lunedì 31 agosto 2015

I veleni di Voltaire

Mi sono regalato una vacanza " dotta",  nel senso che sotto l'ombrellone non ho portato con me il solito giallo ma niente di meno che L'enciclopedia di Voltaire. 
A parte il divertimento - da cui sapersi difendere - perché il trucco sta qua, giacché scherzando scherzando il Nostro le butta giù pesanti e tu neanche  te ne accorgi, perché mentre ridi abbassi la guardia e lui eccolo lì pronto a lanciarti la palla avvelenata! A parte il divertimento, dunque, mi sono reso conto di come non ci sia una idea, dico una, che non sia passata nella " vulgata " odierna di tutte le tesi contro la Chiesa. Voltaire può parlare pure dei macachi delle Indie ma alla fine la frecciata contro la Chiesa e il cristianesimo non manca mai. Certo, la critica è contro tutte le religioni a suo dire causa di ogni fanatismo e intolleranza, ma fra tutte le religioni quella più odiata visceralmente  e attaccata è la chiesa cattolica. Non si salva niente e nessuno!
Qualcuno dirà che ho fatto la scoperta dell'acqua calda, ma la mia considerazione è un'altra e verte sulla formazione che nei nostri seminari e studi teologici viene impartita a chi deve diventare sacerdote (per non parlare degli insegnanti di religione, ma io qui mi voglio fermare alla mia esperienza).
L'illuminismo di Voltaire & Compagni è la madre di tutte le falsità e gli inganni ideologici prodotti da circa cinque secoli a questa parte contro la Chiesa,  arrivati poi a noi attraverso tutto gli "- ismi " della storia.
Dalla negazione della divinità di Cristo alla verità dei vangeli e della Bibbia, alla insinuazione che il cristianesimo sia il parto della mente malata di Paolo, alla negazione dei sacramenti e di tutta la istituzione ecclesiale, dal papa all'ultimo curato e all'ultima suora, alle ricchezze della chiesa, alle persecuzioni dell'inquisizione... In fondo Augias e Odifredi non dicono niente di nuovo ma ripetono idee balzane vecchie di secoli!
Ora, si presume che se un esercito deve difendersi da un altro, o un partito deve contrastarne un altro, la prima cosa da fare sarebbe studiare le mosse e i progetti dell'avversario. Per potersi difendere e saper mostrare validamente le proprie ragioni.
Questo impegno un tempo era affidato alla cosiddetta " apologetica" cioè quella branca della teologia che serviva a difendere e proporre la bontà delle proprie tesi nei riguardi di chi invece voleva attaccare e scalzare l'esperienza cristiana nel mondo e perciò la stessa Chiesa.
Ciò avrebbe significato, ad esempio, che a me, nei miei studi teologici, fossero dati degli strumenti utili per conoscere anzitutto  i nostri " antagonisti " per poi saper resistere e rispondere in modo adeguato.
Ma tutto ciò a me non è stato dato.  E perciò mi sono dovuto attrezzare da solo.
Perché è inutile nasconderlo, è dall'illuminismo che la chiesa è sotto assedio in modo esplicito e tanti sono stati e sono i cavalli di Troia introdotti nelle nostre mura.
Eccettuati però alcuni eroi ( in verità tanti santi) e i alcuni papi ( Leone XIII, Pio X con la sua lotta al modernismo- forse l'ultimo baluardo posto all'ingresso di idee illuministe nella chiesa - , Pio XII per il suo impegno a mantenere la certezza del dogma e del magistero ecclesiale) quasi nessuno ha capito e capisce il pericolo cui si va incontro: il fatto di essere rimasti sguarniti contro ogni attacco e anzi di aver sviluppato nel nostro sentire un complesso di colpa indotto, per cui noi come chiesa siamo riusciti a convincerci che davvero la chiesa è all'origine di tutti i mali del mondo, come vorrebbero farci credere.
Abbiamo assunto un atteggiamento di condiscendenza che è ormai incapace di mostrare la nostra verità e di combattere la altrui falsità.
E così non si insegna più apologetica, non si apprende più ad avere il coraggio e la sapienza di un Giustino che dice all'imperatore chiaro e tondo che sta considerando i cristiani in modo sbagliato.
Ma così facendo ci si è privati di chiavi di lettura per comprendere le radici ideologiche, ad esempio, di questa scristianizzazione di massa che sta accadendo nel nostro Occidente.
Col rischio che l'opera di evangelizzazione, e per i parroci la pastorale, rischia di rimanere inefficace perché non si è in grado di capire le matrici culturali dei nostri destinatari e interlocutori.
È la complessità contemporanea, che può essere compresa solo conoscendone le stratificazioni secolari di idee e pregiudizi che l'hanno prodotta.
Credo che quest'opera sia più urgente che mai e che quindi forse bisognerebbe riscoprire l'impegno apologetico, non solo nei seminari, ma tutti i livelli, da parte di chierici e laici.
Forse qualche libercolo di devozioni in meno e qualche buon libro di filosofia o teologia in più non guasterebbe. Perché tutti siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi. E dovremmo farlo. Senza paura.

mercoledì 12 agosto 2015

postilla



Dopo il mio post precedente sul rimettere la croce sugli altari, qualcuno magari avrà giudicata la mia proposta come ingenuamente irenica. Ma vi prego di credere che non è così: altrimenti si giudicherebbe ingenuo lo stesso Benedetto XVI che per primo ha formulato tale proposta. So bene quale sia la posta realmente in gioco, come lo sapeva altrettanto bene Papa Benedetto. Qui non si tratta di mettere un oggetto sacro in più o in meno sull'altare. La scelta di mettere la croce sull'altare ( che poi non di scelta lasciata al singolo prete si tratterebbe ma di obbedienza da parte di tutti alla legge della chiesa che da sempre, fino all'ultima edizione del messale romano " vaticanosecondino " ha mantenuto ferma l'indicazione che sull'altare dove si celebra sia collocata la croce ) ma per meglio dire la scelta di obbedire alla prescrizione della Chiesa circa la croce sull'altare è in verità indice di quale comprensione dell'eucaristia noi ci troviamo davanti. È innegabile infatti che la croce sull'altare è un richiamo diretto ed esplicito al sacrificio di Cristo, stesso sacrificio di cui è perpetuo memoriale la celebrazione eucaristica. Così sacerdote e fedeli, guardando alla croce sono aiutati a ricordare che se l'eucaristia è banchetto comunionale lo è perché prima di tutto perché è sacrificio. Non ci sarebbe il pasto di un corpo, se prima quel corpo non fosse stato offerto in sacrificio. Chi tende a togliere o a spostare la croce dal centro dell'altare generalmente lo fa per accentuare di più l'idea del banchetto comunionale dimenticandosi del tutto della dimensione sacrificale e quindi salvifica dell'eucaristia. Ma così si vanifica lo stesso fine del sacramento che è la salvezza dell'anima. E chi lo dimentica, dimentica pure che anche l'eucaristia è un sacramento da amministrare: e che l'ostia consacrata è più che un pane da distribuire, in un gesto sbrigativo e distratto, spesso affidato a ministri tuttofare da sacerdoti insipienti. 
Perciò ho scritto che bisogna fare presto a recuperare la croce sull'altare. Perché significa recuperare la dimensione sacrificale della Messa e quindi la stessa finalità storico salvifica della Chiesa. Perché la Chiesa, davanti alla secolarizzazione che avanza o è in grado di riproporre con forza e coraggio che la salvezza dell'anima e la vita eterna è il primum necessario dell'uomo che solo Cristo può soddisfare, oppure, secolarizzata essa stessa non avrà altre battaglie da combattere se non quelle mondane e in un orizzonte intramondano che ha dimenticato il cielo. 

Versus populum, si; coram populo, no!

Mi piace la catholica perché è forma dell'equilibrio, della capacità inclusiva dell'et -et e mai dell'aut-aut. Solo gli eretici elevano una verità parziale a verità assoluta, finendo così per arroccarsi in integralismi esclusivi ed escludendi.
È questa la grande Tradizione della nostra Chiesa che però spesso viene dimenticata. Quando alla Teo-logia subentra l'ideo- logia  e allora si vede in chi non la pensa come te solo un nemico da combattere e non un interlocutore con cui verificarsi.
Purtroppo vedo sempre più come si accendano dibattiti in cui ci si "sbrana" a vicenda, quando invece una ricerca comune della verità porterebbe a intese più profonde. Ma per far ciò bisogna avere il coraggio di superare il livello delle opinioni e di uscire da propri pregiudizi.
Faccio un esempio.
Da decenni due fazioni si accusano reciprocamente di tradizionalismo bigotto o progressismo filo protestante, senza avere, a mio parere nessuna delle due, l'umiltà di confrontarsi con la Tradizione, quella vera, della Chiesa Cattolica. E uno dei terreni di scontro è, ad esempio, l'orientamento del celebrante nella celebrazione della messa.
Volgarmente si dice "con la faccia rivolta al popolo" o "con le spalle rivolte al popolo".
Scopriremo come queste espressioni sono entrambe sbagliate, e perciò chi vi si fissa in ogni caso celebra con un atteggiamento sbagliato.
E il problema supera lo stesso dilemma se scegliere la teologia tridentina o la teologia vaticanosecondina (si può dire? ).
Ma andiamo con ordine.
Il messale di san Pio V del 1570, che recepisce il messale a stampa del 1470 e altri messali precedenti, recepisce non solo l'eucologia e l'ordo missae dei secoli precedenti, ma ne recepisce anche le rubriche così come si erano formate lungo il corso di diversi secoli, per cui davvero si può dire che il messale di san Pio V riporti il modus celebrandi della chiesa di Roma e quindi sia in grado di indicarci con sicurezza le priorità e le scelte di fondo su cui si innesta lo stile celebrativo "romano".
Una di queste priorità è data dall'orientamento nella preghiera da parte del popolo e del sacerdote durante la celebrazione eucaristica.
Una indicazione rubricale ci aiuta a cogliere la priorità e insieme ci mostra il senso "pratico" della liturgia romana. Nelle rubriche del Messale di Pio V , al Caput V de oratione, viene detto: 3. << Si altare sit ad orientem, versus populum, celebrans versa facie ad populum, non vertit humeros ad altare, cum dicturus est Dominus vobiscum, Orate, fratres, Ite, missa est, vel daturus benedictionem; sed osculato altari in medio, ibi, expansis et iunctis manibus, ut supra, salutat . >>
E poi al caput XII aggiunge : 2. <<Si celebrans in altari vertit faciem ad populum, non vertit se, sed, stans ut erat, benedicit populo, ut supra, in medio altaris; deinde accedit ad latus Evangelii, et dicit Evangelium S. Ioannis. >>
In pratica cosa viene detto? Che se per caso, essendo l'altare rivolto ad orientem, il celebrante si trovasse  a celebrare in direzione del popolo, allora non occorre che il celebrante si giri su se stesso e dia le spalle all'altare quando deve salutare o dialogare o benedire il popolo ma rimanga fermo così com'è e saluti o benedica il popolo direttamente. Si capisce la motivazione della rubrica: che se si dovesse applicare la norma generale il sacerdote si troverebbe nella situazione innaturale di rivolgersi al popolo dandogli le spalle!
Ma c'è una ratio ancora più profonda da cogliere. Quella che pur di salvaguardare la direzione ad orientem dell'altare è capace di sacrificare la direzione dell'assemblea purché altare e celebrante rimangano rivolti ad orientem.
È il caso della basilica di san Pietro a Roma e di altre basiliche romane.
Essendo l'altare costruito sulla tomba di Pietro ed essendo la chiesa direzionata su un asse oriente - occidente e con l'ingresso ad oriente così che l'abside si venga a trovare ad occidente, è chiaro che se il celebrante dovesse celebrare secondo lo stesso orientamento in cui sono disposti i fedeli, guardando verso l'abside, si verrebbe a trovare rivolto verso occidente!
La scelta è stata logica e pratica, ma insieme è anche teologica perché indica un criterio che supera il mero orientamento cardinale-geografico per indirizzare verso un orientamento simbolico-sacramentale.
Perché l'altare, se da un lato mantiene ancora un orientamento geografico, dall'altro contiene in se anche  ciò che ne fa superare la semplice direzione geografica: è la croce.
Sull'altare è posta la croce, rivolta verso il celebrante, così che il celebrante abbia davanti a se non solo l'oriente  geografico ma soprattutto l'Oriente teologico, il Cristo redentore.
Così il celebrante si trova ad officiare la sua actio liturgica in uno spazio non solo geografico ma anche teologico-sacramentale. Alzando gli occhi al Cielo si rivolgerà al Padre come il Figlio, guardando alla croce, incensandola, inchinandosi davanti ad essa, il sacerdote incarnerà la risposta orante della Chiesa al suo Sposo che dalla croce attira tutti a se col suo sacrificio di cui la messa è memoriale.
In questa actio è coinvolto anche il popolo che, al di là della direzione geografica, è invitato a contemplare l'altare e la croce dove si rinnova il sacrificio.
In questo senso è da comprendere l'invito e la risposta del popolo di avere gli occhi rivolti al Signore: e credo non ci sia bisogno di ipotizzare il fatto che l'assemblea si girasse sempre verso l'Oriente geografico perché nel caso di san Pietro a Roma troveremmo un'assemblea rivolta alla porta della chiesa e con le spalle verso l'altare dove si sta per celebrare il sacrificio! Il che ci sembra illogico e paradossale.
La realtà invece credo che sia proprio la croce ad essere diventata il punto cui orientarsi, specie quando l'orientamento ad orientem della chiesa ( cioè dell'abside) non si potesse assicurare.
Ma il fatto che talvolta il sacerdote rivolto ad orientem e il popolo rivolto all'altare si potessero trovare faccia a faccia non vuol dire che la celebrazione fosse "coram populo" .
Anzitutto perché il fatto che l'altare fosse elevato con gradini e posto sulla cripta e sotto il baldacchino in ogni caso non ha dato mai l'idea di un rapporto "faccia a faccia" tra sacerdote e popolo, specie se si pensa che il sacerdote si trovava dall'altra parte dell'altare e tra il sacerdote e i fedeli sull'altare si trovava la croce verso cui, celebrante e fedeli , erano chiamati a guardare.
Ma poi perché soprattutto nella tradizione   romana non troviamo l'idea di una messa celebrata "davanti" alla gente per far vedere "pedagogicamente" quello che viene detto o fatto sull'altare: questa semmai è una idea che entrerà per la porta "protestante" nella chiesa cattolica.
lo stesso altare separato dalla parete (previsto già nell'aggiornamento delle rubriche del Messale di Giovanni XXIII) era visto solo per ripristinare l'antico uso della incensazione intorno ad esso e non per una celebrazione "davanti al popolo".
Ma la stessa rubrica da noi citata nel Messale di Pio V è stata tramandata per secoli e recepita fino al messale suddetto di Giovanni XXIII: ciò significa, a mio parere, che nel rito romano non si debba idolatrare nessuna posizione del celebrante in se stessa, perché il vero discriminante è dato dall'altare e dalla croce sull'altare.
In questo senso possiamo dire che, come ben scrisse una Nota della Congregazione del Culto divino anni fa ad una risposta sull'orientamento del celebrante, in ogni caso la messa è e deve essere "coram Deo", sia quando il celebrante si trova "versus populum" sia quando celebra "versus parietem".
E non è pedanteria far rilevare come il testo latino distingue tra celebrare "coram" e celebrare "versus",  perché un conto è celebrare "davanti a... " un conto "in direzione di ... ". Si può anche celebrare in direzione dei fedeli, ma sempre davanti a Dio! È ciò che le rubriche ( e la tradizione dei padri) ci insegnano.
Certo la pienezza del segno ( da non sottovalutare però) è data dal comune orientamento del sacerdote e dei fedeli verso l'altare su cui è posta la croce (e il tutto ad orientem), e ciò risponde non solo a tutta la tradizione romana ma alla stessa tradizione comune in oriente e occidente. Modalità di celebrazione che io ristabilirei pienamente non fosse altro che per un gesto di sensibilità e comunione ecumenica. Ma se per ragioni diverse il celebrante dovesse assumere una posizione diversa, celebrante e fedeli sono chiamati ad orientare il loro sguardo in direzione della croce dell'altare.
Quella che dunque viene in ogni caso esclusa è la "circolarità " dello sguardo tra sacerdoti e fedeli in cui ci si guarda reciprocamente in una celebrazione "orizzontale"  perdendo di vista la comune direzione, il comune Orientem cui tendere.
Conseguenza pratica, per me, è la necessità che sull'altare venga posta la croce. Al centro e ben visibile, e se questa anche visivamente si frappone tra sacerdote e fedeli, nel caso in cui si celebra in direzione dei fedeli, tanto meglio, perché ricorderà a tutti la direzione cui orientare lo sguardo.
Non dico niente di nuovo, questa è la saggia indicazione di Benedetto XVI, per scongiurare nuove guerre di altari ( "che facciamo, si chiese, smontiamo di nuovo gli altari? No, basta rimettere la croce al centro," rispose, parlando di "riforma della riforma liturgica"). L'ostilità contro questa proposta di Benedetto, ripeto saggia ed equilibrata, in verità rivelò e rivela ancora le posizioni ideologiche di chi ragiona per tesi preconfezionate perché accettare questa proposta - secondo questi - significherebbe accettare una scelta celebrativa in conformità con la Tradizione  ( ma per essi "tradizionalista " ) e " tradire" una interpretazione del Vaticano II che avrebbe voluto una celebrazione non solo versus populum ma anche coram populo obbligatoria per tutti. Cosa che non risulta per il Vaticano II come non risulta l'incontrario per il concilio di Trento.
Che se all'ostilità poi contro l'altare ad orientem o alla croce sull'altare, si risponde con l'ostilità tout court contro l'altare versus populum si vede bene come ci si è infilati in un cul de sac da cui è difficile uscire.
Come uscirne?
Con un atto di umiltà che faccia riconoscere a tutti che la liturgia non è appannaggio di nessuno e che i riti non sono frutto di alchimie e tesi fatte a tavolino, ma il risultato della vita della Chiesa sedimentata nella Tradizione.
E la Tradizione ci dice che la celebrazione della messa deve essere sempre " orientata" coram Deo. Segno di questo orientamento è la croce posta sull'altare.
E non importa se per guardare ad orientem il celebrante sia versus populum oppure versus parietem: perché non lasciare questa scelta caso per caso al celebrante a seconda delle chiese e di altre situazioni contingenti, senza lanciarci anatemi reciprocamente?
Riusciremo almeno a concordare in ciò? A chiudere una polemica oltremodo sterile e dannosa?
Il rischio è che mentre discutiamo sull'orientamento della messa la secolarizzazione invada sempre di più il nostro mondo e finanche le nostre chiese.

IO ACCUSO…

Tra epidemia e calura estiva è passato sotto silenzio un importante responso della Congregazione della Dottrina della fede e approvato in pr...