giovedì 1 marzo 2012

ELOGIO DEL SILENZIO

Il Santo Padre è solito inviare agli operatori della comunicazione, proprio ogni anno nel giorno della memoria di San Francesco di Sales, patrono degli operatori della comunicazione, un Messaggio in vista della Giornata delle comunicazioni sociali che sarà poi celebrata ogni anno il giorno della Ascensione del Signore.
Il   tema scelto dal Papa per il 2012 è SILENZIO E PAROLA.
Si tratta, spiega il Papa, di cogliere il rapporto tra il silenzio e la parola: <<due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi>> giacchè <<Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato.>>
Per operatori che lavorano con la parola e vivono di parole, il tema può sembrare provocatorio, ma è certo una salutare provocazione. Dice infatti il Papa: << Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio.>>
Come non essere d’accordo col Papa?
E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che un surplus di comunicazione – dalla miriade di servizi di informazione a tutte le ore, ai talk show    televisivi, a tutta la miriade di siti internet e a tutte le altre applicazioni che corrono in rete, a  Tweet e roba simile… - ci sta facendo correre il rischio di una svalutazione della comunicazione stessa, del suo appiattimento, della perdita della stessa gerarchia di notizie e dei valori cui devono essere legate, dello svincolarsi della ocmunicazione dai criteri della verità e della oggettività per relegare la comunicazione nell’ambito della soggettività e della pura e semplice opinione.
Ma, scrive il Papa, << L’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e condividiamo questo profondo anelito, tanto più nel nostro tempo in cui "quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali">>.
Il rischio che si corre infatti è proprio quello individuato dal Papa e che sfocia in un relativismo superficiale, in cui avrebbero ben presto facile gioco l’insinuarsi di interessi di parte e logiche lontane dal rispetto della dignità dell’uomo, della  sua vera libertà e della sua retta coscienza.
Solo facendo un salto indietro, nel recupero del silenzio, che significa non solo recupero della interiorità da parte di chi si trova ad operare nei mass media – interiorità di cui tutti abbiamo bisogno-, ma anche il recupero del rispetto per l’altro, giacchè il silenzio reca con sé la capacità dell’ascolto dell’altro, c’è il modo di superare il rischio su cui ci ammonisce il Papa.
Aggiunge infatti il Papa: solo <<Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee>>.
Penso qui a tanti modi di fare giornalismo da parte di certi conduttori che interpretano più la parte dello show man che non quella di seri operatori della comunicazione, al modo di condurre  certi programmi   televisivi, al modo di “lanciare” un pezzo sui quotidiani… in cui l’altro, il soggetto di cui si parla, invece non è né ascoltato né quindi rispettato ma è solo il pretesto per fondare il nostro pregiudizio e portare vanti tesi già precostituite.
Il recupero del silenzio e dell’ascolto dell’altro consente invece il recupero di una dimensione della comunicazione più riflessiva: continua in proposito il Papa: << Una profonda riflessione ci aiuta a scoprire la relazione esistente tra avvenimenti che a prima vista sembrano slegati tra loro, a valutare, ad analizzare i messaggi; e ciò fa sì che si possano condividere opinioni ponderate e pertinenti, dando vita ad un’autentica conoscenza condivisa>>.
E dunque, conclude il Papa: <<Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare>>.
Non è questo il contesto in cui siamo chiamati a trovare soluzioni e indicazioni pratiche, né il Papa vuole entrare nel merito delle scelte che ognuno in coscienza crederà di  fare, ma credo che sia stimolante la nuova modalità con cui il Papa chiama a contestualizzare il servizio della comunicazione: egli afferma che per recuperare la comunicazione al suo vero ruolo  << è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di "ecosistema" che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni>>.
Si tratta dunque di una sorta di autoeducazione in cui di volta in volta l’operatore della comunicazione dovrà collocarsi per poter discernere se parlare, se tacere, come parlare, quando parlare, come ammonisce il Qoelet.
Non si tratta qui di inventarsi forme di censure o autocensure nella comunicazione, ma nel sapiente equilibrio tra silenzio e parola, ritornare ad una sorta di pudore per cui sapere quando una comunicazione può essere affidata alla parola – e quindi all’immagine - piuttosto che al silenzio, ma anche viceversa quando il silenzio a volte può essere una forma di comunicazione altrettanto eloquente quanto la parola e a volte anche di più.
Nella tradizione rabbinica si dice che la Torà sia stata scritta con inchiostro nero e con inchiostro bianco, cioè non solo con le lettere ma anche con gli spazi bianchi che sono tra le lettere.
Il saggio sa leggere entrambe le scritture!
Un bravo operatore della comunicazione sociale dovrebbe saper adoperare e scrivere con entrambi gli inchiostri!
Certo, qualcuno dirà, qui il nostro riferimento è stato finora il Papa e quindi un contesto di fede. Ma credo che anche dalla stessa sapienza umana, chi vuole possa recuperare un invito alla sobrietas nell’uso di silenzio e parola, quale ad esempio ci è testimoniato dalla classicità greca.
C’è un senso infatti nella regola che prescrive di non rappresentare mai nelle tragedie greche sulla scena la morte di un personaggio: è il senso è che – data la funzione catartica del teatro greco – l’assistere alle scene di morte violenta più che aiutare il cittadino a crescere, lo spingesse ancor più verso l’abbrutimento, cioè verso una condizione subumana.
La paideia greca è infatti l’impegno di una educazione e di una cultura che mira a crescere nella bellezza e per la bellezza.
Dove bellezza sta per l’esperienza dell’armonia dell’uomo con se stesso, con la natura, con la divinità.
Che poi è quell’ecosistema di cui parla il Papa.
Il mio augurio è che allora ognuno di noi, ogni operatore delle comunicazioni sociali, sappia leggere e interpretare se stesso come un servitore della parola, come ministro di paideia, cioè sappia vivere il suo ruolo in chiave pedagogica al servizio della bellezza, anche in quelle occasioni in questa sembra essere inficiata dal male che per definizione è colui che la nega.
Ma, ce lo ricorda Dostoewskij, è proprio la bellezza che salverà il mondo.



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