lunedì 9 dicembre 2013

Settanta anni fa Antoine de Saint Exupery pubblicava Il Piccolo Principe


 “Mi sarebbe piaciuto cominciare questo racconto come una storia di fate. Mi sarebbe piaciuto dire :
<< C’era una volta un piccolo principe che viveva su di un pianeta poco più grande di lui e aveva bisogno di un amico...>>
Per coloro che comprendono la vita, sarebbe stato molto più vero. Perché non mi piace che si legga il mio libro alla leggera.”
Settanta anni fa, esattamente il 6 aprile 1943, Antoine de Saint-Exupery pubblicava Il piccolo principe, il libro per cui la sua fama si estese e perdura tuttora in tutto il mondo. Dopo la Bibbia e altri capolavori è il libro che conosce più edizioni e traduzioni nelle più diverse lingue mondiali.
Perché un volumetto di poche pagine ha avuto tanta fortuna?
Il piccolo principe non è un libro che si può prendere alla leggera: lo esige l’autore stesso, nei panni dell’aviatore protagonista del racconto.
E questo anzitutto perché è un libro che comunica una esperienza personale che esige rispetto : “E’ un grande dispiacere per me confidare questi ricordi. Sono già sei anni che il mio amico se ne è andato con la sua pecora e io cerco di descriverlo per non dimenticarlo. E’ triste dimenticare un amico.”
Un’esperienza che, nel confronto col piccolo principe e con la sua avventura, ha aiutato il narratore aviatore/autore a riscoprire il fondamento della propria vita, nel recuperare il “bambino” che alberga nel cuore di ogni uomo e che il disincanto di una crescita sbagliata, “l’invecchiamento” come lo chiamerà Saint Exupery, fa correre il rischio di dimenticare : “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi se ne ricordano).”
Un’esperienza, nell’incontro col piccolo principe, che ha aiutato l’aviatore a rileggere e comprendere finalmente la sua vita e il rapporto con il mondo, con gli altri.
E’ – detto in parole povere – il momento della maturità. A cui non si arriva se non dopo un cammino spesso accidentato!
C’è infatti un momento nella vita in cui si è invitati a prendere quelle decisioni da cui dipenderà tutto il nostro futuro. E’ il momento della crescita, il momento in cui siamo chiamati a formarci un’identità definita. E’ il momento in cui siamo chiamati a diventare  non solo “grandi” di età ma anche adulti.
Ma non è un momento senza pericoli. Diventare adulti non è facile: c’è un modo giusto e c’è un modo sbagliato. L’aviatore/autore già da piccolo aveva intuito che il mondo dei grandi è strano, che spesso i grandi rinnegano la loro infanzia, che le valutazioni dei grandi non si accordano con quelle dei piccoli. Non era però riuscito a darsene una ragione e per questo si era rifugiato nella sua solitudine silenziosa :
“Un tempo lontano, quando avevo sei anni, in un libro sulle foreste primordiali, intitolato <<Storie vissute della natura>>, vidi un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa nell’atto di inghiottire un animale... Meditai a lungo sulle avventure della jungla. E a mia volta riuscii a tracciare il mio disegno. Il mio disegno numero uno... Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. Ma mi risposero : <<Spaventare ? Perché mai uno dovrebbe essere spaventato da un cappello ?>> Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi... Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa, sia di fuori che di dentro, e di applicarmi invece alla geografia, alla storia, all’aritmetica e alla grammatica. Fu così che a sei anni io rinunziai a quella che avrebbe potuto essere la mia gloriosa carriera di pittore. Il fallimento del mio disegno numero uno e del mio disegno numero due mi aveva disanimato. I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano di spiegargli tutto ogni volta.”
Il problema che l’autore pone è allora questo: cosa significa essere adulti, accettare il “realismo” della gente comune (di chi è grande ma che non sa più vedere un boa che inghiotte un elefante) o starsene alla larga creandosi a propria volta un mondo dove poter spaziare nella propria solitudine?
“Allora scelsi un’altra professione e imparai a pilotare gli aeroplani. Ho volato un po’ sopra tutto il mondo: e veramente la geografia mi è stata molto utile. A colpo d’occhio posso distinguere la Cina dall’Arizona, e se uno si perde nella notte, questa sapienza è di grande aiuto. Ho incontrato molte persone importanti nella mia vita, ho vissuto a lungo in mezzo ai grandi. Li ho conosciuti intimamente, li ho osservati proprio da vicino. Ma l’opinione che avevo di loro non è molto migliorata.
Quando ne incontravo uno che mi sembrava di mente aperta, ripetevo l’esperimento del mio disegno numero uno, che ho sempre conservato. Cercavo di capire così se era veramente una persona comprensiva. Ma, chiunque fosse, uomo o donna, mi rispondeva : <<E’ un cappello>>.
E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile.”
Ma davvero bisogna  rinunciare a quello che si sente pur di “integrarsi” nel mondo dei “grandi”? E’ questo il prezzo da pagare per non sentirsi emarginati? Per sentirsi “integrati” con gli altri “grandi”?
Il tema che affronta il nostro racconto è a mio parere quanto mai attuale, in un tempo in cui anche gli stessi “adulti” spesso vivono con perplessità la loro crescita e rimandano ad un tempo indeterminato il loro addio alla adolescenza.
Il nostro autore ci testimonia infatti come si può correre il rischio di arrivare a essere “grandi” di età ma senza essere adulti, senza aver compreso niente della vita e di se stessi: rimanendo così in una specie di infantilismo in cui ci si rifiuta di crescere, di assumersi le proprie responsabilità, ci si ferma all’adolescenza (sul ponte, fra le due sponde, senza avere il coraggio di attraversarlo pienamente).
Per alcuni crescere è solo invecchiare, e per paura di invecchiare si finisce col rifiutarsi di crescere.
In psicologia viene definita la sindrome di Peter Pan! E quanti oggi se ne ammalano!
Ma ci può essere un modo per crescere mantenendo giovane lo spirito dentro di noi?
Come fare per mantenere anche da adulti uno sguardo da “infanzia spirituale” che ci permetta però il coraggio di assumere nelle proprie mani la propria crescita?
Qual è il segreto di una crescita nella giusta direzione ?
Il segreto sarà proprio il piccolo principe a svelarlo al nostro aviatore: in questo cammino di crescita, non si può fare tutto da soli,  c’è bisogno di aiuto, c’è bisogno sempre di un incontro con un altro che ti aiuti in questo lavoro di autocomprensione attraverso la comprensione dell’altro.
Nel cammino di crescita non si può essere autodidatti.
Non si cresce da soli. A crescere si impara da chi, prima di noi ha compiuto lo stesso cammino: in fondo anche il piccolo principe i segreti che rivela all’aviatore li ha appresi dall’amica volpe!
Questo è importante non solo per chi vuole crescere, ma anche per chi, come i genitori, saranno poi a loro volta i responsabili della crescita dei loro figli: non è facile accompagnare in questo cammino i piccoli che sono loro affidati.
Il rischio è quello di “navigare a vista”, alla giornata, prendendo decisioni spesso contraddittorie: per fare i genitori non ci si può abbandonare all’inventiva del momento.
Il rischio dei grandi è quello di  rinchiudersi nei propri sogni, rischiando di ingabbiare in questi sogni anche i propri figli.
L’intuizione di Saint Exupery sta proprio qua (e sta qui la fortuna del Piccolo Principe): nell’indicare un progetto educativo per se stessi e per chi è chiamato a fare il pedagogo, alla lettera, l’accompagnatore dei piccoli nella loro crescita. Educare non è facile, giacché per educare gli altri bisogna prima educare se stessi.
Non si può educare a crescere se prima a nostra volta non ci siamo fatti educare.
Non si può essere genitori se non si vive prima la figliolanza.
Per questo sono convinto che il Piccolo Principe possa rivelare ancora dopo settanta anni qualche suo segreto anche oggi a  genitori e figli il segreto della maturità umana.
Perché, come disse il suo autore, questa è una favola per adulti, non per bambini.

Ignazio La China


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