martedì 1 settembre 2015

Ricordi sessantottini!

“Settembre, andiamo è tempo di migrare...” Se la memoria non mi inganna inizia così una famosa poesia che oggi possiamo usare come un  richiamo alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva. Significa che vacanze, sole, spiaggia e bagni rimarranno solo dei bei ricordi... Settembre ci richiama alla realtà, è ora di prepararci a quello che stando alle previsioni sarà un autunno “caldo”... I sogni dell’estate sono finiti ! Sogni che spesso aprono il cuore alla marea dei ricordi... Chissà infatti perché proprio l’estate per me in modo particolare è la stagione dei ricordi (quelli lieti, perché quelli tristi si rimuovono), e specialmente dei ricordi d’infanzia, quelli legati alla radio o ai primi mangiadischi che suonavano nel solleone l’Azzurro dell’italico Celentano o le esotiche e ammalianti nenie che ci facevano sognare l’isola di Whigt (si scrive così l’isola di chi ha negli blu della gioventù... ?) e ci davano la gioia di sentirci accomunati tutti, amanti dei Beatles e dei Rolling Stones, quando anche nelle Messe ci si domandava con Bob Dylan quante strade dovesse fare un uomo per essere più uomo e con Joan Baez si rispondeva We shall over come e si pregava (unica intenzione di preghiera dei fedeli per anni ! ! !) che finisse la guerra nel Vietnam...
Per me la bellezza del ’68 comincia e finisce qua ! Ho avuto infatti in sorte di nascere e di vivere la mia fanciullezza negli anni ’60, di assistere alle tragedie degli anni ’70, di sperimentare sulla mia pelle il riflusso e il vuoto, compresi i loro rigurgiti degli anni ’80 e ’90: dal maggio del ’68, data di inizio della cosiddetta rivoluzione giovanile (ricordo uno dei primi cortei studenteschi di Scicli che parodiava la processione del Venerabile !), al maggio ’78 in cui l’assassinio di Moro manifestava il clou della pretesa rivoluzione proletaria delle brigate rosse (e ricordo ancora con orrore un mio compagno di scuola indottrinato dagli slogan della sinistra gioire alla notizia del rapimento prima e dell’uccisione poi). Non voglio qui entrare in considerazioni politiche, non mi spettano e non mi interessano : confesso che per un po’ l’ideale di una palingenesi del mondo a forza d marce di protesta ha irretito anche me, per lasciarmi poi con la sensazione del vuoto dentro...e per questo la mia ricerca si è diretta Altrove. Perciò qui voglio solo manifestare quello che tutte queste esperienze mi hanno lasciato : amarezza e insofferenza, e basta. Amarezza perché ci hanno dato l’idea che il mondo si costruisce sempre contro qualcosa (istituzioni, governo, scuola, famiglia...) e qualcuno (dai genitori all’avversario politico) proprio mentre a parole si fantasticava di fraternità anarchiche situate nel migliore dei mondi impossibili ! Insofferenza  poi verso la pretesa che c’è alla base di queste presunte rivoluzioni, a partire dalla madre di tutte le false rivoluzioni quale è stata la rivoluzione francese (e della quale,  credo che tutto sommato siano  figlie tutte le rivoluzioni dell’Occidente moderno). E cioè la pretesa di ogni rivoluzionario di voler azzerare la storia, di buttare via (bruciando e distruggendo e saccheggiando praticamente ogni cosa che viene a tiro) tutto il passato e ciò che lo rappresenta. E’ l’ingenua pretesa che tutto il vecchio è marcio e sporco e che solo il nuovo sia immacolato. Pretesa che spunta fuori dalla convinzione che si abbia in tasca la verità e che questa la si possa imporre con la forza a tutti, imponendo il rinnovamento (che credo sia un problema di mente e di cuore) a forza di coazioni esterne. Non interessa se questo è fatto con la violenza delle armi o solo con il deterrente dell’ostracismo e dell’emarginazione : interessa che chi non si allinea viene automaticamente marchiato come nemico dei giovani, del proletariato, dei poveri, della pace, del progresso... E’ questa pretesa illuministica che io non ho mai condiviso : perché fa buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. Certo, è innegabile che la giustizia, specie nell’ambito dei diritti umani, della solidarietà sociale e della pace nel mondo, abbia ancora un lungo cammino da percorrere, e che questo richiede impegno da parte di tutti : ma io mi sono sempre chiesto quali siano le vere conquiste, ad esempio, che i figli di papà (ché questi in realtà erano i nostri sessantottini : giustamente Pasolini ha scritto che i veri poveri e figli di proletari erano i carabinieri contro cui i “nostri” lanciavano pietre e molotov) hanno apportato alla nostra società. La possibilità di girare con l’ombelico di fuori e di fare sesso con chiunque e dovunque è una conquista ? Il sei e il diciotto “politico” o il fatto di promuovere anche gli ignoranti, di declassare la cultura e la scuola (e conseguentemente anche la professionalità)  sono una conquista ? Un certo pacifismo a senso unico perpetuato fino ai nostri giorni che fa protestare solo contro gli americani in Vietnam o in Iraq, dimenticando di farci protestare per la guerra in Bosnia o per i massacri nello Zaire, è una conquista ? Il ritorno al principio del “s’ei piace, ei lice”, fondamento di ogni soggettivismo e relativismo etico è una conquista ? Stranamente le uniche conquiste della maggior parte dei sessantottini di allora sono i posti migliori per sé e i loro figli all’interno di quell’entourage borghese che pure a parole si combatteva : ma allora era solo un problema di rivalsa sociale ? Confesso che non ho mai sopportato queste pretese conquiste e chi le propugnava, come confesso di non riuscire a digerire ancora oggi chi vagheggia il mitico ’68 e chi gli ha tenuto la candela o gliela tiene ancora, anche in ambito ecclesiale. Come mi fanno pena adesso gli squatters dei centri sociali e affini : le vere e uniche creature del ’68 sono in fondo dei disadattati, persone cioè che non sanno assumere nella propria vita la reale concretezza drammatica eppur bella del presente : e lo scrivo veramente con dolore perché significa che una tragedia si è consumata sulle spalle dei giovani senza che questi si accorgessero della vera portata della posta in gioco. Per questo la mia rabbia è diretta non contro i giovani (di allora o di oggi : in fondo sempre le vittime) quanto contro quei cattivi maestri che hanno seminato i germi insani senza assumersene spesso neanche la responsabilità. Qualcuno forse penserà che questo è il classico discorso del cinquantenne pompiere che è stato incendiario a vent’anni : e forse sarà vero. Ma, se lo è, è solo perché gli anni che passano mi fanno scoprire sempre più la bellezza della vita  e la voglia di combattere la vera battaglia, quella del cuore contro noi stessi : a chi è più giovane di me dico che ne vale la pena, ai più grandi l’appello di testimoniarlo con più forza.

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