue parole la nostra domanda, la nostra ricerca del senso di quanto sta avvenendo.
Ecco perché abbiamo voluto rileggere nelle parole di Isaia anzitutto il dolore e lo sgomento per quanto sta avvenendo, per le scene di orrore inesprimibile che in questi giorni sono davanti ai nostri occhi: la fuga di fugge l’oppressione e la spada, l’invito a soccorrere chi peregrina nel deserto dandogli da bere, porgendogli del pane…
Ma è proprio in questo buio del dolore che Isaia invita ad accendere la luce della fede: anche questo ha un termine, anche per questo ci sarà una fine: Dio riscatterà il suo popolo, riscatterà il dolore innocente.
Ci verrebbe da chiedere: e quando Signore? “Ma mille anni per te sono come il giorno di ieri che è passato”.
Ma in fondo non ci interessa saperlo: sappiamo solo che Dio mantiene le sue promesse.
E dunque tutto questo finirà.
Oggi importa invece rialzare di nuovo lo sguardo, aprirsi alla speranza, guardare al futuro: a ciò che verrà.
Anzi, a Colui che verrà!
Oggi siamo qui per rinnovare la nostra confessione di fede in Colui che ha preso sulla sua croce tutto il dolore del mondo: anche la morte di questi nostri fratelli è assunta e riscattata nella sua croce.
E Lui oggi si rivela a noi come Alfa e Omega, cioè come il principio e il fine della storia, cioè il senso stesso del vivere e del morire.
Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse.
Noi oggi guardiamo a lui come al risorto e al vivente, come all’escaton, il compimento di tutta la storia, anzi della creazione stessa.
No, oggi non stiamo registrando un fallimento: siamo qui per dire che stiamo andando incontro a Colui che è il veniente, colui che sempre viene, viene a salvare: no la morte non avrà l’ultima parola.
Noi attendiamo i cieli nuovi e la terra nuova.
Alla fine il mare restituirà i suoi morti, anzi scomparirà del tutto: perché nella Bibbia il mare è simbolo del male che tutti vorrebbe trascinare nei suoi vorticosi abissi. Ma alla fine dovrà arrendersi, davanti alla vittoria di Colui che siederà vincitore sul trono della storia.
E sarà asciugata ogni lacrima. E non ci sarà più né pianto né morte.
Ma il Cristo che siederà sul trono siederà come giudice: per dare ad ognuno secondo le proprie opere.
E allora ne siamo certi anche i nostri tredici fratelli ascolteranno il suo invito: venite benedetti dal Padre mio.
E davvero saranno beati, la loro sorte sarà invidiabile, perché riceveranno quanto promesso dal Cristo, come abbiamo oggi ascoltato nel vangelo secondo  Matteo: beati i perseguitati, beati coloro che hanno fame e sete di giustizia…
Sì, saranno veramente saziati: quella fame e sete che pensavano poter estinguere qui sulla terra, sarà finalmente saziata in Cielo da colui che per noi si è fatto pane di vita e fonte di grazia.
E sarà fatta giustizia.
Solo così sarà fatta giustizia per i poveri e gli oppressi, contro i potenti e gli oppressori: non dimentichiamoci del giudizio di Dio. Giacché ognuno sarà esaminato sulla propria condotta.
Oggi ci viene ricordato che ognuno deve vivere e agire responsabilmente per contribuire a condurre la storia verso l’incontro col suo Signore.
Se noi oggi volgiamo lo sguardo inorriditi davanti a queste immani tragedie è perché sentiamo che questo non rientra nel progetto divino: lo ha ricordato anche papa Francesco a Lampedusa e nuovamente per la veglia per la pace in Siria e in tutto il mondo.
No non era questo, non è questo il progetto di Dio: Dio ha affidato all’uomo la creazione per custodirne la vita, non per coltivarne la morte!
Dio rivelandosi Padre ci rivela come fratelli chiamati a servire non a servirci l’uno dell’altro.
Chi stravolge il progetto di Dio, chi calpesta l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, dovrà rendere conto di questo a Dio.
Noi oggi qui non esprimiamo giudizi, non gridiamo alla vendetta, ma ci affidiamo dunque al Dio giudice dei vivi e dei morti: nella Bibbia Dio è colui che giudica, libera e riscatta: a lui affidiamo la sorte dei nostri fratelli e le sorti del mondo intero.
Ma noi oggi, mentre affidiamo alla misericordia del Signore questi nostri fratelli, chiediamo la grazia di vivere responsabilmente, ognuno nel suo ruolo, e per quanto sta ad ognuno di noi di adoperarci per costruire un mondo più umano, quel mondo che lui ha voluto come anticipo e primizia del regno di fraternità e di pace.
Solo così la morte di questi tredici, come delle altre centinaia di fratelli non sarà stata vana.

Il Signore dia la grazia a quanti soffrono e piangono di sperimentare la sua vicinanza e la sua consolazione e di superare con coraggio questo momento di prova, poiché, come abbiamo pregato, il Signore è la forza del suo popolo.

PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Isaia

Oracolo sul deserto del mare. 
Una visione angosciosa mi fu mostrata: 
il saccheggiatore che saccheggia, 
il distruttore che distrugge. 
Per questo i miei reni tremano, 
mi hanno colto i dolori come di una partoriente; 
sono troppo sconvolto per udire, 
troppo sbigottito per vedere. 
Smarrito è il mio cuore, 
la costernazione mi invade; 
il crepuscolo tanto desiderato 
diventa il mio terrore. 

Oracolo sull'Arabia. 

Nel bosco, nell'Arabia, passate la notte, 
carovane di Dedan; 
andando incontro agli assetati, 
portate acqua. 
Abitanti del paese di Tema, 
presentatevi ai fuggiaschi con pane per loro. 
Perché essi fuggono di fronte alle spade, 
di fronte alla spada affilata, 
di fronte all'arco teso, 
di fronte al furore della battaglia. 
Poiché mi ha detto il Signore: "Ancora un anno, contato alla maniera degli anni di un salariato, e scomparirà tutta la potenza gloriosa di Kedàr. 
Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE  PER IL FUNERALE DELLE 13 VITTIME DEL NAUFRAGIO
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano 
e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano. 
I giusti invece si rallegrino, 
esultino davanti a Dio e cantino di gioia. 
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Padre degli orfani e difensore delle vedove 
è Dio nella sua santa dimora. 
Ai derelitti Dio fa abitare una casa, 
fa uscire con gioia i prigionieri; 
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo, 
quando camminavi per il deserto, 
la terra tremò, stillarono i cieli 
davanti al Dio del Sinai, davanti al Dio di Israele. 
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Pioggia abbondante riversavi, o Dio, 
rinvigorivi la tua eredità esausta. 
E il tuo popolo abitò il paese 
che nel tuo amore, o Dio, preparasti al misero. 
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Benedetto il Signore sempre; 
ha cura di noi il Dio della salvezza. 
Il nostro Dio è un Dio che salva; 
il Signore Dio libera dalla morte. 
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Sì, Dio schiaccerà il capo dei suoi nemici, 
la testa altèra di chi percorre la via del delitto. 
Ha detto il Signore: "Da Basan li farò tornare, 
li farò tornare dagli abissi del mare, 
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Dispiega, Dio, la tua potenza, 
conferma, Dio, quanto hai fatto per noi. 
Verranno i grandi dall'Egitto, 
l'Etiopia tenderà le mani a Dio. 
Rit.  Il Signore è la forza del suo popolo
Regni della terra, cantate a Dio, 
cantate inni al Signore; 
Riconoscete a Dio la sua potenza, 
la sua maestà su Israele

SECONDA LETTURA PER IL FUNERALE DELLE 13 VITTIME DEL NAUFRAGIO
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso.
Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé. 
Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono.
Furono aperti dei libri. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita.
I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere. 
Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. 
Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. 
E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco. 
Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. 
Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 
Udii allora una voce potente che usciva dal trono: 
"Ecco la dimora di Dio con gli uomini! 
Egli dimorerà tra di loro 
ed essi saranno suo popolo 
ed egli sarà il "Dio-con-loro". 
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; 
non ci sarà più la morte, 
né lutto, né lamento, né affanno, 
perché le cose di prima sono passate". 
E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose";
e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. 
Ecco sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega, 
il Principio e la Fine. 
A colui che ha sete darò gratuitamente 
acqua della fonte della vita. 
Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; 
io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. 
Parola di Dio

VANGELO PER IL FUNERALE DELLE 13 VITTIME DEL NAUFRAGIO
« Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli »   (
Matteo 5,3-12)

giovedì 3 ottobre 2013

Card. Biffi: "l'anticristo è sempre vegetariano"


Nel corso degli Esercizi spirituali al Pontefice e alla Curia Romana, martedì 27 febbraio, il Cardinale Giacomo Biffi ha riflettuto su “L’ammonimento profetico di Vladimir S. Solovev”. (cosa che, ricordiamo, fece già alcuni anni orsono n.d.r.)

Facendo riferimento in particolare all’opera del filosofo russo “I tre dialoghi e il racconto dell'anticristo”, l’Arcivescovo emerito di Bologna ha ricordato che “l’anticristo si presenta come pacifista, ecologista ed ecumenista. Convocherà un Concilio ecumenico e cercherà il consenso di tutte le confessioni cristiane concedendo qualcosa ad ognuno. Le masse lo seguiranno, tranne dei piccoli gruppetti di cattolici, ortodossi e protestanti”.

Secondo la sintesi del discorso del porporato offerto dalla “Radio Vaticana”, il Cardinale Biffi avrebbe spiegato che “l’insegnamento lasciatoci dal grande filosofo russo è che il Cristianesimo non può essere ridotto ad un insieme di valori. Al centro dell’essere cristiani c’è infatti l’incontro personale con Gesù Cristo”.

“Verranno giorni in cui nella cristianità si tenterà di risolvere il fatto salvifico in una mera serie di valori”, ha scritto nella sua ultima opera nell’anno 1900 il filosofo russo Vladimir Solovev, che con grande acume aveva profetizzato le tragedie del XX secolo.

Nel “racconto breve dell’Anticristo” Solovev scrive che “Incalzati dall’anticristo, quel piccolo gruppetto di cattolici, ortodossi e protestanti risponderanno all’anticristo: 'Tu ci dai tutto, tranne ciò che ci interessa, Gesù Cristo'”.

Per il Cardinale Biffi questo racconto è un ammonimento. “Oggi, infatti, corriamo il rischio di avere un Cristianesimo che mette tra parentesi Gesù con la sua Croce e Risurrezione”.

L’Arcivescovo emerito di Bologna ha spiegato che se i cristiani si “limitassero a parlare di valori condivisibili saremmo ben più accettabili nelle trasmissioni televisive come nei salotti. Ma così avremmo rinunciato a Gesù, alla realtà sconvolgente della Risurrezione”.

Per il Cardinale Biffi è questo il “pericolo che i cristiani corrono nei nostri tempi”, perché “il Figlio di Dio, non è traducibile in una serie di buoni progetti omologabili con la mentalità mondana dominante”.

“Tuttavia - ha precisato il porporato - tutto ciò non significa una condanna dei valori, che tuttavia vanno sottoposti ad un attento discernimento. Ci sono, infatti, valori assoluti come il bene, il vero, il bello. Chi li percepisce e li ama, ama anche Cristo, anche se non lo sa, perché Lui è la verità, la bellezza, la giustizia”.

Il Predicatore degli Esercizi spirituali per la Quaresima di quest'anno ha quindi precisato che “ci sono valori relativi come la solidarietà, l’amore per la pace e il rispetto per la natura. Se questi si assolutizzano, sradicandosi o perfino contrapponendosi all’annuncio del fatto salvifico, allora questi valori diventano istigazioni all’idolatria e ostacoli sulla strada della Salvezza”.

In conclusione, il Cardinale Biffi ha affermato che “se il cristiano per aprirsi al mondo e dialogare con tutti, stempera il fatto salvifico, preclude la sua connessione personale con Gesù e si ritrova dalla parte dell’anticristo”.

Sull’anticristo e sul romanzo di Solovev, il Cardinale Biffi aveva già svolto una dettagliata relazione il 4 marzo del 2000 in una conferenza organizzata dal centro Culturale E. Manfredini e dalla Fondazione Russia Cristiana. Il testo del suo intervento è stato poi riportato per intero nel libro “Pinocchio, Peppone, l’Anticristo” (Cantagalli 2005).

In quell’intervento Ricordando le parole profetiche del filosofo russo, il Cardinale di Bologna aveva detto: “Soprattutto è stupefacente la perspicacia con cui (Solovev) descrive la grande crisi che colpirà il cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento, crisi che Soloviev vede come l'Anticristo che riesce a influenzare e a condizionare un pò tutti, quasi emblema, ipostatizzazione della religiosità confusa e ambigua di questi nostri anni”.

“L'Anticristo – proseguiva – sarà 'convinto spiritualista', un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo”.

E ancora, ironizzava il Cardinale Biffi, quell'Anticristo sarà “anche un esperto esegeta: la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea honoris causa a Tubinga. Soprattutto, si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare 'con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza'".

E finalmente De Marco su Papa Francesco canta fuori coro! E come non dargli ragione?

UN MESSAGGIO ALLO STATO LIQUIDO

di Pietro De Marco

In coscienza devo rompere il coro cortigiano, composto da nomi laici ed ecclesiastici fin troppo conosciuti, che accompagna da mesi gli interventi pubblici di papa Jorge Mario Bergoglio, per segnalare solo alcune delle reiterate approssimazioni in cui cade il suo eloquio.

Nessuno è esente, nel conversare quotidiano e privato e tra pochi, da approssimazioni e forzature, ma non vi è persona che abbia responsabilità di fronte a molti – chi insegna ad esempio – che non adotterà in pubblico altro registro e cerchi di evitare l’improvvisazione.

Ora, invece, abbiamo letto di un papa che esclama: “Chi sono io per giudicare?”, come si può dire enfaticamente a tavola o anche predicando esercizi spirituali. Ma di fronte alla stampa e al mondo un “Chi sono io per giudicare?” detto da un papa stride oggettivamente con l’intera storia e la natura profonda della funzione petrina, dando in più la sgradevole sensazione di un’uscita incontrollata. Poiché papa Francesco ha consapevolezza almeno dei propri poteri come papa, si tratta – qualsiasi cosa volesse dire – di un grosso errore comunicativo.

Abbiamo letto poi nell’intervista a “La Civiltà Cattolica” la frase: “L’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile”, che sembra accomunare sotto la figura liberal-libertaria della “ingerenza” sia il giudizio teologico-morale, sia la valutazione pubblica della Chiesa, quando necessaria, e persino la cura di un confessore o direttore spirituale nell’indicare, prevenire, sanzionare condotte intrinsecamente cattive.

Bergoglio adotta involontariamente qui in un luogo comune tipico della postmodernità, secondo la quale la decisione individuale è, come tale, sempre buona o almeno sempre dotata di valore, in quanto personale e libera come si pensa ingenuamente che essa sia, quindi insindacabile.

Questo scivolamento è coperto, non solo in Bergoglio, da formule relative alla sincerità e al pentimento del singolo, quasi che sincerità e pentimento cancellino la natura del peccato e vietino alla Chiesa di chiamarlo col suo nome. Inoltre, che tacere e rispettare quello che ognuno fa perché libero e sincero nel farlo siano misericordia è dubbio: abbiamo sempre saputo che il chiarire, non il nascondere, la natura di una condotta di peccato è un atto eminente di misericordia, perché permette al peccatore il discernimento di sé e del proprio stato, secondo la legge e l’amore di Dio. Che anche un papa sembri confondere il primato della coscienza con una sorta di ingiudicabilità, anzi, di immunità dal giudizio della Chiesa è un rischio magisteriale che non può essere sottovalutato.

Ieri poi, su “la Repubblica” del 1 ottobre, abbiamo letto troppe battute azzardate. Abbiamo appreso che “il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso”, come risposta al tema della conversione proposto un poco ironicamente da Eugenio Scalfari. Cercare la conversione dell’altro non è una “sciocchezza”; lo si può fare in maniera sciocca, oppure sublime come in molti santi. Ricordo che i coniugi Jacques e Raïssa Maritain, anch’essi dei convertiti, desideravano ardentemente e operavano per il ritorno alla fede di loro grandi amici.

Poi abbiamo letto che, di fronte alla obiezione relativistica di Scalfari: “Se vi è un’unica visione del Bene, chi la stabilisce?”, il papa concede che “ciascuno di noi ha una sua visione del bene” e “noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il bene”.

Ora, ragionando, se ognuno ha “una sua visione del bene” che deve realizzare, tali visioni non possono che risultare le più diverse, in contrasto e in conflitto spesso mortale, come provano la cronaca e la storia. Incitare a procedere secondo la personale visione del bene è in realtà incitare alla lotta di tutti contro tutti, una lotta strenua, perché compiuta per il Bene e non per l’utile o altro contingente. È per questo che le visioni particolari – anche quelle guidate dalle intenzioni più rette – devono essere regolate da un sovrano, o modernamente dalle leggi, e in ultimo dalla legge di Cristo, che non ha alcuna sfumatura concessiva in termini individualistici.

Forse papa Francesco voleva dire che l’uomo, secondo la dottrina cattolica della legge naturale, ha la capacità originaria, un impulso primario e fondamentale dato (non “suo” particolare, ma universalmente dato) da Dio, di distinguere ciò che è in sé Bene da ciò che è in sé Male. Ma qui si inserisce il mistero del peccato e della grazia. Si può esaltare Agostino, come il papa fa, e omettere che in “ciò che l’uomo può pensare sia il bene” opera sempre anche il peccato? Che ne è della dialettica tra la città di Dio e la città dell’uomo e del diavolo, “civitas” dell’amore di sé? Se il Bene fosse ciò che l’individuo pensa sia bene, e la convergenza di questi ‘pensieri’ salvasse l’uomo, che necessità vi sarebbe stata della legge positiva in genere, della legge di Dio in particolare, e dell’incarnazione del Figlio?

Sostiene ancora il papa che “il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco (!) in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare”.

Tutto ciò suona come un a priori poco critico: quanto distruttivo “ecumenismo” e quanto “dialogo” subalterno alle ideologie del Moderno abbiamo visto all’opera nei decenni passati: ad essi solo Roma, da Paolo VI a Benedetto XVI, ha posto un argine! Il Bergoglio che criticò le teologie della liberazione e della rivoluzione non può non sapere che il “dialogo con la cultura moderna” attuato dopo il Concilio fu ben altra cosa da garbato “ecumenismo”.

Sorvolo le autoconcessioni del papa a una mediocre polemica antipapale (“i papi spesso narcisi”, “malamente eccitati dai cortigiani”), le battute sul “clericalismo” (che c’entra san Paolo? Giacomo era un clericale?), la concessione affrettata che il “solo” modo di amare Dio sia l’amore degli altri, proposizione che altera Mc. 12, 28-34, e legittima un cristianesimo sociale-sentimentale che da secoli fa così a meno del mistero di Dio.

Papa Francesco si conferma un tipico religioso della Compagnia di Gesù, nella sua fase recente, convertito dal Concilio negli anni di formazione, specialmente da ciò che io chiamo il “Concilio esterno”, il Vaticano II delle attese e delle letture militanti, creato da alcuni episcopati, dai loro teologi e dai media cattolici più influenti. Uno di quegli uomini di Chiesa che, nel loro tono accostante e duttile, nei loro valori indubbi, sono anche i “conciliari” più rigidi, convinti dopo mezzo secolo che il Concilio sia ancora da realizzare e che le cose vadano fatte come fossimo ancora negli anni Sessanta, alle prese con la chiesa “pacelliana”, la teologia neoscolastica e il modernismo laico o marxista.

Al contrario: ciò che quello “spirito conciliare” voleva e poteva attivare è stato nei decenni detto o sperimentato e oggi si tratta anzitutto di fare un consuntivo critico dei suoi risultati, talora disastrosi. Ritengo che la strada per la vera attuazione del Concilio sia stata riaperta dall’opera magisteriale di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, talora anche contro sensibilità cattoliche ed episcopali alla Bergoglio.

Qualcuno sostiene che Francesco possa essere, in quanto papa postmoderno, l’uomo del futuro della Chiesa, al di là di tradizionalismi e modernismi. Ma il postmoderno che può allignare in lui – come liquidificazione delle forme, spontaneità dell’apparire pubblico, attenzione al villaggio globale –  è di superficie. Con la sua duttilità e i suoi estetismi il postmoderno è poco plausibile in un vescovo dell’America Latina, dove ha dominato a lungo, fino a ieri, nell’intelligencija il Moderno marxista. Il nucleo solido di Bergoglio è e resta “conciliare”. Sulla strada intrapresa da questo papa, se confermata, vedo anzitutto la cristallizzazione del “conciliarismo” pastorale dominante nei cleri e nei laicati attivi.

Certo, se Bergoglio non è postmoderno, la sua recezione mondiale lo è: il papa piace a destra e a sinistra, a praticanti e a non credenti, senza discernimento. Il suo messaggio prevalente è “liquido”. Su questo “successo”, però, non può essere edificato niente, solo reimpastato qualcosa di già esistente, e non il meglio.

Di tale apparire “liquido” sono segnali preoccupanti per chi non sia prono alla chiacchiera politicamente corretta e relativistica della tarda modernità:

a) il cedimento a frasi fatte tipo “ognuno è libero di fare …”, “chi dice che le cose debbano essere così …”, “chi sono io per …”, lasciate sfuggire nella convinzione che siano dialogiche e aggiornate;

b) il mancato controllo da parte di persone di fiducia, ma sagge e colte, e italiane, dei testi destinati a circolare, forse nella convinzione papale che non ve ne sia bisogno;

c) una certa inclinazione autoritaria (“io farò di tutto per …”), in singolare contrasto con i frequenti assunti pluralistici, ma tipica dei “rivoluzionari” democratici, col rischio di imprudenti collisioni con la tradizione millenaria.

In più, resta incongruo in papa Francesco questo prendere iniziative di comunicazione pubblica e questo volersi senza filtri (la sintomatica immagine dell’appartamento papale come un imbuto), che rivelano indisponibilità a sentirsi uomo di governo (cosa più difficile che essere riformatore) in un’istituzione altissima e “sui generis” come la Chiesa cattolica. Le battute del papa su curia e Vaticano lo evidenziano.

Il suo è, a tratti, un comportamento da manager moderno e informale, di quelli che si concedono molto alla stampa. Ma questo aggrapparsi a persone e cose che stanno fuori – collaboratori, amici, stampa, opinione pubblica, lo stesso appartamento a Santa Marta è “fuori” – come se l’uomo Bergoglio temesse di non sapere che fare una volta rimasto solo, da papa, nell’appartamento dei papi, non è positivo. E non potrà durare. Anche i media si stancheranno di fare da sponda a un papa che ha troppo bisogno di loro.

Firenze, 2 ottobre 2013

mercoledì 2 ottobre 2013

Preghiera per la veglia cittadina per i tredici eritrei morti nello sbarco a Sampieri

O Padre, tu hai voluto oggi  che i giovani fratelli eritrei che ci hanno lasciato, morendo sulla spiaggia alla ricerca di una vita migliore, lontano dalla loro casa e dalle loro famiglie
siano oggi coloro che ci riuniscono.
Raccolti dalla nostre occupazioni  in cui ogni giorno siamo dispersi,
siamo qui riuniti al di là di ogni distinzione di lingua, di razza o di fede:
ora il pensiero della loro tragica morte  ci ha fatti sostare in silenzio e in preghiera
per aprirci al dolore gli uni degli altri.
Dio di ogni novità, ti affidiamo questi nostri giovani fratelli, chiamati improvvisamente  nel fiore della vita, accoglili come Padre nella tua casa;
noi ti preghiamo: dona loro la felicità che li attende: l’eterna giovinezza.

Tu che sei il Dio dei vivi e dei morti, ascolta la nostra preghiera anche per gli altri fratelli superstiti che ora piangono la sorte dei loro compagni di viaggio,
perché possano vivere il momento della prova come strada che conduce
a significati autentici e profondi per l’esistenza, nell’esperienza della nostra accoglienza e dell’amore vicendevole.
Ma oggi ti preghiamo anche per  tutte le vittime innocenti, uccise dalla fame,
dalla miseria, dalla guerra, per tutte le vittime dell’odio e della violenza,
per i morti senza volto, senza voce e senza nome,
perché  tu,  Padre della vita accolga il sangue innocente
sparso sulla terra da Abele fino all’ ultimo uomo:
perché il loro sacrificio ci risparmi la follia di ogni genere di nuovi conflitti
e il mondo ritrovi le strade della pace, della concordia, della solidarietà,

E ti preghiamo ancora per questo nostro mondo, spesso distratto e attirato da ciò che non dura,
per gli uomini del nostro tempo: spesso schiavi di un materialismo che tutto appiattisce, lacerati da tante divisioni a causa dell’egoismo che infiacchisce ogni costruttivo dialogo, per coloro che si illudono di tenere per sé la vita nell’individualismo che divide, nell’indifferenza che fa morire i rapporti, perch coloro che strumentalizzano gli altri per i loro fini, per coloro che calpestano la dignità umana e rendono schiavi i fratelli, affinchè  vincano le resistenze alla chiamata all’amore e al dono di sé e si aprano alla riconciliazione, al perdono, als ervizio a i fratelli.

O Dio che in Cristo che ha preso su di sé il dolore di tutta l’umanità e che  giudicherà ogni uomo  in base all’amore che si è fatto azione e vita, rendi ognuno di noi operatori fattivi di carità in mezzo ai fratelli,
Tu, che riservi ai tuoi figli un regno di luce e di pace,
guarda a noi ancora in cammino sulle strade della vita:
fa' che la fede nella nuova creazione
ci renda operosi costruttori di bene e di pace
nell'attesa del ritorno alla tua casa.

Amen.

IO ACCUSO…

Tra epidemia e calura estiva è passato sotto silenzio un importante responso della Congregazione della Dottrina della fede e approvato in pr...