domenica 20 aprile 2014

Alla ricerca del volto di Dio: il cammino di Joseph Ratzinger


 


INVITO ALLA LETTURA SPIRITUALE DEL LIBRO GESU’ DI NAZARET  DI BENEDETTO XVI

 

1. DIO: O DELLA RICERCA DEL SENSO

1.      Le questioni fondamentali: chi siamo? Donde veniamo? Dove andiamo? Cosa ci aspetta dopo la morte?

2.      “Cosa intendo quando pronuncio queste due sillabe: Deus? Cosa significano?” (Sant’Agostino)

3.      religio – religere: pia illusione o ricerca compiuta? Impossibile desiderium naturale esse inane

4.      Quale via? Oltre il relativismo soggettivo: l’offerta di un cammino sicuro

2. MOSE’: O LE TERGA DI DIO

1.      Un’esperienza peculiare: Abramo l’amico di Dio, ovverosia la fede

2.      Il cammino del popolo ebraico: il dono di un patto

3.      Mosè Maestro e Profeta, eppure…

4.      Un cammino incompiuto

3. GESU’: O IL VOLTO DI DIO

1.      Dio nessuno l’ha mai visto… Il Figlio che è nel seno del Padre… lui ce ne ha fatto l’esegesi:

2.      il Verbo come Parola/Racconto/Spiegazione del Padre

4. GRAZIA AL POSTO DI GRAZIA

1.        E il verbo si fece carne: l’epifania di Dio nella storia

2.        il figlio manifesta il Padre verbis gestisque (Dei verbum)

3.        manifestazione come salvezza: le viscere di misericordia di Dio

4.        manifestazione come dono e per-dono: tutto è grazia dal legno della croce

5. EVENTO – INCONTRO – SEQUELA: IL SUPERAMENTO DELL’ETHOS

1.      Incarnazione come evento: nell’oggi della storia

2.      Salvezza come esperienza dell’incontro con Cristo: venite e vedrete

3.      Un incontro affascinante con Colui che cambia la vita: discepolato e sequela

4.      L’ethos della grazia: per il superamento del volontarismo morale: la logica delle Beatitudini

6. LA VITA NUOVA: O DEL SUPERAMENTO DELLA MORTE

1.      Io sono la via la verità e la vita: il Cristo unico Signore e salvatore

2.      La vita nuova nel Cristo e nello Spirito: l’economia sacramentale dal battesimo all’eucaristia

7. LA CHIESA SACRAMENTO DELL’INCONTRO

1.      Il Corpo di Cristo: l’offerta di una nuova famiglia, l’appartenenza ad un popolo

2.      Il “luogo”/strumento dell’incontro: la chiesa

3.      extra Christum nulla salus = extra Ecclesiam nulla salus

8. NEL MONDO MA NON DEL MONDO

1.      Cosa può dare la chiesa al mondo: Cristo e la sua grazia

2.      Cosa può dire la chiesa al mondo: l’annuncio della signorìa di Cristo

3.      Cosa può fare la chiesa nel mondo: la testimonianza del Regno dei Cieli

4.      La chiesa: né mondo né regno!

9. Il CRISTIANO: CHI E’

1.      Deus charitas est

2.      Vivere la compassione di Dio

3.      Testimoniare la compassione di Dio

10. GESU’: VERO DIO VERO UOMO

1.      Il Gesù della storia non è un nuovo maestro, un nuovo moralista, il fondatore di una nuova religione, un filosofo liberale, un rivoluzionario populista, un santo taumaturgo…un mito…E’ Dio

2.      Se Gesù non è Dio non c’è salvezza per l’uomo / Se Gesù non è Dio incarnato non c’è salvezza per l’uomo / Se Gesù non è Dio incarnato morto e risorto non c’è salvezza per l’uomo

3.      Gesù: il Dio per me (Lutero): Se Gesù non è il Figlio è come se Dio non ci fosse: La conoscibilità di Gesù come conoscibilità di Dio: “Chi vede me vede il Padre”.

4.      Il Gesù della fede è il Gesù della storia: i vangeli come documento storico e testimonianza di fede inseparabilmente connessi.

martedì 15 aprile 2014

San Giuseppe


Giuseppe ha un grandissimo ruolo nella storia di Gesù, secondo solo a quello di Maria, eppure è uno dei personaggi di cui si parla di meno e di cui non ci viene riportata nessuna parola. La sua figura può essere tratteggiata a partire dalle descrizioni e notizie indirette che ci vengono dai vangeli.

Le due genealogie sia in Luca che in Matteo, pur seguendo a volte linee diverse, concorrono nel delineare in lui il discendente davidico (proveniente da Betlem, la stessa città natale di David), così che possa assicurare legalmente a Gesù il titolo di Messia (in greco Cristo, cioè consacrato con l’unzione regale). Tuttavia i due evangelisti ci tengono a sottolineare che nella nascita del Messia il suo ruolo fu solo quello di sposo di Maria ma non di padre biologico di Gesù, salvaguardando così la verginità di Maria e l’unicità del suo parto.  

Il suo compito così viene delineato come quello di un custode della Vergine e del figlio di costei in tutte le traversie della nascita e della crescita: salvaguardare Maria dall’accusa di essere ragazza madre, proteggerla nel pellegrinaggio del censimento prima e della fuga in Egitto poi, assicurare alla madre e al figlio una dignitosa sistemazione familiare, educare e seguire nelle fasi della crescita il Verbo incarnato).

Secondo gli studi esegetici più avanzati è riduttivo dire che il mestiere di Giuseppe fosse quello di falegname, in quanto la parola greca corrispondente delinea più la figura di un carpentiere-capomastro vicino quasi a quella di un geometra, più simile anche ad alcune figure di maestranze locali tuttora esistenti ai nostri giorni.

Sicuramente doveva essere ancora vivo all’inizio della predicazione pubblica di Gesù perché il suo nome viene ancora ricordato nei vangeli, anche se si suppone fosse morto prima della morte di Cristo, data la sua assenza al Calvario accanto a Maria.

Della sua vita interiore abbia due tratti sintetici ma significativi: in Luca Giuseppe è il prototipo dell’uomo di fede che insieme con Maria cerca di crescere sempre di più nella comprensione dell’evento della salvezza rappresentato dalla nascita di Gesù, nome impostogli da Dio stesso tramite l’angelo nell’annunciazione e che significa appunto Dio-è-Salvatore; in Matteo è sempre l’uomo di fede come Abramo e quindi definito “giusto” perché si sforza di essere sempre corretto sia nei riguardi di Dio che verso gli altri uomini e come Abramo e tutti i patriarchi (cfr. i suoi sogni come Giacobbe e soprattutto il suo eponimo Giuseppe) è sempre obbediente alla volontà di Dio.

Il silenzio dei  vangeli è supplito dagli apocrifi dei vangeli dell’infanzia che invece si soffermano con dovizia di particolari, spesso di sapore popolare e leggendario, quasi fiabesco, sul ruolo di Giuseppe nel salvaguardare la verginità di Maria (per questo nasce la tradizione di un uomo anziano e vedovo e con figli della prima moglie) e poi nel prendersi cura di Gesù nella fuga in Egitto e nella sua infanzia e adolescenza in cui a volte deve riprendere il bambino per le sue marachelle e per essere stato discolo a scuola! Commoventi sono le scene in cui insegna a Gesù la sua arte di falegname e la sua morte con la sposa e il suo figlio al capezzale. Proprio per questo nella tradizione Giuseppe sarà invocato non solo come patrono dei falegnami e di tutti i lavoratori, ma anche come il patrono della buona morte.

Nella chiese antiche la memoria di Giuseppe è sempre legata al mistero dell’Incarnazione per cui la sua festa è prevista sempre nel periodo del  Natale (così ancora oggi il  rito mozarabico, gallicano, ambrosiano, armeno, siriano, maronita e bizantino), mentre il rito romano fissò la sua festa il 19 marzo forse per cristianizzare la festa romana degli opifices, cioè dei lavoratori (le successive feste di questo rito quali il patrocinio o del suo sposalizio con Maria sono state ridotte di grado, restando come obbligatoria la memoria di San Giuseppe Patrono dei lavoratori anche questa voluta per cristianizzare la festa del lavoro del Primo Maggio). Diversamente copti, etiopici ed armeni legano la sua festa alla data della sua morte secondo gli apocrifi avvenuta o l’undici luglio o il due agosto o il ventisette ottobre.

La devozione moderna al Santo ha un primo momento di diffusione nel medioevo e poi di grande espansione a partire dal 1500 grazie anche agli ordini monastici, specie ai carmelitani. Negli ultimi due secoli il suo culto è stato patrocinato dalla stessa gerarchia ecclesiastica e diffuso in tutta la chiesa.

In Sicilia e nel meridione la figura di Giuseppe è legata soprattutto all’idea della Provvidenza e per questo in tante città isolane sono diffuse le “Cene” o le “tavolate” di San Giuseppe fatte in favore dei poveri e dei diseredati.

La data della festa il 19 marzo, vicina all’equinozio di primavera, ha collegato anche all’idea della fuga in Egitto come fuga dal male e quindi vittoria del  bene il rinnovamento della natura primaverile simboleggiato dai grandi falò della vigilia di sapore appunto apotropaico diffusi un po’ in tutta Italia e di cui la tradizione dei “pagghiara” a Scicli e della cavalcata è una testimonianza.

La festa di San Giuseppe perciò oggi è un valido esempio non solo di come i  valori biblici possono essere vissuti nella quotidianità della vita e nel silenzio operoso e umile, ma anche di come questi valori vissuti  possono permeare la cultura e la tradizione di un popolo finanche a contribuire, come nel caso di Scicli, a delineare con le sue tradizioni parte dell’identità cittadina.

venerdì 11 aprile 2014

SUL DIGIUNO

Sul digiuno 1. Il digiuno cristiano J. Gnilka, paideia, il vangelo di Matteo , p. 496: <> Giovanni Cassiano, Conferenze, 21, 14-15: <> A cosa ci educa in specifico? Alla moderazione. Scrive Evagrio monaco (Filocalia I, 105) : << Sappi digiunare secondo le forze davanti al Signore: il digiuno purificherà le tue iniquità e i tuoi peccati; esso dà dignità all'anima, santifica il sentimento, allontana i demoni, avvicina a Dio. Se hai mangiato una volta durante la giornata, non desiderare di mangiare di nuovo… >> E con più incisività Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … il digiuno comporta in sé un certo vanto, ma non presso Dio; infatti è solo uno strumento che indirizza per così dire, alla temperanza coloro che lo vogliono. Dunque i lottatori della pietà non devono insuperbire per esso ma solamente attendere con fede in Dio il termine del nostro scopo>>. E la moderazione aiuta la continenza Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … Quando il nostro intelletto nuota nell'onda del molto bere, non solo si ferma ad osservare con passione le immagini che i demoni gli raffigurano nel sonno, ma plasmando anche in esso alcuni bei volti, usa delle proprie fantasie come di donne da amare con ardore. Infatti, infiammandosi gli organi dell'unione, per il fervore del vino, è assolutamente inevitabile che l'intelletto offra a se stesso l'ombra gioiosa della passione. Dunque, bisogna che fuggiamo il danno dell'eccesso usando la moderazione, perché l'intelletto, quando non ha il piacere che lo trascina giù verso la raffigurazione del peccato, permane tutto privo di fantasia e, quel che è meglio, non effeminato. Tutte le bevande artefatte - che gli autori di questa invenzione chiamano aperitivi perché, come sembra guidano al ventre l'insieme dei cibi - non devono prenderle coloro che vogliono castigare le parti del corpo che si gonfiano. Infatti non solo la loro qualità è dannosa ai corpi dei lottatori, ma anche la stessa mistura sofisticata ferisce troppo la coscienza timorosa di Dio. Infatti che cos'è che manca alla natura del vino perché il suo vigore debba essere effeminato da la mescolanza di odori variati? Non solo castità! Basilio il grande, Lettera 361, al monaco Urbicio: <>. Non si tratta della bontà del cibo in sé o meno L’antica distinzione tra cibi puri e impuri è superata: Agostino, Lettera a Gennaro:<< Alcuni fratelli si astengono dal mangiare le carni, ritenendole immonde; ciò è evidentemente contrario alla fede e alla retta dottrina … L’apostolo parla di queste cose … “tutto è puro per i puri” … non devono perciò rifiutare di astenersi dal mangiare alcuni cibi per tenere a freno la concupiscenza carnale sotto il pretesto che non è loro permesso di agire nel modo superstizioso e proprio degli infedeli>>. semmai si tratta di un ritorno alla stato “genesiaco”: dice Evagrio monaco (Filocalia I, 105) <> E anche Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) <>. Non per rifiutare la corporeità si digiuna Agostino, la dottrina cristiana, 1:<>. C’è chi lo fa non per rifiuto del corpo ma per estinguere i piaceri che usano male del corpo; c’è invece chi fa guerra al corpo quasi fosse un nemico naturale: questi comprendono falsamente quando leggono che lo spirito e la carne hanno desideri opposti. Nessuno deve odiare il proprio corpo ma i desideri cattivi della propria carne! Come digiunare : la regola è la libertà e la coscienza dei propri limiti Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, 138: <> Cassiano il Romano (filocalia I, 129): <<… diremo ciò che abbiamo ricevuto dai padri. Essi non avevano un'unica regola per il digiuno, né un unico modo per prendere cibo e neppure ci hanno trasmesso l'indicazione di un'unica misura: perché non tutti hanno l a stessa forza, vuoi per età o per malattia, vuoi per una costituzione fisica particolarmente delicata… un certo digiuno quotidiano è stato giudicato più vantaggioso e più atto a condurre alla purezza di quanto non sia un digiuno protratto per tre quattro giorni o anche per una settimana… infatti il digiuno protratto senza misura spesso poi è seguito da eccesso nel prendere il cibo… la regola di continenza e la norma esatta trasmessaci dai padri è questa: che chi prende un qualsiasi cibo si arresti quando ancora ha appetito senza aspettare di giungere alla sazietà. … Inoltre per la perfetta purezza dell'anima non vale certo l'astenersi nei cibi soltanto, se non vi concorrono anche le altre virtù. Perciò molto giova l'umiltà mediante l'ubbidienza del lavoro e la fatica del corpo, come pure giova il tenersi lontani dall'amore per il denaro, che non vuol dire solo il non aver denaro ma anche il non essere bramosi di possederne… l'astenersi dalla collera, dalla tristezza, dalla vanagloria, dalla superbia. Non basta infatti il solo digiuno del corpo per acquisire la perfetta temperanza e la vera castità se non vi è anche la contrizione del cuore, perseverante preghiera a Dio, assidua meditazione delle scritture, dura fatica e lavoro manuale… ma più di tutto giova l'umiltà dell'anima…>> Niceta Stethatos << Le malattie vengono spesso ai più, in seguito ad una dieta irregolare e non equa, propria di uno zelante teso a una estrema astinenza dai cibi e alle fatiche delle virtù senza misura e discernimento>> (Filocalia III, 419) san Massimo il Confessore: << Non mettere tutto il tuo studio in ciò che riguarda la carne, ma fissale un'ascesi secondo le tue possibilità e volgi il tuo intelletto alle cose interiori. Infatti l'esercizio del corpo è utile a poco, ma la pietà è utile a tutto>> (Filocalia, IV, 204) San Massimo il Confessore: << Se uno digiuna, sta lontano da un regime di vita che ecciti le passioni e fa quant'altro può contribuire alla liberazione dal male, costui ha preparato la via che abbiamo detto [al Signore]. Ma se ha coltivato queste cose per vanagloria o per cupidigia o adulazione o per qualche altro motivo che non sia il divino compiacimento, costui ha "fatto retti i sentieri di Dio". Ha sopportato la fatica di "preparare la strada" ma non ha Dio che cammina nei suoi sentieri.>> (Filocalia 2) Al di sopra di tutto la carità Evagrio monaco (Filocalia I, 105) <> Diadoco di Fotica (Filocalia, I, 365) … quando la vanagloria si accende con forza contro di noi, cogliendo a pretesto della propria malizia l'arrivo di alcuni fratelli o di un ospite qualunque, allora è bene concedere una moderata tregua alla dieta consueta. Infatti rimanderemo il demonio con niente di fatto e, ancor di più in lutto, riguardo al suo tentativo; e compiremo con approvazione la legge divina della carità e custodiremo non svelato il segreto della continenza, attraverso la condiscendenza. Attenti a non nutrire l’orgoglio Girolamo, lettere 1, 22, 37: <> Agli antipodi dell’orgoglio: l’umiltà Giovanni Climaco: << non ho digiunato, non ho vegliato, non ho dormito per terra, ma mi sono umiliato: e in poco tempo il Signore mi ha salvato>> (Filocalia, IV, 206) Un digiuno non ipocrita: Basilio il Grande, Omelia sul digiuno 1: <> Il vero digiuno Il discorso sull’umiltà ci apre la strada verso una considerazione più generale: che il digiuno vero è quello dal peccato e dall’ingiustizia: non c’è un padre che non leghi il discorso sul vero digiuno alla reprimenda di Isaia “questo è il digiuno che io voglio…. Giovanni Cassiano, Conferenze: <>. Attenti a non fare del digiuno un idolo Macario l’egiziano, testamento ai figli spirituali, Bose, 24<>. La concretezza del digiuno Erma, Il pastore, Allegoria V: <>. Per un digiuno spirituale Basilio il grande, Omelia sul digiuno,1: <>. 2. Il digiuno quaresimale: la vera penitenza e la novità di vita Il brano appena citato di Basilio ci permette di passare così al secondo livello del digiuno: quello quaresimale. La liturgia, il mercoledì delle ceneri, ci presenta i tre pilastri della ascesi della Quaresima: preghiera personale, digiuno, elemosina. Sembrerebbe dunque che questi tre elementi abbiano in sé, ed esprimano, la dimensione penitenziale della sola quaresima. Però di per se abbiamo visto come la tradizione ecclesiale non qualifica questi tre pilastri solo come quaresimali ma come dimensioni essenziali (seppure in rapporto gerarchico e dialogico con altre dimensioni) della vita cristiana e dunque non solo del tempo quaresimale. Qual è allora lo specifico del digiuno quaresimale? Anzitutto c’è un richiamo tipologico alla quarantena di Gesù nel deserto. Ma attenti: anche questa ripresa tipologica non è pacifica. Ad esempio, copti, armeni, siri e altre liturgie conservano memoria di una quaresima di Gesù computata subito dopo il Battesimo, così come cronologicamente è collocata in tutti i vangeli, distinta ad esempio da un periodo penitenziale detto di Ninive o di Giona che apre il cammino verso la Pasqua (gioca qui il segno di Giona!). Ancora al tempo di Agostino e Girolamo questa era una quaestio disputata! Sant’Agostino, omelia 207 sulla quaresima: <> San Tommaso D’Aquino, glossa aurea sopra i vangeli <> 3. Il digiuno dello sposo tolto e i figli della camera nuziale E siamo finalmente al terzo livello. P. 493 Forse un richiamo al digiuno del venerdì santo. ... Non sono contrapposti digiuno e non digiuno ma due diversi intendimenti , forse anche tempi diversi di digiuno. Finalità giudaiche erano umiliazione di fronte a Dio espiazione e preghiera. La novità del digiuno cristiano e in pratica il suo riferimento alla croce. ... Il vino nuovo è il simbolo del tempo di salvezza. Qui si vede come il digiuno pasquale ha una radice diversa. Come poi ad esempio non si avverte più la differenza tipologica del digiuno del Venerdì santo, che a detta degli studiosi, sembra essere il più antico e tipicamente cristiano: è il digiuno dello "sposo tolto". E' da qui che poi diversi padri prenderanno avvio per la loro riflessione sul digiuno, anche perché è da qui che emerge la radicale diversità, nel contrasto con i discepoli di Giovanni, tra digiuno cristiano e altri tipi di digiuno. Agostino: <<… su questo doppio tipo di digiuno il Signore rispose a quanti gli chiedevano perché i suoi discepoli non digiunassero. In rapporto al primo, quello che riguarda l’umiliazione dell’anima, il –Signore disse: gli amici dello sposo non possono piangere [ matteo parla di pianto invece di digiuno] fintanto che lo sposo è con loro, ma viene l’ora quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. In rapporto poi all’altro che riguarda il nutrimento della mente, a ragione si espresse così: nessuno cuce un panno nuovo su un vestito vecchio … E dunque, dal momento che lo sposo già fu tolto a noi non ci resta che piangere quello sposo bello. … Alcune considerazioni finali A ben considerare le cose, la prima cosa che dovremmo dunque dire è che la dimensione penitenziale della vita cristiana non è riservata solo alla quaresima ma abbraccia tutto l'arco dell'anno liturgico e l'intera esistenza del credente. Purtroppo oggi questo non è più un dato rilevabile dalla prassi ecclesiale, perché a mio parere questa dimensione ascetica non è più avvertita dal popolo di Dio, o meglio dalla maggior parte del mondo cattolico e protestante: sia perché il protestantesimo, con la disistima delle opere (anche se poi riprese in un certo atteggiamento pietista) non ha prodotto una riflessione ulteriore sulla dimensione penitenziale della Chiesa, sia perché il cattolicesimo, nella sua smania di adattarsi e di rendersi comprensibile al mondo, specie dopo il Vaticano II, ha finito per generare una operazione postconciliare, che forse, come le altre cose, era buona negli intenti, ma che di fatto ha generato una perdita della dimensione penitenziale nella Chiesa cattolica. In verità non dobbiamo sempre dare tutte le colpe dell'incomprensione ai nostri fedeli e alla secolarizzazione, quanto ad un ingenuo ottimismo che a mio modesto parere non ha niente a che fare con l'attenzione pastorale che si nutre invece di sano realismo! Specie quando le riforme nella Chiesa sono fatte da professori e burocrati che non hanno mai avuto un contatto pastorale con la gente! Di fatti, la riduzione dei giorni di penitenza fatta da Paolo VI, che volle -disse - adeguare la prassi penitenziale alle rinnovate esigenze contemporanee: aprendo però una maglia pericolosa nel lasciare tutto nell'ambito indistinto delle scelte personali con la commutazione ad esempio del digiuno e dell'astinenza con un'opera di bene, mettendo pericolosamente in rivalità le due cose che per millenni erano andate sempre insieme, cioè il digiuno e l'astinenza da un lato con l'elemosina e le altre opere di bene dall'altro. Un conto però è mettere in guardia dall'ipocrisia, un conto è immettere un principio soggettivista di origine - diciamolo pure - protestante nell'impianto tradizionale della Chiesa. Per comprendere ciò, basti pensare alla riduzione attuale della Quaresima ad una sorta di Ramadan cristiano, nel senso che ormai è nel comune sentire di tanti cristiani che il solo periodo penitenziale della Chiesa è la quaresima, e che poi questa stessa santa quarantena si sia ridotta di fatto ai soli venerdì quaresimali con l'astinenza dalla carne e il digiuno si sia ridotto solo alle ceneri e al venerdì santo intesi, come inizio e fine della quaresima. Che poi in concreto questi venerdì siano osservati ho i miei dubbi, data la stessa incomprensione della motivazione di fondo che soggiace alla astinenza dalla carne. Faccio un esempio per capire: conosciamo tutti il ritornello sulla carne, il suo costo e quello del pesce, - come dicono i fedeli - e allora meglio mangiare carne, o fare un'altra penitenza che poi in verità non viene fatta! C'è in ciò una totale distonia tra la liturgia della chiesa e la prassi dei cristiani che non comprende più la stessa dimensione penitenziale e ascetica non solo della quaresima ma di tutta la vita cristiana. A mio avviso occorre dunque non tanto ribadire la norma isolata sul digiuno o sull'astinenza quaresimali, quanto operare il recupero della dimensione penitenziale e ascetica della vita cristiana. E questo a partire dall'insegnamento dei Padri e della prassi tradizionale bimillenaria della chiesa cattolica, e anche dal confronto con l'esperienza mantenuta inalterata della prassi penitenziale delle chiese d'oriente. Per finire: Annuncio Pasquale (catechesi attribuita a san Giovanni Crisostomo) nel rito bizantino: <>

martedì 8 aprile 2014

dove esporre il crocifisso?


Adesso che la bufera si è un po’ calmata, vorrei riflettere su quel trambusto che la sentenza sul crocefisso appeso nelle aule pubbliche ha provocato.  Anzitutto voglio esprimere il mio convincimento che si tratti di una ennesima “querelle” “all’italiana”, cioè con quella capacità tutta nostra di sapere mettere insieme problemi di ordine diverso e di creare un pastrocchio in cui tutti simultaneamente hanno ragione e non si capisce più dove stia il bandolo della matassa.

Perché in questo caso abbiamo contemporaneamente il problema della laicità dello Stato, con la questione connessa del rapporto di questo Stato con la religione cristiana e la confessione cattolica in particolare, in un secondo momento abbiamo poi i rapporti che uno Stato laico deve intrattenere con tutte le organizzazioni religiose, e poi il problema attuale dell’immigrazione dal mondo islamico che ha riaperto la questione tra civiltà islamica e civiltà cristiana (si badi bene che qui parlo di civiltà e non di religione) connesso a tutta la dialettica interna al mondo islamico di un difficile rapporto con la modernità che gli appartenenti a questo mondo si trovano a vivere.  Perciò non si può fare di tutta l’erba un fascio  e ogni problema deve essere doverosamente studiato a parte. Premetto dunque che almeno per il momento non voglio entrare nel problema del rapporto col mondo musulmano perché, se me ne viene data occasione, vorrei trattarlo in separata sede. Qui voglio fermarmi alla sentenza con cui un giudice ha creduto di garantire da un lato la laicità dello stato e dall’altro ad un musulmano la libertà della sua espressione di fede, volendo proteggere entrambi da ogni tentativo di ingerenze confessionali.

Diamo per buone le sue intenzioni di fondo, anche se in realtà non supportate da una altrettanta tecnica giuridica all’altezza del problema: anche i più sprovveduti di diritto sanno che quella del 1983 non è stata la stipula di un nuovo concordato tra la S. Sede ma solo la revisione di alcuni punti particolari dell’unico concordato che rimane in vigore con la   Repubblica italiana. Fra l’altro i Patti Lateranensi appartengono all’ambito del diritto internazionale e come ogni patto fra Stati sovrani, non rientrano nella disponibilità giurisdizionale dei singoli giudici per ovvie ragioni, per cui mi chiedo come un giudice può giudicare sulla validità di questi e delle leggi e regolamenti attuativi di questi patti. Finchè un patto non viene impugnato da una delle due parti questo rimane in vigore per il principio del “pacta servanda sunt” . Inoltre tutti sanno che i Patti Lateranensi sono stati recepiti nella nostra Carta costituzionale e noi sappiamo quanto siano intangibili i principi costituzionali. Al massimo perciò il nostro caro giudice poteva proporre una eccezione di incostituzionalità a chi di dovere…invece… Invece ha emanato una sentenza in cui riflessioni pseudo giuridiche si intrecciano a meri girotondi di lingua intessuti  di un generico sociologismo.

Ma non voglio entrare nel merito della sentenza quanto fermarmi alle intenzioni del giudice, dando per scontato che, come dicevo prima, fossero pure buone intenzioni.

Si, è giusto che uno Stato moderno e laico non faccia proprie le insegne e i simboli di qualsivoglia confessione religiosa e/o comunque di qualsiasi organizzazione filosofica o ideologica perché significherebbe in un certo senso essere di parte, lo si voglia o meno.

Io mi chiedo però se questa azione di preservazione della laicità dello Stato sia fattibile nel modo in cui il nostro giudice l’ha intesa oppure se sono praticabili altre vie.

E’ un problema annoso questo, in cui il nostro giudice si trova nella (buona?) compagnia di tutti gli anticlericali d.o.c. che hanno paura finanche ad accogliere il Capo di Stato del Vaticano nel parlamento italiano: imperterriti nell’ancoramento al loro statalismo ottocentesco. Per tutti questi la soluzione consiste nel togliere i simboli, ma di simboli cristiani è costellata tutta la nostra bellitalia: allora che ce ne facciamo dei presepi allestiti nelle aule scolastiche e negli ospedali, di quadri a soggetto cristiano nei pubblici musei, delle facciate delle chiese con le loro croci che spiccano sulle pubbliche piazze, dei nomi dei santi dati alle pubbliche vie? E poi ci pensate che uno Stato laico come il nostro mantiene ancora un calendario scandito dalle domeniche e dalle festività cristiane? E allora che facciamo, togliamo tutto?

Però poi per doveroso atto di giustizia, già che ci siamo dovranno essere emanati decreti per eliminare anche gli altri simboli che potrebbero arrecare danno alla serenità dei cittadini: se va via la croce devono scomparire pure le mezzelune islamiche e le stelle di    David, ma anche quanto ancora sa di residuo di paganesimo (come la mettiamo con uno stato laico che utilizza immagini pagane?). Perciò via dalle farmacie quel brutto bastone coi serpenti (Freud avrebbe da dire qualcosa in proposito) e via dalle aule dei tribunali quella dea bendata che tiene in mano la bilancia, via dalle pubbliche piazze anche gli obelischi egiziani e tutto quanto ancora ci riporta ai   tempi oscuri in cui l’uomo era vittima delle superstizioni!

E già che ci siamo, sempre per il principio di uguaglianza davanti allo Stato, perché non fare pure qualcosa per cambiare lo stemma della Repubblica Italiana? Poiché i cristiani si potrebbero sentire offesi e in un certo senso intimiditi da quella persecuzione occulta che il mondo massonico e anticlericale porta avanti ogni volta che sventola una bandiera con lo stemma della nostra Repubblica: lo sanno tutti che la stella a cinque punte è un simbolo massonico. E perché io me lo debbo ritrovare in tutte le carte bollate, nei francobolli, nelle pagelle e in tutti i documenti? E se nello Stato laico la Massoneria come associazione segreta è proibita, perché poi lo Stesso governo ne ha assunto i simboli? Pensate anche alle stellette dei nostri soldati e alle stelle che trionfano sul marciapiede di Montecitorio!

E allora che facciamo, leviamo? Leviamo,  per riportare il nostro Stato alla laica purezza delle origini?

Solo che arrivati a questo punto mi viene fortemente un dubbio: ma siamo proprio sicuri di preservare così la laicità dello Stato? Ma cosa sarà poi  mai questa laica purezza delle origini? Qualcuno dice che lo stato moderno è nato con la Rivoluzione francese, ma  confesso che io proprio di questo ho paura e ne spiego il motivo.

Chi certo   ha studiato più di me  ricorderà come anche gli illuministi incominciarono col levare: levarono prima i crocefissi e poi le statue dalle chiese e poi le stesse chiese e poi per sicurezza tagliarono la testa ai preti e ai cristiani, levarono il calendario e lo sostituirono con un altro in cui non c’era né venerdi perché islamico, né sabato perché ebraico, né domenica perché cristiana, e non c’erano settimane ma decadi…e poi levarono anni alla storia e secoli e millenni e finì che qualcuno pensò che la storia stesse incominciando con loro. E levarono le feste e levarono… tutto! Ecco, confesso che di  questo leva leva ho paura: e se poi rimaniamo nudi, senza niente?

Ripeto: si è proprio sicuri che la soluzione sia nel levare?

Qualche tempo   fa, si dice, un signore stanco delle umiliazioni che provava nel dover esibire ogni volta il proprio certificato di  nascita dove purtroppo la vita gli aveva negato la gioia di poter trascrivere il nome della madre, se ne lamentò con qualcuno in alto: e così, poiché in uno stato laico e fondato sull’uguaglianza di tutti i cittadini non ci può essere diversità, fu stabilito  che nei certificati non si annotassero più la paternità e la maternità dei cittadini. Diventammo pertanto tutti figli di NN!!!

Ora io ho proprio paura che se noi cominciamo col togliere ora questo e ora quello, va a finire che culturalmente tutta la nostra civiltà diventerà figlia di “m.ignota”, come si scriveva un tempo.

Perché il problema non è religioso, dice il falso chi afferma che il problema sia la religione: e mente sapendo di mentire perché sono certo che a qualcuno una nuova bella guerra di religione (magari per stornare l’attenzione dai problemi veri) farebbe comodo e piacere!

No, il problema non è religioso, è di cultura e di civiltà.

Cosa è la civiltà se non il sedimentarsi lungo il corso dei secoli di ideali, principi, valori, credenze religiose, sentimenti di appartenenza ad una cultura peculiare, nel cuore dei popoli: e l’uguaglianza tra culture e civiltà non si fa mai negandone la diversità, negandone le radici e i frutti. Ora, lo si voglia o meno, è innegabile che la civiltà europea è impregnata di cristianesimo come è impregnata del pensiero classico greco e del pensiero giuridico romano. Io oggi potrò credere o non credere nel Dio di ebrei e cristiani, ma non posso negare che nel mio patrimonio genetico scorra pure quella linfa. Negarlo significa essere come un figlio che nega la propria maternità e paternità: ma non perché io abbia rifiutato i miei    genitori,  questi finiscono di essere tali!

L’Occidente oggi, e l’Europa in particolare, soffre proprio a partire dall’Illuminismo del tipico complesso adolescenziale del disconoscimento delle proprie origini, credendo che solo un tale misconoscimento possa portare alla piena maturità: cosa è infatti se non questo il rifiuto di scrivere nella Carta costituzionale europea che noi siamo figli anche della matrice giudeocristiana? Imbroglia le carte chi dice che si vuole imporre Dio nella costituzione come chi dice che il crocifisso nelle aule è un’imposizione. No, qui non si tratta di imporre una fede, si tratta di riconoscere che, per cultura e civiltà noi europei “non possiamo non dirci cristiani”. E questo lo chiedono non solo il Papa, ma tutte le confessioni cristiane insieme (cioè per chi ancora non vuol capire cattolici, luterani, anglicani e quanti ancora si sentono legati insieme dal cristianesimo per un motivo o per un altro).

Nessuno vuole imporre niente all’altro, si tratta solo di capire che uguaglianza non significa uniformità, che laicità non significa monolitismo nudo e vuoto ma un pluralismo che arricchisce tutti  nella diversità. E promuovere il pluralismo non significa togliere, eliminare, ma semmai comporre, aggiungere, operare sintesi ad un livello più alto.

L’esporre allora un crocefisso in pubblico non sarà mai e poi mai l’espressione della volontà di imporre la mia fede ad un altro, quanto il riconoscere che la mia civiltà è figlia anche di questa esperienza. E che, diciamolo chiaro, se io rimuovo le tracce di questa esperienza, tante espressioni di cultura della mia civiltà mi diventeranno non intelligibili, dall’arte alla letteratura, ma la stessa scienza e la stessa storia.

E poi lo sappiamo, quando qualcosa diventa simbolo, in un certo senso già trascende il contesto stesso in cui è nato per assurgere ad un significato universale: anche in questo senso, paradossalmente la dimensione simbolica del crocefisso per la nostra civiltà è stata sottolineata più da pensatori laici che cristiani.

E allora? Credo che ci voglia una coraggiosa apertura del laicismo nostrano a saper integrare anche il crocifisso come tutti gli altri simboli che parlano all’uomo e dell’uomo e della sua dignità nel vivere e nel morire e nel soffrire per un alto ideale e per i valori dello spirito.

Ho scritto “integrare anche” perché questa per me è la via: perché invece quel giudice non faceva un’altra proposta, quella di esporre insieme al crocifisso anche i simboli delle altre credenze religiose dei bambini di quella classe o comunque di quelle ormai presenti nella nostra società? Io da cristiano non mi sarei scandalizzato nel vedere accanto alla croce la Stella di David o la Menorah ebraica insieme alla invocazione dei 99 nomi dell’unico Dio. Così avrebbe dato un esempio di una integrazione fra popoli e culture in cui chi accoglie ma anche chi viene accolto impara a conoscere e riconoscere e rispettare l’altro nella sua interezza.  E avrebbe insegnato a riconoscere i veri dai falsi problemi!

andiamo a Lourdes

Pellegrini verso… LOURDES DAL 23 AL 26 GIUGNO 2014 Programma Lunedì: Catania – Lourdes Raduno dei Sigg. partecipanti all’aeroporto “Fontanarossa” di Catania. Disbrigo delle formalità d'imbarco e partenza per Lourdes con volo speciale ITC. Arrivo, trasferimento in hotel e sistemazione nelle camere riservate. Pranzo. S. Messa d’apertura del pellegrinaggio, Via Crucis. Di seguito recita del Santo Rosario alla Grotta. Dopo cena partecipazione alla fiaccolata. Martedì: Lourdes Pensione completa in hotel. Mattinata dedicata alla S. Messa nella Grotta delle Apparizioni, foto di Gruppo e visita dei luoghi di S. Bernardette. Nel pomeriggio possibilità di accostarsi alla Cappella delle Confessioni e alle Piscine. Processione Eucaristica. Video illustrativo di Lourdes in una delle sale del Santuario. Dopo cena partecipazione alla fiaccolata. Mercoledì: Lourdes Pensione completa in hotel. Mattinata dedicata alla S. Messa Internazionale. Pomeriggio libero con possibilità di effettuare escursioni facoltative (a pagamento): Grotte di Betharram, Ponte di Spagna, Gavarnie, etc... Dopo cena partecipazione alla fiaccolata. Giovedì: Lourdes – Catania Prima colazione in hotel. Celebrazione della S. Messa conclusiva del Pellegrinaggio e trasferimento in aeroporto, disbrigo delle formalità d'imbarco, e partenza per Catania con volo speciale ITC. Arrivo e fine dei ns. servizi. La quota comprende: • Trasporto aereo con voli speciali ITC Catania/Lourdes e viceversa; • Trasferimenti da e per l'aeroporto di Lourdes; • Sistemazione in hotel 4 stelle in camere doppie; • Trattamento di pensione completa come da programma; • Assistenza tecnico-religiosa; • Assicurazione Europ Assistance medica con franchigia € 35,00 e bagaglio; La quota non comprende: • Bevande ai pasti, mance, facchinaggi, escursioni facoltative ed extra di carattere personale; • Costi di trasporto da e per centri medici e strutture di ricovero; • Quanto non espressamente menzionato alla voce “la quota comprende”. Avvertenze: • Gli orari dei voli potrebbero subire variazioni; • Il programma giornaliero dettagliato (es.: orario funzioni religiose, visite, ecc…) sarà riconfermato dall’assistente tecnico in loco; • E’ necessario inoltre essere in possesso della carta d’identità valida per l’espatrio. • Si precisa che in tutti i nostri tour potrebbero essere celebrate delle Sante Messe. Per informazioni rivolgersi a: Padre La China Ignazio Cell. 349 3539515

martedì 1 aprile 2014

Presbiterato: vocazione al servizio ecclesiale

Can. 1025 § 2: che il candidato risulti utile per il ministero della Chiesa

QDE: “si riafferma un principio fondamentale del sacramento dell’ordine: esso non è conferito primariamente per la santificazione personale del singolo, ma per il servizio alla Chiesa.”

ð  rectius: della Chiesa.

ð  ON 14 “il presbiterato è quindi per il ministero ecclesiale e non per una dignità personale”

Il prius ontologico: la Chiesa e il servizio che essa deve rendere al mondo.

Prima del presbiterato c’è la Chiesa: cfr. LG 1: il sacramento (segno e strumento) della salvezza di Cristo per tutto il genere umano.

Cristo unico salvatore del genere umano => Chiesa, suo Corpo, sacramento di salvezza.

La via della salvezza è una via sacramentale: è la rivelazione dell’unica e grande Liturgia divina:

Liturgia = servizio per il popolo: Dio vuole far attingere tutti alle sorgenti del suo amore

per il suo popolo il Padre manda il Figlio

per il suo popolo il Figlio dà la vita ed effonde lo Spirito

per gli uomini ancora oggi tramite la Chiesa e per mezzo dei sacramenti è aperta a tutti gli uomini la possibilità di attingere con gioia alle sorgenti della salvezza.

Salus animarum suprema lex: il sacramento dell’ordine = “ordinatio ad”

ð  la Chiesa ministra di salvezza

ð  i presbiteri: ministri della Chiesa ministra

ð  amministratori della salvezza di Cristo, nella Chiesa.

ð  Amministriamo beni non nostri:

            indisponibilità sui beni

            responsabilità

ð  Cfr. JEAN CORBON, Liturgia alla sorgente, p. 154+155

Dimensione cristologico-ecclesiale del presbiterato:

“in persona Christi” / “ad ministerium Ecclesiae”: due aspetti inscindibili

ð  Conformazione a Cristo: l’ amoris officium

ð  Dimensione ecclesiale del ministero del presbiterato: al di là di ogni individualismo e particolarismo.

ð  Vocazione al presbiterato: chiamata di Cristo nella Chiesa

ð  Cfr. la richiesta di ordinazione fatta a nome della Chiesa (Rito Ord.): “la Santa Madre Chiesa chiede…” (vedi invece la professione dei consigli evangelici che parte dalla richiesta personale del candidato).

ð  Non si tratta di compiere un cammino di ascesi/vocazione personale in cui il presbiterato è un aspetto della spiritualità personale, quanto di riconoscere una chiamata ad un servizio vero e proprio nella Chiesa e a nome della Chiesa (e quindi in nome di Cristo), in cui doni e carismi sono finalizzati al ministero: per questo mentre la Chiesa è pronta sempre a riconoscere ad ogni battezzato la possibilità di vivere una forma di vita spirituale propria, sente il bisogno di indicare criteri cogenti per il riconoscimento della vocazione sacerdotale.

ð  Basta sognare di voler diventare preti per essere preti?

ð  La chiesa deve dire sempre di si a chi afferma di avere la vocazione al presbiterato?

ð  Cfr. la Chiesa ha chiamato chi magari non riconosceva in se alcuni segni: vedi Agostino, Ambrogio…

ð  E la santificazione personale? Il dovere e i mezzi sono uguali per tutti: “con voi sono cristiano…”. (in questa dimensione il prete deve avere una vita sacramentale come ogni battezzato).

ð  Ma allora il quid del presbitero dov’è? E’ nel “pro vobis”: “per voi sono presbitero”

ð  E’ il pro vobis di Cristo (perché configurati a Cristo)

ð  E’ il pro vobis della Chiesa (perché ministri della Chiesa)

ð  “per loro consacro me stesso”: ci santifichiamo aiutando gli altri ad essere santi, ci sacrifichiamo perché ognuno possa offrire se stesso come sacrificio a Dio (cfr. Rm 12)

ð  La santificazione del presbitero si attua attraverso l’esercizio del ministero

Il sacerdozio non è mai un dono pro me.

Il sacerdozio non è mai arpagmon - frutto di rapina

Pur essendo in me, nelle mie mani: “tu sei la possibilità di una fonte dove essi hanno il diritto di dissetarsi dalle loro fatiche.” (David Maria Turoldo).

E’ qualcosa da condividere, da mettere a disposizione

ð  PASSIONE PER CRISTO

ð  PASSIONE PER LA CHIESA

Contro ogni illusione di realizzazione/autorealizzazione (gli autoerotismi cerebrali!!!) personale:

il presbiterato non è la coronazione di un mio sogno, quanto la consapevolezza di essere chiamati a condividere il sogno di Dio: la salvezza dell’uomo.

Innamorati di Gesù: si = “tu lo sai che ti voglio bene”

Ma la richiesta di amore non è per un ripiegamento affettivo tra i due amanti: “se mi ami, pasci le mie pecorelle”: è per il ministero, per la Chiesa.

Cfr. Presbyteri 2/2007 p. 152

In persona Christi


Verbum caro factum est: la legge dell’incarnazione

L’umanità: la nostra carne

“homo sum nihil humani alienum a me puto”

Maturità umana: equilibrati perché consapevoli dei nostri squilibri

Uomo tra gli uomini:

l’attenzione al destinatario

la cultura

ritornare a pensare: cfr. Presbyteri 7/2007 p. 488

maturità intellettuale e serietà dello studio

la fecondità della Parola: verbis gestisque.

Secondo il cuore di Cristo:

venite a me…

“Cumannari è miegghju ri futtiri”: la tentazione e le tentazioni


Il potere:

non spadroneggiate sul gregge

C’è una “spiritualità” del presbitero?


Cfr. Presbyteri 2/2007 p. 152:

1. la Chiesa locale: la Chiesa che serviamo


ð  imprescindibile la diocesanità come matrice dell’essere in Cristo

ð  la rincorsa di altre spiritualità non è un segno positivo (cfr. Presbyteri 2/2004 p. 125)

ð  no al contenitore vuoto da riempire a piacere (presbiteri 2/2002 157)

2. Il vescovo: “Noi presbiteri…”:


3. Il collegio dei presbiteri: il corpo del vescovo (sic!)


Il servizio collegiale => per uscire dal protagonismo individualista => L’obbedienza al presbiterio

Lavarsi i piedi gli uni gli altri

No alle fughe isolate… camminare col passo del più lento

4. La fraternità sacerdotale: non è bene che il prete sia solo


Presbiteri 2/2002 p. 133

5. l’inveramento della comunione: dall’ecclesiologia eucaristica ad una chiesa eucaristica


Preti, ossia dell’Eucaristia


1. per la realizzazione del Corpo di Cristo


“conficere sacramentum”


Edificare la chiesa


Realizzare la communio


2. Vivere il mistero posto nelle nostre mani


“vivi ciò che celebri”

3. vita eucaristica


L’eucaristia come forma del sacerdozio

Per una integrazione

La traditio sacerdotale: un prete è sempre figlio di … un prete!


DON LORENZO MILANI

Lettere, p. 46-47; 112-113-114 +133

DON PRIMO MAZZOLARI

Lettera sulla parrocchia p. 84+85, 94+95, 102

GIACOMO BIFFI

Le cose di lassù: innamorati del Christus totus (Cristo e il suo corpo, la Chiesa)

BERNANOS, Diario di un curato di campagna , p. 38 + 269+272+274

BERNANOS, L’impostura 78+81+82+84

GRAHAM GREEN, Il potere e la gloria 274+275+276+277…282+285…290+303+305

NOVOSELOV, Lettere agli amici, p. 32: il rinnovamento?

PARAZZOLI, per queste strade familiari e feroci (risorgerò) 40+41+44: li perdiamo, l’essenziale per un giovane prete 65

Non scandalizzarti della tua debolezza 89

Il sesso dei preti 134 + 159

L’imitazione di Cristo ? 247-248

IO ACCUSO…

Tra epidemia e calura estiva è passato sotto silenzio un importante responso della Congregazione della Dottrina della fede e approvato in pr...