Se ogni tanto non avessero inquadrato il papa e poi anche l'ostensorio, chi avesse acceso la tv sulla veglia dei giovani avrebbe potuto scambiarla per una di quelle preghiere pentecostali che ormai si vedono in tutte le tv commerciali. Americanismo protestante puro!
Certo gli organizzatori si son detti: dobbiamo far vedere che anche noi preghiamo e cantiamo come loro. Bene: qui è lo sbaglio perché non si capisce che si stimola un meccanismo del genere: se noi e loro siamo uguali, nessuna differenza tra essere cattolici o pentecostali!
Proprio l'opposto di un vescovo indiano che l'anno scorso proibì ai suoi uno stile di preghiera alla pentecostale perché non aiutava a cogliere l'identità cattolica.
Quel vescovo l'animo di pastore e la puzza delle pecore ce l'aveva, a Rio no!
Ecco come commenta Magister:
"Naturalmente, la coreografia della veglia eucaristica e della messa papale a Copacabana poteva anche essere letta in termini diametralmente opposti. Come l'immagine di una Chiesa arresa a modelli altrui, con il "musical" fatto irrompere nel cuore stesso della liturgia, con solisti, cori e ritmi da "Gospel" pentecostale. Una Chiesa che lungi dall'agire "controcorrente" – come continuamente il papa la esorta a fare – imita le forme espressive dei movimenti carismatici protestanti che in America latina e particolarmente in Brasile erodono parti consistenti della sua base popolare.
Che quello inaugurato a Copacabana rappresenti il nuovo corso liturgico dell'attuale pontificato è azzardato dire. Ma l'interrogativo è stato posto sotto lo sguardo del mondo intero.
Nel volo di ritorno a Roma, Francesco ha sfiorato l'argomento quando ha detto, a proposito dei movimenti carismatici presenti anche dentro la Chiesa cattolica:
"Alla fine degli anni Settanta e nei primi Ottanta io non li potevo vedere. Una volta avevo detto che questi confondono una celebrazione liturgica con una scuola di samba! Poi li ho conosciuti meglio, mi sono convertito".
Così come, viceversa, quando ha espresso ammirazione per le liturgie orientali:
"Le Chiese ortodosse hanno conservato quella pristina liturgia, tanto bella. Noi abbiamo perso un po' il senso dell'adorazione. Loro lo conservano, loro lodano Dio, loro adorano Dio. Abbiamo bisogno di questo rinnovamento, di questa luce dell’Oriente".Con tutto rispetto parlando, il papa forse non si rende conto della posta in gioco. Vero che un gesuita non rubricat: ma si vuole convincere ora che è papa e spetta a lui la moderazione della liturgia che è l'anima della Chiesa? Papa Benedetto ha curato personalmente la liturgia della GMG in Spagna e la sua mano si è vista. Papa Francesco lascia andare ma non ha capito che la vera riforma della chiesa non comincia dallo IOR ma dalla liturgia (perché tocca il cuore): papa Benedetto ce lo aveva ricordato, ora corriamo il rischio di dimenticarlo di nuovo.
E poi se il papa tirasse le dirette conseguenze di quello che dice: noi abbiamo perso il senso dell'adorazione, le liturgie orientali l'hanno mantenuto: e allora da papa cosa aspetta a dire che dobbiamo andare verso liturgie vere? chi ha distrutto la dimensione adorativa della liturgia se non un malinteso spirito del Concilio che ha appiattito anche la liturgia nella sua sola dimensione orizzontale?
La samba certo non esprime adorazione.
Ci pensino quelli che stanno in alto!
CATHOLICA FORMA : Non basta dirsi cristiani. Il credere deve avere una forma. La forma cattolica è il modo in cui la sostanza della fede cristiana prende corpo nel cuore dei credenti. Questo spazio vuole essere un luogo per mostrare la bellezza della fede cattolica.
mercoledì 31 luglio 2013
Anche sant'Ignazio di Loyola è patrono di Scicli!
Electio patronorum - ASRG –
Notaio Aparo – 17 novembre V indictionis 1633 –<<Electio patronorum
Siclis – Die 17 novembris V indictionis 1633 – Coram Don Matthia Ribera, Gaspare
De Rosa, et Thoma de Michelio pro testibus - Presentes coram nobis VID Don Hieronymus
Ribera, Vincentio Carrera, Antoninus Celestis, et Mazzullus de Rosa Siclenses
mihi Notario cogniti ad hoc devenientes vti judices et jurati huius Vniuersitatis
Siclis sp: juratorio dicto nomine exposuerunt quod cum Vniuersitas preditta
tutusque populus Siclensis ingenti deuotione ac maximo cultu veneretur
santos Jgnatium et Franciscum Xauerium Societatis Jesu volentes talem
deuotionem et cultum jn posterum et jn perpetuum semper continuari illos nomine dicte Vniuersitatis
et populi preditti vi presentis actus
nominauerunt et nominant et jnuocauerunt et jnuocant tertio loco jn patronos et
perpetuos protectores Vniuersitatis et populi preditti siclensis post Beatum
Guilelmum et Sanctam Rosaleam primum et secundam patronos dicte Vniuersitatis ad
hoc ut eorum meritis et precibus ac multiplicatis jntercessoribus semper
populus et Vniuersitas preditta ab omnibus aduersis anime et corporis tueatur
apud Deum eiusque Jmmaculatam Matrem Mariam vnde et jn futuras de presentis
appareat fattum fuit presentis electionis et jnuocationis jnstrumentum manu mea
Vincentii Aparo publici et apostolico Notario coram supradictis testibus ad hoc
rogatis >>
lunedì 29 luglio 2013
Il concilio ad usum delphini e la privatizzazione dei sacramenti
Tutti parlano (e straparlano) di concilio, di riforma liturgica, dei principi solennissimi della partecipazione attiva, fruttuosa e consapevole alle celebrazioni, della dimensione ecclesiale e non privata di ogni celebrazione e di ogni sacramento.
Ho l'impressione però che questi principi valgano solo per fare la guerra alla messa in latino in entrambe le forme e in specie alla messa secondo il messale di Pio V. Perché si dice, l'assemblea sarebbe esclusa dalla partecipazione attiva ecc. ecc.
Ora a me qui non interessa la messa di Pio V (non l'ho mai celebrata e non penso di farlo in futuro) però io mi chiedo perché questi principi poi non si applichino alle altre celebrazioni.
Ad esempio: un matrimonio in cui si permette che la famiglia si inviti i suoi musicisti (di ogni genere), che si suoni musica (di ogni genere: ho celebrato un matrimonio in cui tutti i brani erano le colonne sonore di film famosi), che ci sia la cantante solista o il solista "famoso" che scambiano le chiese per il palcoscenico di Sanremo e ti passino pure canti profani per musica sacra... quando tutta l'assemblea è mortificata perché non può unirsi nemmeno al canto delle acclamazioni più comuni (alleluia, santo, agnello di Dio) ed è ridotta al ruolo di spettatrice delle performance canore (e non solo) che non hanno niente di liturgico: si può parlare ancora di partecipazione attiva solo perché la messa è celebrata in italiano? Ma non prendiamoci in giro! Nei nostri matrimoni non c'è nessuna dimensione ecclesiale: gli sposi scelgono chiesa, orario, musiche e canti in barba alle nostre indicazioni (mi è pure toccata a volte la presa in giro che a te annuiscano su certi brani e poi te ne eseguano altri a piacimento!!!): però questo non ci scandalizza! Le chiese sono ridotte alla stregua di sale da ricevimento prese in affitto (prete compreso) che gli sposi addobbano e usano a loro gusto (tanto pagano!).
Se c'è stato un frutto meritorio della riforma liturgica è stata la abolizione delle "classi" delle celebrazioni: nelle premesse ad ogni rito è prescritto che la celebrazione sia uguale per tutti, senza differenza di ceto, classe, ecc. senza differenza tra ricchi e poveri, tra chi si può permettere la chiesa addobbata e illuminata e chi no! Ma di fatto non è così: si permette che le nostre chiese siano trasformate dalle scenografie floreali (e da ogni orpello che la fantasia dei fiorai si inventa) di chi deve fare sfoggio della sua "abbienza" obbligando di fatto anche chi non può a mostrare altrettanto "per non scomparire alla faccia degli altri": ma questo non è che mortificazione dei poveri e spreco che grida vendetta al cospetto di Dio! Non è un ritorno in pratica alle vecchie classi di una volta?
E ancora: quando tutta la celebrazione è gestita dalla regia del fotografo, fioraio e animatore (già, ormai dappertutto c'è l'animatore ma non liturgico!) che si permettono di contraddire le stesse indicazioni del celebrante, qui la riforma liturgica dov'è? E tutti i pseudo "segni" inventi da lor signori di cui sopra e che ti sono imposti nonostante la tua volontà contraria: qui la liturgia con le sue regole dov'è? Come il fatto che tutte le spose ti giurano che verranno con abiti decenti e poi alla fine ti ritrovi con l'abito scollacciato di cattivo gusto, anche estetico!
E però tutto questo non ci fa problema, l'unico guaio della riforma liturgica è la messa in latino! Il resto è a posto! E tra un po' per i funerali sarà come ai matrimoni: già abbiamo organisti e cantanti a la page richiesti dalle famiglie, con ennesima mortificazione della assemblea e della comunità ecclesiale.
Ma questo non fa problema.
Il Concilio ha voluto tutti i defunti con la bara a terra (tutti uguali davanti a Dio): eppure si continua con l'uso del catafalco, tranne poi sentirti richiedere da alcuni che il loro defunto deve essere posto a terra perché "nobile": e noi lo accontentiamo, e di fatti siamo alla distinzione tra le classi!!!
Ma questo non ci fa problema.
Il problema è la messa in latino, levata quella tutte le nostre liturgie sono attive, fruttuose, consapevoli, ecclesiali ecc. ecc.!
Attive, consapevoli, ecclesiali non so, ma certo fruttuose si: per le casse delle parrocchie (e...).
Il Signore ci salvi da questo clericalismo ipocrita.
E ci guidi alla conversione, finché c'è tempo.
domenica 28 luglio 2013
Quando il latino e la sua comprensione è solo una scusa
Dicono che il latino non lo capisce più nessuno.
Dicono: e per un attino facciamo finta di crederci.
E quindi è giusto che chi prega e celebra debba pregare e celebrare nella sua lingua per poter capire cosa e perché si prega.
Giustissimo.
Così tutti i partecipanti vivranno una celebrazione pia, devota e consapevole.
Benissimo.
Il principio non fa una grinza in una normale messa domenicale.
Provate ad applicarlo in una celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù e vedrete!
Prima declinazione del principio: siccome siamo in Brasile allora la lingua ufficiale della Messa sarà in portoghese: dimenticando che ci sono giovani dal resto del mondo!
Risultato: una mortificazione di tutti gli altri che non parlano tale lingua.
Seconda declinazione del principio: usare a turno per le letture e le preghiere le varie lingue presenti.
Risultato: mortificazione a turno dei presenti.
Corollario sul principio: tutti usano il portoghese, siccome il papa non lo sa si ammetta l'eccezione che lui parli lo spagnolo. Ma gli altri papi che si preparavano a parlare e a leggere i loro discorsi nella lingua degli ospitanti, che erano folli a voler fare ciò?
Un dubbio: togliere il latino che non si capisce per inserire un canto in inglese in una celebrazione in portoghese aiuta la comprensione o solo incentiva il clima folk-pentecostalista del tutto?
Una preghiera in latino che desse il senso a tutti di appartenere all'unica Chiesa, questa no, vero? Ci fosse il pericolo che i giovani vi si affezionino!
Scusatemi se lo dico latino-latino: io ieri sera non sono riuscito a pregare, "loro" invece sono riusciti a farmi incazzare (così, Parigi, così le altre GMG prima di Benedetto): che senso ha richiamarsi a Benedetto e poi di fatto vanificare tutto il lavoro che con sudore e solo e con sacrificio ha fatto?
E non solo lui: chi si riempie la bocca di collegialità: e le decisioni dei sinodi dei vescovi al riguardo dell'eucaristia e della sua celebrazione, della lingua ad esempio negli incontri internazionali?
O è il vizietto (uno tra i tanti) tutto clericale di richiamare il magistero solo quando ci fa comodo?
Ma che Chiesa è questa dopo il parroco nuovo smonta il lavoro del parroco di prima, dove il vescovo nuovo elimina le fatiche del vescovo di prima, dove il papa nuovo ignori il cammino del papa di prima?
Scusatemi lo sfogo.
Dicono: e per un attino facciamo finta di crederci.
E quindi è giusto che chi prega e celebra debba pregare e celebrare nella sua lingua per poter capire cosa e perché si prega.
Giustissimo.
Così tutti i partecipanti vivranno una celebrazione pia, devota e consapevole.
Benissimo.
Il principio non fa una grinza in una normale messa domenicale.
Provate ad applicarlo in una celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù e vedrete!
Prima declinazione del principio: siccome siamo in Brasile allora la lingua ufficiale della Messa sarà in portoghese: dimenticando che ci sono giovani dal resto del mondo!
Risultato: una mortificazione di tutti gli altri che non parlano tale lingua.
Seconda declinazione del principio: usare a turno per le letture e le preghiere le varie lingue presenti.
Risultato: mortificazione a turno dei presenti.
Corollario sul principio: tutti usano il portoghese, siccome il papa non lo sa si ammetta l'eccezione che lui parli lo spagnolo. Ma gli altri papi che si preparavano a parlare e a leggere i loro discorsi nella lingua degli ospitanti, che erano folli a voler fare ciò?
Un dubbio: togliere il latino che non si capisce per inserire un canto in inglese in una celebrazione in portoghese aiuta la comprensione o solo incentiva il clima folk-pentecostalista del tutto?
Una preghiera in latino che desse il senso a tutti di appartenere all'unica Chiesa, questa no, vero? Ci fosse il pericolo che i giovani vi si affezionino!
Scusatemi se lo dico latino-latino: io ieri sera non sono riuscito a pregare, "loro" invece sono riusciti a farmi incazzare (così, Parigi, così le altre GMG prima di Benedetto): che senso ha richiamarsi a Benedetto e poi di fatto vanificare tutto il lavoro che con sudore e solo e con sacrificio ha fatto?
E non solo lui: chi si riempie la bocca di collegialità: e le decisioni dei sinodi dei vescovi al riguardo dell'eucaristia e della sua celebrazione, della lingua ad esempio negli incontri internazionali?
O è il vizietto (uno tra i tanti) tutto clericale di richiamare il magistero solo quando ci fa comodo?
Ma che Chiesa è questa dopo il parroco nuovo smonta il lavoro del parroco di prima, dove il vescovo nuovo elimina le fatiche del vescovo di prima, dove il papa nuovo ignori il cammino del papa di prima?
Scusatemi lo sfogo.
lunedì 22 luglio 2013
Che strano: il papa che da quando è stato eletto non ha detto una parola contro il matrimonio gay lasciando i francesi e gli inglesi a combattere da soli. E ora la stampa ricambia col silenzio sul primo scandalo in vaticano sotto Francesco. Fosse stato ai tempi di Benedetto giornali, radio e tv non avrebbero parlato d'altro! Chiamatemi pure dietrologo ma a me la faccenda puzza.
Il prelato della lobby gay
Fatti e personaggi dello scandaloso passato dell'uomo che Francesco, ignaro, ha delegato a rappresentarlo nello IOR. Ecco come vive e prospera in Vaticano un potere parallelo che trama ai danni del papa
di Sandro Magister
di Sandro Magister
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ROMA, 18 luglio 2013 – "Nella curia si parla di 'lobby gay'. Ed è vero, c'è. Vediamo cosa possiamo fare", disse Francesco il 6 giugno a dei religiosi latinoamericani ricevuti in udienza.
E ancora: "Non è facile. Qui ci sono molti ‘padroni’ del papa e con molta anzianità di servizio", ha confidato qualche giorno fa all'amico argentino ed ex alunno Jorge Milia.
Effettivamente, alcuni di questi "padroni" hanno tramato ai danni di Jorge Mario Bergoglio il più crudele e subdolo inganno da quando è stato eletto papa.
L'hanno tenuto all'oscuro delle rilevanti informazioni che, se da lui conosciute per tempo, l'avrebbero trattenuto dal nominare monsignor Battista Ricca "prelato" dell'Istituto per le Opere di Religione.
Con questa nomina, resa pubblica il 15 giugno, Francesco intendeva collocare all'interno dello IOR una persona di sua fiducia in un ruolo chiave. Col potere di accedere a tutti gli atti e documenti e di assistere a tutte le riunioni sia della commissione cardinalizia di vigilanza, sia del consiglio di sovrintendenza, cioè del board della disastrata “banca” vaticana. Insomma, col compito di farvi pulizia.
Ricca, 57 anni, originario della diocesi di Brescia, proviene dalla carriera diplomatica. Ha prestato servizio per quindici di anni in nunziature di vari paesi, prima di essere richiamato in Vaticano, in segreteria di Stato. Ma ha conquistato la fiducia di Bergoglio in un'altra veste, inizialmente come direttore della residenza di via della Scrofa nella quale l'arcivescovo di Buenos Aires alloggiava durante le sue visite a Roma, e ora anche come direttore della Domus Sanctæ Marthæ nella quale Francesco ha scelto di abitare da papa.
Prima della nomina, a Francesco era stato fatto vedere, come è consuetudine, il fascicolo personale riguardante Ricca, dove non aveva trovato nulla di disdicevole. Aveva anche ascoltato varie personalità della curia e nessuna aveva sollevato obiezioni.
Appena una settimana dopo aver nominato il "prelato", però, negli stessi giorni in cui incontrava i nunzi apostolici convenuti a Roma da tutto il mondo, il papa è venuto a conoscenza, da più fonti, di trascorsi di Ricca a lui fin lì ignoti e tali da recare seri danni allo stesso papa e alla sua opera di riforma.
Dolore per essere stato tenuto all'oscuro di fatti tanto gravi e volontà di rimediare alla nomina da lui compiuta, sia pure non definitiva ma "ad interim": sono stati questi i sentimenti espressi da papa Francesco una volta conosciuti questi fatti.
*
Il buco nero, nella storia personale di Ricca, è il periodo da lui trascorso in Uruguay, a Montevideo, sulla sponda nord del Rio de la Plata, di fronte a Buenos Aires.
Ricca arrivò in questa nunziatura nel 1999, quando il mandato del nunzio Francesco De Nittis volgeva al termine. In precedenza aveva prestato servizio nelle missioni diplomatiche del Congo, dell'Algeria, della Colombia e infine della Svizzera.
Qui, a Berna, aveva stretto amicizia con un capitano dell'esercito svizzero, Patrick Haari. I due arrivarono in Uruguay assieme. E Ricca chiese che anche al suo amico fossero dati un ruolo e un alloggio nella nunziatura.
Il nunzio respinse la richiesta. Ma pochi mesi dopo andò in pensione e Ricca, rimasto come incaricato d'affari "ad interim" in attesa del nuovo nunzio, assegnò l'alloggio in nunziatura a Haari, con regolare assunzione e stipendio.
In Vaticano lasciarono fare. All'epoca, in segreteria di Stato era sostituto per gli affari generali Giovanni Battista Re, futuro cardinale, anche lui originario della diocesi di Brescia.
L'intimità di rapporti tra Ricca e Haari era così scoperta da scandalizzare numerosi vescovi, preti e laici di quel piccolo paese sudamericano, non ultime le suore che accudivano alla nunziatura.
Anche il nuovo nunzio, il polacco Janusz Bolonek, arrivato a Montevideo all'inizio del 2000, trovò subito intollerabile quel "ménage" e ne informò le autorità vaticane, insistendo più volte con Haari perché se ne andasse. Ma inutilmente, dati i legami di questi con Ricca.
Nei primi mesi del 2001 Ricca incappò in più di un incidente per la sua condotta sconsiderata. Un giorno, recatosi come già altre volte – nonostante gli avvertimenti ricevuti – in Bulevar Artigas, in un locale di incontri tra omosessuali, fu picchiato e dovette chiamare in aiuto dei sacerdoti per essere riportato in nunziatura, con il volto tumefatto.
Nell'agosto dello stesso 2001, altro incidente. In piena notte l'ascensore della nunziatura si bloccò e di prima mattina dovettero accorrere i pompieri. I quali trovarono imprigionato nella cabina, assieme a monsignor Ricca, un giovane che le autorità di polizia identificarono.
Il nunzio Bolonek chiese l'immediato allontanamento di Ricca dalla nunziatura e il licenziamento di Haari. E ottenne il via libera dal segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano.
Ricca, pur recalcitrante, fu trasferito alla nunziatura di Trinidad e Tobago, dove rimase fino al 2004. Anche lì entrando in urto col nunzio. Per essere infine richiamato in Vaticano e tolto dal servizio diplomatico sul campo.
Quanto a Haari, all'atto di lasciare la nunziatura pretese che dei suoi bauli fossero inviati in Vaticano come bagaglio diplomatico, all'indirizzo di monsignor Ricca. Il nunzio Bolonek rifiutò e i bauli finirono depositati in un edificio esterno alla nunziatura. Dove rimasero per qualche anno, fino a che, da Roma, Ricca disse di non voler più avere a che fare con essi.
Una volta aperti i bauli per eliminarne il contenuto – come deciso dal nunzio Bolonek – vi furono trovate una pistola, consegnata alle autorità uruguayane, e, oltre agli effetti personali, una quantità ingente di preservativi e di materiale pornografico.
*
In Uruguay i fatti sopra riferiti sono noti a decine di persone: vescovi, sacerdoti, religiose, laici. Senza contare le autorità civili, dalle forze di sicurezza ai vigili del fuoco. Molte di queste persone hanno avuto di quei fatti un'esperienza diretta, in vari momenti.
Ma anche in Vaticano c'è chi ne è a conoscenza. Il nunzio dell'epoca, Bolonek, si è sempre espresso con severità nei confronti di Ricca, nel riferire a Roma.
Eppure una coltre di pubblico silenzio ha coperto fino ad oggi questi trascorsi del monsignore.
In Uruguay c'è chi rispetta la consegna del silenzio per scrupolo di coscienza. Chi per dovere d'ufficio. Chi tace perché non vuole mettere in cattiva luce la Chiesa e il papa.
Ma in Vaticano c'è chi ha promosso attivamente questa operazione di copertura. Frenando le indagini dall'epoca dei fatti ad oggi. Occultando i rapporti del nunzio. Tenendo immacolato il fascicolo personale di Ricca. In tal modo ha agevolato allo stesso Ricca una nuova prestigiosa carriera.
Dopo il suo ritorno a Roma, il monsignore è stato inquadrato nel personale diplomatico in servizio presso la segreteria di Stato: inizialmente, dal 2005, nella prima sezione, quella degli affari generali, poi, dal 2008, nella seconda sezione, quella dei rapporti con gli Stati, e poi di nuovo, dal 2012, nella prima sezione, con una qualifica di alto livello, quella di consigliere di nunziatura di prima classe.
Tra i compiti che gli sono stati assegnati c'è stato il controllo delle spese delle nunziature. È anche da ciò è nata quella fama di incorruttibile moralizzatore che gli è stata assegnata dai media di tutto il mondo, alla notizia della sua nomina a "prelato" dello IOR.
In più, a partire dal 2006, è stata affidata a monsignor Ricca la direzione prima di una, poi di due e infine di tre residenze per cardinali, vescovi e sacerdoti in visita a Roma, tra cui quella di Santa Marta. E questo gli ha consentito di tessere una fitta rete di relazioni con i più alti gradi della gerarchia cattolica di tutto il mondo.
La nomina a "prelato" dello IOR è stata per Ricca il coronamento di questa sua seconda carriera.
Ma è stata anche l'inizio della fine. Per le tante persone rette che sapevano dei suoi trascorsi scandalosi, la notizia della promozione è stata motivo di estrema amarezza, ancor più acuta perché vista gravida di danni per l'ardua impresa che papa Francesco ha in corso d'opera, di purificazione della Chiesa e di riforma della curia romana.
Per questo alcuni hanno ritenuto doveroso dire al papa la verità. Sicuri che ne trarrà le decisioni conseguenti.
__________
Questo articolo è uscito su "L'Espresso" n. 29 del 2013, in edicola dal 19 luglio:
> L'Espresso
Sullo stesso tema, l'editoriale del direttore Bruno Manfellotto:
> Anche il papa ha molti padroni
sabato 20 luglio 2013
INGENUITA' O PROGETTO DIABOLICO? Un attacco alla chiesa di cui pochi si rendono conto
sabato 20
luglio 2013
di Francesco Colafemmina
Non so chi abbia
avuto questa formidabile idea, ma posso assicurarvi che da questa commissione
sugli affari economici del Vaticano non verrà nulla di buono per la Chiesa.
Aver deciso di creare una commissione di inchiesta formata da laici che avrà
accesso a tutti i dati amministrativi ed economici della Santa Sede, significa
esporre la Chiesa Cattolica ad un enorme rischio. Di seguito vi spiego perché e
in cosa consiste questo rischio.
Il Chirografo di
Papa Francesco specifica gli obiettivi di una tale Commissione
attraverso i seguenti punti:
1)
individuare soluzioni strategiche di miglioramento, atte ad evitare dispendi di
risorse economiche
2) favorire la trasparenza nei processi di acquisizione di beni e servizi
3) perfezionare l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare
4) operare con sempre maggiore prudenza in ambito finanziario
5) assicurare una corretta applicazione dei principi contabili
6) garantire assistenza sanitaria e previdenza sociale a tutti gli aventi diritto
2) favorire la trasparenza nei processi di acquisizione di beni e servizi
3) perfezionare l’amministrazione del patrimonio mobiliare e immobiliare
4) operare con sempre maggiore prudenza in ambito finanziario
5) assicurare una corretta applicazione dei principi contabili
6) garantire assistenza sanitaria e previdenza sociale a tutti gli aventi diritto
All'occhio
dell'esperto un po' smaliziato risulta evidente che tali obiettivi debbano
essere letti più o meno come segue:
1) Per
evitare dispendi basta ad esempio dismettere parte del patrimonio che ha costi
di gestione e manutenzione alti a fronte di ricavi bassi o nulli (svendiamo
case di religiosi, conventi, etc. etc. che costano ma sono improduttivi);
2) Per la
trasparenza pubblichiamo i bilanci, facciamo venir fuori le casseforti
vaticane, i trust, le società offshore, tutto alla luce del sole. In tal modo
la Santa Sede sarà in regime di amministrazione controllata e la sua autonomia
economico finanziaria (che se ben gestita è una manna per i poveri, per gli
ammalati, per i bisognosi di mezzo mondo) diverrà un mero ricordo del
passato.
3) Se si
utilizzerà un criterio di efficienza economica è evidente che non resterà che
costituire fondi immobiliari da far partecipare a privati o da (s)vendere a
privati o da cartolarizzare. In questo modo si colmeranno presunti buchi che
saranno presto evidenziati nello IOR.
4) Si
dimostrerà a breve, infatti, che a causa di spregiudicate operazioni
finanziarie lo IOR ha un grosso buco che va colmato svendendo patrimonio
immobiliare.
5) Anche
qui: la commissione dimostrerà che attraverso assunzioni contabili erronee si è
alimentato un sistema di sprechi e buchi di bilancio nascosti. Che andrà
sanato.
6) Un po' di
buonismo non fa male a nessuno… ed è utile mediaticamente a giustificare il
ruolo di questa commissione.
In tutto
questo mi preme far notare che il Papa, a mio modesto avviso, viene coinvolto
magistralmente da esperti registi che in Vaticano hanno già ruoli chiave e che
afferiscono all'area bertoniana. E' come se fiutando essi la sensibilità di
Francesco che vuole trasparenza per la Chiesa, pulizia e povertà, avessero
deciso di mettere nelle sue mani uno strumento per ottenere sì questi
risultati, ma facendo arricchire qualcun altro e indebolendo una volta per
tutte la Chiesa.
Perché
l'operazione sottesa all'istituzione di questa Commissione non è altro che la
svendita, meglio, la liquidazione del Vaticano S.p.A. La Chiesa perderà tutto,
gli uomini di Chiesa che non hanno fede avranno tutto da guadagnare.
Per questa
ragione sono stati selezionati laici che non sono meramente consulenti
"indipendenti". Non hanno chiamato ad esempio due o tre consulenti
(non ne servono certo di più) del Boston Consulting Group, di Mckinsey, della
Rodl & Partner, tanto per fare qualche nome di quotata società di
consulenza in campo finanziario, amministrativo, contabile e manageriale.
No, hanno
chiamato due consulenti già arruolati in Vaticano da qualche monsignore o
cardinale compiacente. E tra questi, l'ex presidente della Banca Centrale
Maltese che non è meramente un consulente, ma un imprenditore, essendo
proprietario di una società con sede a Malta e a Cipro (noti paradisi fiscali),
la MISCO.
Hanno poi
chiamato l'ex ministro degli esteri di Singapore, attuale consulente
dell'imprenditore più ricco della Malesia, Robert Kuok. Un francese che lavora
per il Tages Capital Group del finanziere italiano Panfilo Tarantelli. Due o
tre amici di questo o quel monsignore. E infine l'italiana Francesca Chaouqui
che si occupa di comunicazione per la Ernst & Young. Comunicazione! E che è
definita ufficialmente una lobbista.
Questa
commissione avrà accesso ad una mole inimmaginabile di dati. Potrà conoscere e
stimare il valore della proprietà immobiliare della Santa Sede in tutto il
mondo. Conoscerà entità e qualità degli investimenti finanziari della Santa
Sede, le spese correnti di ogni ufficio e l'assetto amministrativo globale.
Relazionerà poi direttamente al Papa o meglio alla Commissione di 8 Cardinali
da questi istituita recentemente. Insomma, immaginate cosa possa significare
rivelare ad un gruppo di imprenditori privati e - nonostante il segreto imposto
- a molti loro amici - la disponibilità del "tesoro" costituito dal
patrimonio della Santa Sede. Immaginate poi i conflitti di interessi, la libera
azione di questi laici ai quali non viene neanche fatto prestare un giuramento
formale, nulla di nulla. Presi e messi lì.
Immaginate
poi che questi privati saranno pure stipendiati dalla Santa Sede. E potranno
ingaggiare società di consulenza di loro conoscenza. Il tutto sempre a spese
della Santa Sede. Dovranno quindi redigere dei rapporti ed inviarli al Papa. Il
quale - non essendo certo un manager o un esperto di finanza internazionale -
finirà per dare attuazione ai piani strategici individuati dalla commissione di
"esperti".
Monsignori e
Cardinali saranno certo riconoscenti alla Commissione che essi stessi hanno
creato senza alcun criterio di selezione pubblica, ma per mera cooptazione, un
po' come accade nelle logge massoniche. Speriamo solo che non decidano di
mettere in vendita anche San Pietro perché - ammesso che ancora vi aleggi dopo
i tanti scandali - lo Spirito Santo potrebbe decidere finalmente di traslocare
altrove...
Ciò che
preoccupa è che non ci si renda conto di certi rischi e ci si lasci andare
piuttosto a commenti entusiastici. Tutti presi dall'indignazione per le vicende
dello IOR e dalla foga per la trasparenza, non si capisce che lo IOR, con tutti
i suoi limiti, costituiva una garanzia per l'indipendenza della Chiesa. Non si
capisce che tutti i provvedimenti che si stanno prendendo negli ultimi tempi
non sono altro che una resa di fronte al potere della finanza internazionale,
che non vede l'ora di mettere le mani sul bottino della Chiesa cattolica e
impedirle così di svolgere la sua missione.
giovedì 18 luglio 2013
Domingo de Serraton e la moglie Teresa: due benefattori di Scicli sconosciuti (seconda parte)
RITROVATA LA TOMBA DEI FIGLI
Davvero non pensavo
che il caro Uomo libero sarebbe riuscito, col suo fiuto da investigatore di
storie patrie, a trovare così tante informazioni sul nostro Sergente Maggiore,
incuriosito da una chiacchierata fatta insieme su alcuni aspetti del passato
della nostra città.
Ciò mi rafferma
nell’idea che gran parte della nostra storia debba essere riscritta, giacché per
anni, per non dire secoli, ci si è limitati a ripetere quello che il Carioti,
forse l’unico vero nostro storico, nonostante i suoi limiti, scrisse nel ‘700.
Il Pacetto e lo Spadaro lo ripresero, il Pluchinotta li compendiò tutti, il
Cataudella ne fece una sintesi. E, come sempre avviene, tutte le sintesi e i
compendi non rendono conto della ricchezza dei dati originari. La storia (e la
cultura) non si fa coi Bignami! E da allora dunque niente di nuovo sotto il
sole. In verità non è che il nuovo non ci sia, anzi, ma il fatto è che tanti
non se ne sono accorti o preferiscono non accorgersene. Tanto per fare dei nomi
di quanti hanno prodotto delle novità e aggiornato i dati a nostra disposizione
basti pensare al nostro Paolo Nifosì, ai fratelli Pietro e Paolo Militello, e
se permettete mi ci metto anch’io per quanto riguarda la storia religiosa di
Scicli: eppure ho avuto modo di vedere alcune ultime pubblicazioni e tesi prodotte
a Scicli in quest’ultimo anno compilate senza tener conto delle nuove
acquisizioni e dove l’ultimo autore in ordine di tempo citato è il Santiapichi
del secolo scorso! I nostri giovani non leggono i giornali locali a stampa né
quelli on line né si aggiornano sulle altre pubblicazioni prodotte in proposito
a livello locale e perciò abbiamo il ripetersi di cliché obsoleti che rendono
vecchi e inutili le loro tesi pur fresche di stampa. Scrivo ciò non per vena
polemica, ma per stimolare invece ad una attenzione maggiore e ad uno scambio fecondo
tra studiosi e appassionati di storia patria: le ricerche di Un Uomo libero che
ogni tanto pubblica su questo sito credo vadano proprio in questa direzione e
di questo dobbiamo essergliene grati. Così come quelli di tutti gli altri qui
pubblicati, penso ad esempio alle note di Di Stefano e all’ultimo scritto del
Nifosì sul nostro San Matteo.
Tutto ciò ci aiuta ad
avere un’immagine nuova ed inedita della nostra città. Ci siamo incaponiti ad
esempio sull’idea che l’unico benefattore di Scicli sia stato il Busacca,
quando abbiamo avuto figure che per l’operato e la generosità non gli sono state
seconde.
Si prenda il caso del
nostro Domenico Serraton e della moglie Donna Teresa. Mi sono imbattuto in lui
facendo le mie ricerche sulla Madonna delle Milizie.
Purtroppo non sappiamo
quando arrivò a Scicli, perché non si è ancora trovata la sua nomina. Ma
sappiamo quando arrivò a Palermo, nel 1696, quando era stato appena nominato
Cavaliere di San Giacomo. Ha appena 38 anni, è già sposato con Donna Teresa, di
15 anni in meno di lui e quindi ventitreenne, e col figlio Pedro, nato a
Cartagena nel 1692, che porta il nome del nonno paterno come è giusto che sia,
di appena 4 anni, e che come secondo nome si chiama Ambrosio, cui è legata la
madre Teresa e la sua parentela. A Palermo sarà rimasto per qualche anno, sia
perché la seconda figlia gli nascerà proprio a Palermo nel 1699 e lui la
chiamerà Rosalia, il nome della Patrona amata dai palermitani; e questo
dimostra la grande squisitezza d’animo di questa coppia che pur potendo dare
alla figlia un nome spagnolo gli impongono il nome della Santa della città che
li ospita. E a Palermo saranno stimati perché sono una decina le richieste
provenienti dai nobili di quella città perché i coniugi facciano da padrini di
battesimo ai loro nascituri: i Serraton (con atti stilati ancor prima della
nascita dei bambini) delegheranno altre coppie nobili della stessa Palermo o di
altre città vicine, e poi in seguito delegheranno lo stesso figlio Pedro ad
assistere a questi battesimi. Così come sono tante le analoghe richieste da
parte di tutti i nobili delle città della Contea ma anche di altre parti della
Sicilia e che stanno ad indicare come, prima di essere nominato Sergente
Maggiore a Scicli, lui abbia svolto qualche incarico che gli ha permesso di
intrattenere rapporti con tutta la nobiltà dell’Isola. Certe alcune richieste
di comparatico saranno state dettate da interesse o opportunismo, ma crediamo
che altre saranno state sincere. In seguito le stesse richieste saranno rivolte
al figlio Pedro: la prima è registrata in un atto del Notaio Errera del 3
luglio 1706, in cui Don Pietro Cerranton “come asserisce lui e appare dal suo
aspetto, essendo maggiore di 14 anni” può fare da padrino e quindi dà la
procura per il battesimo del figlio di Don Alois Guarino e Lina Consales,
spagnoli, all’amico Marco de Leo, pure spagnolo, perché funga da padrino in suo
nome. E tante altre ne seguiranno. La procura tra l’altro è interessante perché
riprende il principio del diritto romano della inspectio corporis per provare la pervenuta adolescenza: le guance
del giovane Pietro dovevano essere già ricoperte della peluria adolescenziale
che attestava l’aver raggiunta la capacità per poter esercitare alcuni diritti,
tra cui appunto quello di poter fungere da padrino.
Ma ritorniamo al nostro Sergente. Il Pluchinotta recensisce
il Serraton come sergente a Scicli già alla fine del ‘600, potrebbe essere
arrivato tra il 1698-1699? Purtroppo finora non ci sono documenti che
suffraghino questa ipotesi. Forse più sicuramente qualche anno più tardi. Un
atto mutilo che gli si potrebbe attribuire starebbe ad indicare il 1701.
Però il primo atto
sicuro è la procura per la riscossione della gabella della macina del 9 ottobre
1703: ora noi sappiamo che lo stipendio, per dire così, dovuto al Capo della
Sergenzia era il risultato appunto dei proventi della Gabella della Macina. E
infatti da quest’anno in poi troveremo questa procura annuale che lui faceva ai
suoi riscossori, comprese altre entrate la cui riscossione era affidata a suoi
procuratori a Palermo, a Noto e in altre città della Sicilia.
Perciò io propenderei
per questa data per il suo arrivo a Scicli, anche perché poi il 25 gennaio 1704
Domingo de Cerrandon “cavaliere di san Giacomo, hispanus” affitta una casa di
otto stanze dal proprietario Francesco d’Angelo, comprendenti “due sale, un
camerino, una cucina e antecucina al primo piano e sotto comprendente l’entrata con scala, un catodio e
un magazzino, in contrada Xifazzo confinante con altre case del detto d’Angelo
e la via pubblica”.
Ma nel 1706 si
trasferiranno in una casa più grande vicina alla chiesa di Santa Maria
Maddalena affittata loro dalle suore di Valverde (le agostiniane di San
Michele).
I Serraton sono una
famiglia pia e cominciano a frequentare, i vicini conventi e le altre chiese
della città. Don Domenico si prenderà subito cura delle povere orfanelle che
hanno trovato rifugio nell’ex convento delle Suore Agostiniane di Valverde, che
dopo il terremoto hanno trovato nuova dimora nella chiesa di San Michele. Fra i
ruderi del convento, che nel dire comune della gente rimarrà sempre di
Valverde, dando nome allo stesso quartiere, una bizzocca (diremmo oggi “monaca di casa”,
terziaria francescana) aveva radunate alcune orfanelle e creato un
“conservatorio” con l’annessa chiesa di Santa Maria degli Angeli. Il Sergente
le aiuta, così come scrive il Carioti e l’amico Uomo libero ci ha ricordato.
Ma l’opera più grande
del Serranton sarà quella compiuta in favore della divulgazione della devozione
alla Madonna delle Milizie. Nel 1708,
in aprile, all’arrivo dei primi venti caldi dell’Africa, ritorna pure la piaga
delle cavallette. E perciò gli sciclitani, il 24 aprile 1708 indicono una
processione penitenziale con il busto reliquiario di san Guglielmo fino
all’eremo dei Milici, passando per le campagne di Scicli, come si era fatto in
passato.
Si noti come ci si rivolge a san
Guglielmo perché preghi la Madonna per ottenere dal Signore la cessazione del
flagello: è la perfetta manifestazione della concezione della intercessione dei
santi presso Dio e del ruolo peculiare della Vergine. Ma l’invasione non cessa.
Per tutto il mese di maggio le orazioni nelle chiese sono continue e alla fine,
il 2 giugno del 1708,
dalla chiesa delli Milici il
simulacro della Madonna
è condotto in processione penitenziale per le campagne di Scicli a scongiurare
l’invasione delle cavallette venute dall’opposto lido africano. Al passaggio
della processione orante le locuste muoiono o fuggono via: la Città è preservata dal rinnovato pericolo delle
locuste grazie all’intercessione della Vergine delle Milizie, pertanto gli sciclitani fanno voto di ripetere
ogni anno la processione in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo.
La descrizione di
questo prodigio è fatta dall’Alberti nel 1718 e
il Carioti si limiterà a riprendere la sua narrazione.
Ancora una volta dunque la
liberazione dall’invasione delle locuste è attribuita alla Vergine dei Milici,
come già nei secoli precedenti: ma a questo fatto si aggiunge anche un altro
motivo di ringraziamento, il fatto che stavolta Scicli è rimasta indenne dalla
peste che invece a Modica e altrove nel 1708 ha mietuto migliaia di vittime.
Ma d’improvviso scoppia la tragedia: la morte
dei due figli per una febbre (certo malarica o colerica) nello stesso giorno,
il 31 agosto 1708.
Lo
strazio è grande non solo per i genitori ma per tutta Scicli. Pietro, di 16
anni morto dopo aver ricevuto tutti i sacramenti, e Rosalia di 9 anni, dopo
aver ricevuto appena il sacramento della penitenza, sono sepolti insieme nel
presbiterio della chiesa del Carmine, sotto la nicchia della Madonna, dopo che
i funerali sono stati fatti dall’Arciprete Virderi nella Matrice San Matteo:
proprio l’undici luglio ultimo scorso abbiamo ritrovato la loro lapide che così
li piange:
Dom:
Petrvs et Domina Rosalia
Illvstrivm
ex Hyspaniis Orivndiis
Dvcis D:
Dominici Serraton e Regno Castille Veteris
Eqvitis Habitus S: Iacobi Siclensisqve Militie
Primarii
Maiorisve
Sergentis
Ac
Dominae Theresiae de Yzsco Qvin
conzes e
Regno Valentiae Ivgalivm
Filii
Merito Predilecti
qvos
eodem mense terris die
celis
hora fvneri communi fletv
datos
eadem
charitas devotio pietas
infirmitas mors et sepvltvra
vere
fecit esse germanos
Ecco una
trascrizione dal latino dell’epigrafe:
[QUI RIPOSANO]
DON
PIETRO E DONNA ROSALIA
DEI CONIUGI - ILLUSTRI TRA GLI ORIUNDI SPAGNOLI -
IL COMANDANTE DON DOMENICO SERRATON
DEL REGNO DI CASTIGLIA LA VECCHIA, CAVALIERE
DELL’ORDINE DI SAN GIACOMO E SERGENTE PRIMARIO E MAGGIORE DELLA MILIZIA DI
SCICLI
E DONNA TERESA DE YZCO QUINCOSES
DEL REGNO DI VALENCIA
FIGLI
MERITATAMENTE PREDILETTI
CHE
- CONSEGNATI
NELLO STESSO MESE E NELLO STESSO GIORNO
ALLA TERRA E AI CIELI
(oppure: DALLA TERRA AI CIELI)
CON GENERALE PIANTO NELL’ORA DEL FUNERALE -
LA STESSA
CARITA’ DEVOZIONE PIETA’
MALATTIA MORTE E SEPOLTURA
LI FECE ESSERE VERAMENTE FRATELLI
E’ davvero strana questa coincidenza che
fa sì che in pochi giorni si arrivi alla conoscenza di cose rimaste nell’oblio
per secoli.
Ad esempio: mi ero convinto che
appartenendo il Convento del Carmine alla parrocchia di Santa Maria la Piazza
gli atti di morte dovevano trovarsi nell’archivio di questa chiesa e non
avendoli trovati mi ero convinto che erano andati perduti e avevo smessa la
ricerca.
Ma l’insistenza del caro Uomo Libero mi
ha convinto a ricercarli nell’archivio di San Matteo: ed eccoti la sorpresa il
17 luglio!
Ecco
gli atti:
A di ultimo di agosto mille setticento
ed otto 1708
Don Pietro Ambrosio nato in Cartagena,
figlio legittimo e naturale del Sergente maggiore del terzo di Scicli, don
Domenico Serraton del Regno di Castiglia, e di Donna Teresa Schincosi di
Valenza, Iugali,avendo ricevuto li santi sacramenti, in età d’anni sedeci rese
l’anima a Dio, il di cui corpo fu sepolto nella venerabile chiesa del Convento
del Carmine, per me Arciprete Dottor Don Guglielmo Virderi.
***
A di ultimo di agosto mille setticento
ed otto 1708
Donna Rosa, nata in Palermo, figlia
legittima e naturale del Sergente maggiore del terzo di Scicli, don Domenico
Serraton del Regno di Castiglia, e di Donna Teresa Schincosi di Valenza,
Iugali,avendo ricevuto il santo sacramento della penitenza, in età d’anni nove
rese l’anima a Dio, il di cui corpo fu sepolto nella venerabile chiesa del
Convento del Carmine, per me Arciprete Dottor Don Guglielmo Virderi.
Questo ci
spiega meglio la lapide e ci porta a
fare alcune considerazioni sull’esattezza delle informazioni possedute. Infatti
ci sembrava strano quanto scriveva il Pacetto, ma adesso sia la lapide sia gli
atti di morte confermano che i due figli sono morti nello stesso giorno.
I coniugi Domenico e Teresa vivono
questo momento con intensa fede. Rimasti senza eredi intensificano le loro opere
di carità e si votano entrambi all’incremento della fede e della devozione di
Scicli.
Nel 1709, ad un anno esatto il
Procuratore della Chiesa delle Milizie, don Raimondo Penna, e il nostro
Sergente Maggiore, che si rivela così benemerito devoto della Madonna delle
Milizie, faranno la richiesta al Vescovo
di poter ottemperare al voto fatto con una processione di ringraziamento a
Maria, cosa che il vescovo concede il 20 giugno: il 30 giugno, si sciolse così il pubblico
voto per ringraziare Maria della duplice grazia ricevuta.
Si noti, tra l’altro, come l’istanza
è presentata non dal clero cittadino ma parte, per così dire, dall’iniziativa
privata del Serranton e del Penna.
Questi ebbero dalla loro parte tre
dei quattro giurati (Salonia, Papaleo, Novello), così come si evince dalla
annotazione delle spese per la processione in cui è detto che il Sindaco si era
rifiutato di approvare il bilancio della festa e certo perché forse non
approvava questa nuova processione a carico delle casse comunali. La riprova è
che il baldacchino sul fercolo della Vergine è portato dai tre giurati detti
sopra e dal capitano di Giustizia: il Sindaco per protesta non partecipò alla
processione!
A partire dal 1710
dunque la festa per la Madonna delle Milizie si sdoppia: si continuerà fare
quella del Sabato di Lazzaro che servirà a ricordare il miracolo
dell’apparizione durante la battaglia, e quella di luglio che servirà a
sciogliere il voto fatto nel 1708 e che si celebrerà dal 1711 in poi senza
soluzione di continuità fino al tempo della rivoluzione francese, come diranno
il Pisani ed il Pacetto.
A Maria perciò la Città riconoscente
dedicherà il Festino nella terza domenica
del mese di luglio (come poi verrà chiamato e il nome già ci richiama il
“festino” di Santa Rosalia), oltre
alla tradizionale festa quaresimale.
Ma il sergente maggiore spagnolo Domenico
Serranton non fu solamente il propugnatore del festino trionfale di luglio in
onore della Madonna.
Fu parte attiva della ricostruzione fisica e
spirituale della città.
Uomo di grande pietà e devozione, sentimenti cristiani
che condivideva con la moglie e i figli, il Serranton fu munifico non solo verso
l’orfanotrofio di Santa Maria degli Angeli, ma chiamò eremiti da Noto – essendo
l’eremo dei Milici da alcuni anni ridotto ad un solo eremita (forse in seguito
proprio alla mortalità dovuta al terremoto) - per rinverdire il culto della
Vergine, come dice il Carioti: << Il pio sargente sempre ebbe l’occhio
a questo rifuggio [delle orfane di Santa Maria degli Angeli] ed all’eremitorio
della Madonna delli Milici, e non ebbe a rossore dentro d’entrambi dispensarvi
più ore del giorno per soprastare a’ maestri muratori che vi faticavano. Egli
provvide di letti le zitelle [del rifugio delle orfane di Santa Maria degli
Angeli] e di arnesi fin la cucina. Chiamò alcuni eremiti da Noto per abitare
l’antico eremitorio delli Milici, per più anni non abitato, che di un solo
sacerdote ed un sacristano, che serviva
la chiesa>>.
Per far ciò il Serranton entrò in contatto, nel periodo tra il 1708 - 1710,
con il Venerabile Girolamo Terzo, eremita questi dapprima nell’eremo
netino di San Corrado, e poi dal 1710 nominato dal vescovo di Siracusa
Asdrubale Termini come superiore del novello romitorio della Madonna della
Scala, che lo stesso Terzo aveva fondato: proprio a fra Girolamo il Serranton
chiese l’invio di nuovi eremiti per l’eremo delle Milizie.
Fra Girolamo Terzo risponderà positivamente
alla richiesta e verrà lui stesso in visita all’eremo dei Milici accompagnato
dal Sergente Serranton.
Qui all’eremo Domenico Serranton, che sovraintende
ai lavori, si adopera per dare migliore sistemazione ad eremiti e pellegrini <<e
leuar così la puoca riuerenza dei forastieri che si coricavano nella
chiesa>> col suo contributo benefico, grazie anche ai consigli di
Girolamo Terzo.
I Giurati di Scicli gli sono così riconoscenti
per quanto lui ha fatto per la Chiesa di Sancta Maria Militum lo
nomineranno, con atto del 20 gennaio 1710 Procuratore a vita della
stessa chiesa: e questo è un riconoscimento importante perché attesta quanto
lui si sia speso per la devozione verso quella Madonna che gli ricordava tanto
il suo Santiago Matamoros! In questo forse ha ragione il nostro Uomo Libero
quando suppone che la stessa idea del simulacro della Vergine amazzone sia
stata proprio il frutto dell’accostamento al santo compostellano, per la
vicinanza non solo iconografica, quanto per il fatto di essere entrambi
combattenti contro i mori. Così come la stessa rievocazione della battaglia,
che nella sua forma arrivata fino a noi conserva lo schema (ah se lo capissero
i nostri registi improvvisati!) delle feste di “moros y cristianos” ancora
celebrate in tutti i luoghi della Spagna da cui furono scacciati i mori
all’epoca della riconquista, sicuramente deve al Serranton qualche suo
contributo. Si noti come è proprio dall’epoca del Serrandon che troviamo il
simulacro della Madonna a cavallo portato in processione ai Milici e per il
resto dell’anno conservato in un locale apposito nel convento di Santa Maria
degli angeli (altra coincidenza?).
La moglie al contempo, d’origine e indole
nobile, stringe invece legami di amicizia con le suore benedettine di san
Giovanni, monache di clausura, figlie delle famiglie più nobili e in vista di
Scicli, fra cui diverse di origine spagnola: qui si sente a casa e ad esse il
27 gennaio 1709 dona un completo di cortine di seta bianche e rosse per parare
a festa la chiesa di San Giovanni con la clausola, per la loro preziosità di
non cederle o prestarle ad altre chiese, nel cui caso le cortine sarebbero
passate al convento del Carmine!
La vita cerca di scorrere serena nonostante il
lutto: il 9 febbraio 1709 il sergente diventa armatore di una piccola barca (di
cui viene redatto un inventario minuzioso) nel porticciolo di Sampieri e che
affidata, ad un marinaio del luogo servirà a procurargli il pesce per la
famiglia.
Certo il povero Don Domenico non si riprese dal brutto colpo della sorte e, forse colpito dallo stesso male, è colto dalla morte il 17 agosto del 1710 e sepolto nella stessa fossa coi figli, ecco l'atto di morte:
Alli
dieci setti Agosto Mille Setticento e dieci 1710
Don
Domenico Seratòn Sergente maggiore del terzo della Città di Scicli, nato nella
città di Burgos nel regno di Castiglia, marito di Donna Tresa Quincosi, avendo
ricevuto li santi sacramenti rese l’anima a Dio, il di cui corpo fu sepolto
nella venerabile chiesa del Convento del Carmine, per me Arciprete Dottor Don Guglielmo
Virderi.
La data di morte, al 31 agosto
1708, anticipata rispetto a quanto avevamo supposto, spiega meglio i gesti di
devozione e carità fatti dai coniugi e in ciò si concorda con l’affermazione
che proprio dopo la morte dei figli i due coniugi furono ancora più prodighi in
generosità: di fatto, essendo morti i due eredi diretti, scelgono di fare loro
eredi i poveri! E questo è ancor più encomiabile. E illustra meglio il Serraton
dedito alla ricostruzione dell’eremo dei Milici e dell’orfanotrofio di
Valverde, come poi la meditata scelta della moglie di ritirarsi in convento:
lei era ancora giovane quando rimane vedova e secondo l’usanza del tempo
avrebbe dovuto risposarsi, eppure preferisce coltivare la memoria del marito e
dei figli nella preghiera e nel chiuso del chiuso del chiostro. Quale fede
amore più grande?
La povera moglie rimasta vedova e senza figli mette ordine alla sua
eredità (con atto del 20 aprile 1711) e intende ritirarsi nel Monastero di San
Giovanni a cui ha già fatto atto di donazione delle sue tele (e anche qui
l’indicazione di Uomo libero, sulla provenienza del Cristo di Burgos di San
Giovanni dalla famiglia Zerraton potrebbe essere azzeccata). Ma abbiamo visto
come alla fine sarà convinta a ritirarsi invece nel convento di Santa Maria
degli Angeli a continuare l’opera di beneficenza iniziata dal marito.
L’orfanotrofio diventerà con la sua dotazione monastero di clarisse, per dodici
suore povere, ricevendo nel 1713 dal Vescovo di Siracusa la clausura, e di cui l’ormai
Suor Maria Teresa sarà la prima priora fino alla sua morte.
Don Domenico e Donna Teresa Serraton: due
spagnoli che hanno speso la loro vita per Scicli. E forse sarebbe ora di
ricordarli con gratitudine. Una via intitolata in loro memoria sarebbe troppo?
Ignazio La China
lunedì 15 luglio 2013
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