giovedì 15 gennaio 2015

Figli e padri

Confesso che non ho mai avuto dubbi sull’esistenza di Dio, semmai invece sul suo modo di intervenire nella storia dell’uomo (ma chi di noi prima o poi  non si è trovato nella stessa situazione di Giobbe da chiedere allo stesso Altissimo di affacciarsi   dal cielo per vedere se aveva il coraggio Lui - si, proprio Dio, -  di guardarci in faccia ?). Talora però faccio fatica a trovare il senso della sua Parola depositata nelle parole della  scrittura sacra. Fatica perché la realtà sembra andare in tutt’altra direzione.
Prendiamo ad esempio un’affermazione che si legge nella Prima lettera di Giovanni (cap. 2, 13-16) :
“Ho scritto a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio.
Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno.
Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui;
perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo.”
Nella sua costruzione, se volete un po’ retorica, Giovanni in fondo ripete due cose : che i padri hanno conosciuto Gesù Cristo (e questo per Giovanni sottintende che si è in una novità di vita) e che i giovani grazie alla loro forza e al fatto che vivono nella parola di Dio hanno vinto il maligno (cioè il male stesso nella sua radice e nelle sue inclinazioni).
Tutto questo fa sì che padri e figli possano vivere senza rimanere invischiati nei lacci del mondo (e qui Giovanni intende non il mondo buono creato da Dio ma solo quelle realtà che rifiutano di farsi illuminare dall’amore di Dio).
Dovremmo perciò avere una situazione  idilliaca dove padri e figli vivono ormai in una condizione paradisiaca. Eppure, ed è qui la mia perplessità, questo non succede. Il mio stare a contatto con le realtà giovanili (parrocchia, scuola, scout) e quindi indirettamente    con le realtà familiari che vi stanno dietro mi fa scontrare ogni volta con una situazione diversa, dove i padri (specie gli ex sessantottini) non hanno conosciuto niente e nessuno che possa dare senso alla loro vita e a quella dei figli, e dove perciò i figli precipitano nel baratro della vacuità dei padri, risultandone i veri sconfitti perché allevati nella bambagia esistenziale di un pensiero che più che essere debole è inconsistente. Mi scuseranno i pochi genitori che hanno ancora vivo il senso del loro dovere e hanno ancora la passione per l’educazione dei figli, purtroppo scrivendo si deve generalizzare, ma qui il mio pensiero va soprattutto a quei genitori che credono che per fare un figlio ci voglia solo l’abilità fisica, o che il mestiere di padre e di madre non si debba apprendere perché se uno sa fare i figli automaticamente sa pure educarli. Penso a quelli che credono che educare figli sia non fare mancare loro nulla (materialmente parlando), anzi a volte ricoprirli di cose quasi a tacitarsi la coscienza per l’incapacità di saper dare altro, penso a quelle che credono che ruolo dei genitori sia solo eliminare la sofferenza della crescita e dell’impatto con la realtà, che non fanno vedere il nonno morto nel tentativo di esorcizzare la stessa morte, che si intristiscono invece che gioire nel vedere il figlio che cresce e che pian piano arriva alle normali tappe della vita... Dove sono i genitori capaci di diventare punto di riferimento per la vita dei figli, di testimoniare valori solidi su cui i figli possano costruire il loro futuro ? A volte c’è quasi la paura a riconoscersi genitori e allora ci si traveste da amici e coetanei dei figli con esiti quasi pirandelliani ! Dove sono i padri che hanno conosciuto la vita , quella vera? Dove sono i giovani forti e vittoriosi ? Mi scontro continuamente con giovani in cui magari  fosse avvertito il male di vivere : spesso non viene avvertita neanche la vita ! Ma i giovani in fondo fanno pena, sono scusabili, non sono stati loro a mettersi in questa situazione. La tragedia è nel vedere invece come tanti genitori non riescano a prendere coscienza di essere loro stessi gli artefici del vuoto dei figli. Che fare allora ? Credo che la risposta stia nella preghiera che una volta mi rivolse un adolescente: “Se mi vuoi bene, se mi vuoi aiutare a crescere, non mi devi far vincere. I miei mi fanno vincere sempre e io sto rimanendo bambino... Io non voglio soldi, vorrei solo essere ascoltato, seguito, a volte anche punito per i miei errori, ma vorrei essere presente nella loro vita : invece per parlare con mia madre la debbo rincorrere da una stanza all’altra mentre lei pensa solo alle sue cose.”  Si possono far vincere ai figli le battaglie e far perdere loro la guerra della vita : mi si scusi il ricorso ad una frase fatta, ma che allora non sia questo invece l’eterno paradosso a cui ci vuole ricondurre San Giovanni, che chi vuole vincere prima deve perdere, chi vuole vivere veramente deve prima far morire una vita insignificante ?  Che il fare il padre passi prima dall’imparare a vivere la vita per poi trasmetterla ? Che il dare la vita stia più che in un atto fisiologico     nella capacità di prendere per mano il figlio ed educarlo, cioè tirarlo fuori dal suo egoismo, per far uscire la pianta dalla dura scorza del seme ? Che la vittoria dei figli sulla vita passi attraverso la sconfitta del “peccato originale” dei padri? Che la vittoria stia proprio nell’educare e nell’apprendere a non farsi irretire dalla logica del mondo che è solo superbia e desiderio sfrenato di ogni cosa ?  Forse sta qui il segreto di quella frase di Giovanni, nel suoi descrivere all’indicativo quello che sta in un tempo futuro e la cui attuazione dipende anche da noi. Almeno lo è per me. Quando infatti sono deluso e amareggiato perché vedo giovani che non si interessano e non si coinvolgono in niente che non sia futile ed effimero e genitori che in questo li superano, e mi domando che senso abbia il mio ministero davanti ad un muro di gomma, non ho che questa frase a darmi conforto e speranza. E si sa, la speranza, è l’ultima a morire.  



1 commento:

  1. Credo che abbia ragione: la risposta sta nella fede, nell'esperienza della fede vissuta, nell'incontro reale e concreto con Dio nella vita di tutti i giorni.

    RispondiElimina

IO ACCUSO…

Tra epidemia e calura estiva è passato sotto silenzio un importante responso della Congregazione della Dottrina della fede e approvato in pr...