venerdì 23 gennaio 2015

Confessioni ad alta voce

Dite pure che c’è un pizzico di narcisismo, ma confesso che mi piace sentire le reazioni che queste mie note suscitano nei lettori : in fondo ogni scritto è una mano tesa per instaurare un dialogo con un potenziale interlocutore ! Credo infatti che nel dialogo - specie in quello socratico per cui, tra botta e risposta, tra affermazioni e negazioni, è possibile avvertire il travaglio che porta a partorire frammenti di verità. Per questo non mi sono mai negato a tutte le esperienze dialettiche che mi si sono presentate, tranne naturalmente a quelle in cui il dialogo corre il rischio di trasformarsi nello scambio di monologhi, frutto spesso di autogratificazioni cerebrali in cui, più che la comune voglia di ricerca della verità, l’altro  serve da specchio su cui riflettere le proprie “brame”, oppure si corre il rischio di cadere nel pettegolezzo sterile che certamente non aiuta a crescere.
Dicevo dunque che mi piace sentire le reazioni a queste mie confessioni : non tanto per le lodi che potrei ascoltare (ché lasciano il tempo che trovano), quanto invece per un utile confronto di idee non solo con chi condivide le mie ( è bello sapere di non essere solo a provare alcune sensazioni : tuttavia il vero dialogo va al di là dello scoprire una comunanza di pensiero), ma soprattutto  con chi magari le mie idee non le condivide in tutto o in parte. Infatti spesso nel contrasto tra tesi e antitesi (Hegel insegna) si raggiungono sintesi ad un livello  superiore di conoscenza. Sono convinto profondamente infatti che la verità è “sinfonica”, come scriveva il grande teologo Hans Urs Von Balthasar, e che ogni strumento, pur suonando la “propria” parte di verità deve avere la consapevolezza di appartenere ad un’orchestra in cui solo la comunione sotto la guida del direttore riesce a dare come frutto la bellezza dell’armonia estetica ed esistenziale (chi non ricorda le “prove d’orchestra” del grande Fellini ?).
Voglio perciò approfittare stavolta di questo spazio per ringraziare quanti  con i loro riscontri puntuali, non importa se per esprimere consenso o dissenso, ogni mese mi hanno implicitamente sostenuto ed incoraggiato a continuare in queste mie confessioni che, nate quasi per scherzo, stanno diventando, almeno per me, una cosa seria, perché mi costringono in ogni caso a riflettere su me stesso e a mettermi continuamente a nudo, cercando di non cadere nelle tentazione di rifugiarsi dietro quelle maschere nella cui descrizione, a volte nelle vere e proprie patologie, Pirandello è stato maestro.
E questo perché penso faccia bene a me sia come uomo comune, sia come prete, anzi direi proprio in quanto prete. Qualcuno forse in questi mesi più che sui singoli contenuti ha dubitato sull’opportunità stessa che un prete faccia in pubblico le proprie “confessioni” : ma a questo ipotetico dubbioso rispondo che proprio oggi più che mai è necessario dare, almeno secondo me, questo tipo di testimonianza. Ci fu, è vero, all’inizio del secolo (o alla fine dello scorso) un vescovo di Catania che aveva dato ai suoi preti l’ordine di andare a confessarsi senza l’abito talare (quando tutti lo portavano !) perché altrimenti i fedeli si potevano scandalizzare se vedevano un prete confessarsi : “se si confessa è dunque un peccatore” potevano pensare e allora i preti  potevano essere scalzati da quel piedistallo di pseudo-santità su cui una certa ideologia bigotta li aveva innalzati ! E  forse per quei tempi era pure giusto così...Ma oggi credo che sia giusto invece per un prete mostrare di essere fatto di carne e sangue, di sentimenti e idee, di essere impastato di grazia e peccato, come ogni cristiano, perché quello che importa è mostrare come la santità più che frutto di volontaristici sforzi è puro affidarsi all’amore di Dio e il ministero sacerdotale un puro traslucere di quest’amore sugli altri.  Non si è preti perché più buoni degli altri, ma solo perché si è riposta fiducia in “Colui che ci ha accordato fiducia chiamandoci al ministero” (San Paolo): don Primo Mazzolari appunto per questo invitava a guardare non alle mani, più o meno pulite, dei sacerdoti, quanto a quello che queste mani portano e operano: la grazia di Dio. E dieci anni di ministero sacerdotale appena compiuti me lo riconfermano giorno dopo giorno. E poiché allora esercitare il ministero del prete non è questione di fare una professione ad ore quanto di offrire la  testimonianza che nella mia povera persona “la grazia del Signore non è stata vana” (San Paolo) affinché anche altri ardiscano coraggiosamente di farsi coinvolgere in questa avventura, credo che ciò possa avvenire anche con le mie “confessioni ad alta voce”. “Confessioni” che, deliberatamente fin dal primo numero, ho voluto avvertire, rivestono sempre il carattere di una pro-vocazione, cioè letteralmente, di una azione a favore della vocazione, in altri termini di un’azione finalizzata a che ognuno rispondendo allo stimolo offerto, a volte magari volutamente duro e brusco,  prenda maggiore consapevolezza di ciò che è e di ciò che è chiamato ad essere. Cresca, cioè, maturi, si incammini verso la verità della sua esistenza. Direi che questo sia il più grande atto di carità che si possa fare agli altri, aiutarli a dare un senso alla propria vita : a questo tende in ultima analisi la mia disponibilità al dialogo, il mio parlare, il mio ascoltare. “Tutto osare, perché sia annunziato il vangelo,” “opportune et importune” (sono sempre espressioni di San Paolo) : perché credo che solo il vangelo contenga la lieta notizia sull’uomo. Qualcuno forse si scandalizzerà : ma io non mi vergogno nel dire di considerare questo mio blog una sorta di nuovo areopago da cui interpellare i miei lettori. Anzi, giocare a carte scoperte è per me questione di onestà intellettuale. E poi, se davvero “tutto è grazia” (Bernanos), chi lo sa, in fondo, se finanche questi post non possano rappresentare per qualcuno la sua “via di Damasco” ?

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