mercoledì 5 dicembre 2012

Il Talmud di Scicli


E’ dal mese di novembre in vendita Il Talmud di Scicli di Massimo Melli, con il contributo di Aharon Nathan, per i tipi della Edizioni Il minutod’Oro.

Debbo ammettere di aver letto con interesse questo strano libro che oscilla tra due generi letterari: il genere epistolare o dialogico che si intreccia con quello di formazione o esperenziale, con le vicende autobiografiche che formano lo sfondo e anche lo stimolo per l’avvio della ricerca esistenziale sulle domande di senso che intersecano la ricerca delle proprie origini…
E del Talmud ha ripreso anzitutto le modalità dello studio: la Chavruta, cioè la compagnia. Termine usato per indicare il partner di studio del Talmud, che, come è risaputo, viene studiato in una forma dialogante, quindi con un compagno di studio. L'importanza di questo "stile" nello studio del Talmud è espresso dal famoso detto talmudico: O chavruta o mituta, o compagno di studio o morte (dello studio, si intende!)
Il libro riprende le eterne domande che, nel linguaggio di san Tommaso d’Aquino costituiscono le quaestiones fondamentali della sua Summa:
an sit Deus, quid sit Deus, quid sit creatio, an possit Deus creare
Quaestio viene da qaerere che significa domandare ma nel senso di cercare, ricercare.
Il libro ha infatti dietro le grandi domande, le grandi ricerche dell’uomo: chi sono? Donde vengo? Dove vado?  Giacchè in fondo, le domande su Dio non sono che un risvolto delle domande sul senso della vita: dalle quali nessun uomo può scappare e dunque ogni uomo è chiamato a ripeterle a se stesso.
E se poi c’è un popolo che ha fatto della domanda e della ricerca quasi la dimensione essenziale della propria esistenza, questo è il popolo ebraico, in cui anche il confronto con la Sacra Scrittura è anzitutto domanda alla Parola divina affinchè dia le sue risposte sempre nuove e adatte ad ogni uomo. Anzi bisogna ricordare che il Paradiso stesso per la tradizione rabbinica sarà una grande jeshivà dove le domande finalmente potranno essere fatte direttamente a Dio!
In questo senso, il libro rivela tutta la mentalità ebraica della ricerca e della domanda ad oltranza: in fondo del Talmud ha preso poi non tanto le domande quanto lo stile della discussione infinita!
Chi conosce il Talmud sa che, anche per la sua composizione a stampa, è costituito dalla domanda centrale su un tema, spesso originata dal confronto con la Bibbia e le sue varie interpretazioni, intorno alla quale si costruiscono quasi a cerchi concentrici le risposte che a loro volta diventano domande per nuove risposte…

Il libro dunque, riprendendo le domande di senso, cerca di comporre insieme il dato originario della Torà, in particolare dei primi capitoli di Bereshit/Genesi sulla creazione, con i più moderni dati della fisica e della scienza moderna.

E qui debbo confessare di aver seguito con difficoltà le dimostrazioni fatte perchè i richiami alla fisica sono troppo difficili per me e spero che non appesantiscano la lettura anche per gli altri lettori che mi auguro essere più bravi di me in matematica e fisica!

Tuttavia sono riuscito a comprendere quanto basta per avere una visione chiara del progetto dell’autore di voler dimostrare come in fondo, a saperlo leggere, il dato biblico non sia poi così lontano dal dato scientifico.
Anche se forse l’autore non riesce del tutto a trovare una soluzione che sappia comporre insieme l’atto creativo di Dio e il suo prodotto, la creazione, mantenendo tuttavia l’alterità di Dio stesso rispetto al suo creato: pena il ricadere nel monismo panteista del Deus sive natura dello Spinoza, che, ebreo, fu scomunicato dalla comunità ebraica proprio per questa tesi.
Il rischio non è da sottovalutare perché il cadere nel determinismo implicherebbe il negare all’uomo ogni libero arbitrio, che è invece il principio più bello che la tradizione biblica ha regalato tramite l’eredità giudaico-cristiana a tutto il mondo occidentale.
E che provocherebbe la reazione positivista, caduta nel dilemma riproposto da Jacques Monod: o il caso o la necessità!
In questo senso credo che la soluzione proposta della Probabilità, non risolva del tutto le domande poste, perché lascerebbe in definitiva spazio al caso e comunque ad un Dio che non sarebbe in definitiva pienamente Dio!
Comunque sia l'idea è bella ed intrigante e al di là del risultato, merita apprezzamento il tentativo di comporre scienza e fede, anche se rivela un concordismo a volte ingenuo tra il modo di leggere la Bibbia e il suo confronto col dato scientifico.
In fondo, più che ricordare il Talmud, il libro, col ricorso a formule che alla fine più che fisiche o teologiche sembrano teosofiche, sembra richiamare la Kabbalà nel suo insieme di mistica, antropologia, chimica e fisica alchemica.
Il libro infatti vuole essere il tentativo di trovare vie nuove per un approccio al divino e nel riproporre la domanda ultima non solo sull'esistenza di Dio ma anche sulla domanda se si tratti di un Dio personale (quello rivelatosi nella Bibbia) o di un Dio impersonale che in ultima analisi viene ricondotto all'idea del fato o del destino o anche della probabilità!
Per evitare le sponde opposte di Scilla e Cariddi la tradizione biblica ha ben compreso che non ci si può fermare all’idea del Dio Creatore se non la si coniuga con l’immagine di un Dio che sia un Dio-persona, cioè abbia in se le caratteristiche del suo auto-porsi in modo libero sia rispetto a se stesso che alla sua creazione, e che sia quindi in grado di un dia-logos. Di porsi “di fronte” alla sua creazione.
In ciò sta pure l’essere dell’uomo-donna a immagine, secondo una certa somiglianza di Dio.
Recuperare il concetto di un Logos che è capace di esprimere questa dinamica divina è il solo modo per dire la differenza ontologica tra Dio e la sua creazione.
E per comprendere la collocazione dell’uomo nella creazione.
La creazione è fatta dal Davar/Logos divino e tramite il Davar/Logos.
E’ quanto dice Genesi e riprende il prologo di Giovanni.
Se poi si pensa che in ebraico il lemma Davar significa sia Parola che Cosa l'atto creativo di Dio nel suo Fiat... Fiant... non è altro che un "parlare/chiamare all'esistenza" in cui le "cose" create altro non sono che le parole "parlate" di Dio! 
Per cui i cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento…
Per questo la tradizione biblica, ebraica prima e cristiana dopo, ha parlato di una intelligibilità della creazione perché espressione di una Ratio/logos inscritta nella natura stessa delle cose: è proprio in questa intersezione della Ratio con il creato che Benedetto XVI ribadisce stare la possibilità di un incontro fecondo tra scienza e fede e di un percorso che sappia andare intelligentemente dalla creatura al Creatore. 
Dio ha creato il mondo con 10 parole: sia luce... sia...!
E 10 parole (deca-logo) ha dato all’uomo per vivere nella creazione.
Da qui anche la possibilità di un'etica fondata sulla ratio della stessa natura.
L'incapacità di cogliere il Logos nel suo aspetto ermeneutico circa la creazione e lo stesso essere e agire di Dio porta con sé l'aporia della mancata risposta a quelle domande che nemmeno la stessa teodicea, ad esempio sul senso della vita, del dolore e della morte, sa risolvere pienamente.

Forse questo aspetto andava meglio approfondito, così come  mi sarei aspettato sia una conoscenza più articolata del retroterra ebraico da un lato (specie riguardo alle letture rabbiniche della Bibbia tramite la Torà orale della tradizione), sia una lettura del cristianesimo meno superficiale (più frutto di conoscenze recondite da catechismo da prima comunione che di uno studio vero e proprio). Ma ciò non inficia il valore di base del libro che spero susciti la curiosità dei lettori.
Il libro infatti merita attenzione perchè dimostra  che, contrariamente a quanto si possa pensare, oltre l'orizzonte del nihilismo in cui sembriamo essere tutti immersi, il Dio che, tramite le vicende della vita, pone le sue domande all'uomo, è ancora vivo e vitale!
E se poi le risposte sono cercate anche sotto il cielo stellato di Scicli, ad uno sciclitano, ciò non può che fare piacere! 

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