domenica 30 aprile 2017

La rabbia e l'orgoglio: omaggio postumo alla Fallaci. E non solo.

Quanto succede ai nostri giorni mi fa sempre più pensare e ritornare alle tesi di Oriana Fallaci, specie al suo libro stampato dopo l’attentato alle torri gemelle di New York,  scritto con la mente e il cuore, il sano orgoglio e la passione civile, la coscienza e l’onestà intellettuale di chi crede che al mondo bisogna starci non tanto per fare salotto ma anche per soffrire con esso e per esso e magari cambiarlo in meglio. Le tesi della Fallaci si possono accettare o respingere, ma certamente non ti lasciano indifferente, anche perché sono il frutto di una sua lunga militanza civile “controcorrente” rispetto a tutte le mode dettate dalle varie “intellighenzie” di turno. Personalmente la mia ammirazione per lei risale agli anni della sua coraggiosa “Lettera ad un bambino mai nato” in cui da donna e da laica ha saputo riflettere e far riflettere sulla vita e sul dramma dell’aborto superando stereotipi femministi e pregiudizi radical-chic. E così per ogni suo scritto, sia romanzo o reportage: in definitiva tutto diventa l’occasione per una meditazione alta sull’uomo, sulla sua dignità, sui suoi diritti-doveri, sul suo ruolo politico nel mondo. Fino a questo libro, in cui l’attentato diventa quasi il pretesto per parlare di uomini (e di ominicchi e mezzi uomini… per dirla con Sciascia) e storie, dell’America e del mondo arabo, ma anche (e forse soprattutto) dell’Italia amata-odiata. Dicevamo dunque della mia reazione a “La rabbia e l’orgoglio”, come significativamente s’intitola il libro. Che sono poi realmente i due sentimenti che riesce a suscitarti. Oltre  naturalmente alla gioia di trovare chi ancora scrive rispettando consecutio, ortografia e sintassi, congiuntivi e condizionali e riuscendo a dare musicalità al cursus di quello che in fondo è e rimane un lungo articolo di giornale. Questo è uno scritto che mano a mano che lo leggi senti dentro di te una voce che ti dice: “ecco le cose che avrei voluto tante volte dire e magari gridare!” Perché confesso che anch’io mi trovo a combattere con l’ignavia, il perbenismo, l’incoerenza di tanti che chissà cosa darebbero affinché tu non li scuotessi dalle loro letargiche sicurezze in cui sperano di poter vivere rifugiati al sicuro dal mondo. O con la pericolosità di quelli da cui già mio padre mi ammoniva di stare in guardia: che, citando Angelo Musco, diceva, “spirano le vele per dove spira il vento”! E allora ti monta la rabbia. Ma anche l’orgoglio – si, permettetemi un pizzico di orgoglio - nel non sentirsi come loro, nel sentirti – pur nella solitudine – fuori dal mucchio, nel non finire di ringraziare, come fa la Fallaci, i propri genitori per l’educazione ricevuta fondata nel culto della lealtà, del rispetto, dell’assolvimento del proprio dovere coniugati con la generosità e l’altruismo e con la raccomandazione a dire sempre e a tutti con coraggio il proprio pensiero. Anche pagando di persona, senza vendersi al primo o ultimo arrivato che sia. E allora ringrazi il Cielo perché si è in pochi, ma si è in buona compagnia! E ti si rinnova la voglia di impegnarti e di combattere, nonostante a volte c’è davvero di che farti cadere le braccia! Qualcuno forse obietterà che il mio sentire sia un po’ snob e che corra il rischio di creare una nuova sorta di concezione elitaria: ebbene, lo confesso, io sto dalla parte di Cristo, che è quella del poco lievito e del pizzico di sale e non della massa. La massa oggi grida “osanna” e domani “crocifiggi”: allora è meglio non fidarsi! Meglio avere il coraggio di essere se stessi, nella buona e nella cattiva sorte, con l’unica ricompensa – per chi ancora ci crede – di avere una coscienza che non ti rimprovera nulla e che ti fa dormire tranquillo. Meglio avere il coraggio delle proprie idee, che, se anche ti procura guai, almeno ti fa scrivere buoni libri: perché se tante pubblicazioni fanno a gara per la loro stupidità, non sarà forse perché sono state scritte da persone senza personalità, da teste senza testa, da uomini senza … carattere?





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