sabato 16 dicembre 2017

C’è una certa mentalità devozionistica e pietistica mai veramente superata, che ogni anno trova il suo centro nella commovente visione di un Bambinello che se ne sta nudo “al freddo e al gelo”, messo lì apposta a intenerire il cuore, ma poi subito da accantonare finite le feste, per paura che quel Bambino possa crescere e che magari poi da adulto ci obblighi a provare altri sentimenti che non sono più il ciarpame melenso di un buonismo di bassa lega. Allora bisogna “addomesticare” il cresciuto Bambinello così che non ci dia troppi grattacapi e ci lasci in pace, perché in fondo, non è veramente questo che vogliamo? Una lacrimuccia ogni tanto fa bene, ma averlo sempre tra i piedi…! E così il Bambinello bianco e rosa, tutto biondo oro e occhi azzurri diventa un Gesù tutto zucchero e miele, ai limiti della effeminatezza, che parla con le frasi d’amore come se fossero i bigliettini che si trovano nei baci perugina: non ha detto lui stesso di essere “mite ed umile di cuore”? Un Cristo buono per tutti  e per tutte le stagioni! Un Gesù che non scomoda più nessuno, che non incrina più nessuna certezza, che non provoca più alcuna reazione! Ma voi credete che se fosse stato veramente così “innocuo” sarebbe finito in croce? Io confesso di avere una grande paura: che se oggi il Cristo che noi predichiamo è davvero questo “sacrocuore” sdolcinato che non guasta più i sonni a nessuno, noi stiamo rendendo vana la stessa sua croce, e questo è un ammonimento di Paolo che forse una certa parte di Chiesa non sta tenendo in dovuta considerazione. Perché, e lo sapeva bene Paolo, tutta l’esperienza di fede cristiana o è vissuta all’insegna dello “scandalo” (e, per chi lo incontra, Cristo è e deve essere sempre pietra di inciampo, cioè scandalo) e della “follia” (e conversione in greco è appunto “metà-noia”, cioè letteralmente un “andare fuori di testa”) o altrimenti si riduce alla sua antitesi che è il perbenismo borghese e moraleggiante, proprio ciò che Cristo prima e Paolo dopo combatteranno nel fariseismo giudaico. Scrivo questa mia confessione dietro l’ennesima accusa di essere “rigido” e “poco duttile”, ma mi chiedo se  l’aspetto serio e mai sdolcinato e mai ipocrita e mai affettato può mai essere una colpa?  E il richiedere ai fedeli che mi sono stati affidati coerenza con il vangelo, il chiedere, a volte anche ammonire che non si possono servire due padroni, non è compito del buon  Pastore? Ricordare ai fedeli di venire a Messa è rimproverare? Chiedere la frequenza a Messa specie ai ragazzi del catechismo è trattarli male? Dire di no a chi mi chiede un certificato falso d’idoneità alla cresima per un figlio che non conosco nemmeno è negare un favore? Negare la cresima a chi è venuto solo il giorno dell’iscrizione è commettere ingiustizia? e allora sono andato a rileggermi in due notti tutti e quattro i vangeli per vedere se il mio comportamento fosse così a volte “poco evangelico”.  E così vi ho ritrovato il volto di un Cristo che forse qualcuno non immagina o non vuole immaginare. E’ un Cristo cosciente del suo ruolo (“Vi è stato detto  ma io vi dico”) e che pone con decisione agli ascoltatori la richiesta di non restare indifferente alle sue parole (“Convertitevi”) e che subordina la conversione, cioè il cambiamento di vita all’ingresso nel suo Regno (“se non vi convertirete non entrerete); un regno il cui ingresso è stretto (“entrate per la porta stretta”) e comporta rinunce (“chi non lascia casa…”) e sacrifici (“se la tua mano ti è di inciampo tagliala”). E’ un Cristo che ai suoi  interlocutori  pone davanti l’irrevocabilità della scelta (“o con me o contro di me”) senza compromessi (“non si possono servire due signori”) e senza “inciuci” (“non si mette vino nuovo in otri vecchi”) di una sequela in un cammino in cui egli stesso è il primo a mettere in pratica i suoi insegnamenti (“chi mi vuol seguire prenda la sua croce…”) e che non assicura altro ai suoi discepoli che lo stesso trattamento che hanno riservato a lui: odio e persecuzione (“Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”).  E’ un Cristo che sconvolgerà la sua famiglia (credevano che fosse diventato pazzo), i suoi concittadini di Nazaret (che lo scacceranno dalla sinagoga e dalla stessa sua città), e soprattutto poi la schiera dei benpensanti: scribi, farisei, sacerdoti e affini (diremmo oggi: teologi, laici impegnati e clero!) che, prima di intuire pienamente tutta la sua pericolosità di sovvertitore dell’ordine stabilito, bontà loro lo considerarono un indemoniato e ai quali riserverà gli appellativi più duri (“Ciechi guide di ciechi”, “Razza di vipere”, “serpenti”, “figli del diavolo”, “uomini senza amore di Dio” e più frequente “ipocriti”, “stolti”). E’ il Cristo che biasima le città che non lo hanno accolto, che piange di rabbia e di delusione su Gerusalemme, la cui collera spesso trabocca per l’incredulità di chi viene a lui solo per tendergli tranelli (“Generazione malvagia/adultera/ incredula/perversa fino a quando vi sopporterò?”), che non esita a minacciare e rimproverare e finanche ad abbandonare gli stessi apostoli quando si vede incompreso anche da loro per ritirarsi nella sua solitudine. E’ il Cristo che scaccia con una frusta di cordicelle i venditori del tempio e maledice e fa seccare un fico! E’ il Cristo non solo delle beatitudini ma anche del grido profetico tremendo e temibile del “Guai” (guai ai ricchi, a chi è sazio, a chi ride, a colui di cui tutti parlano bene, agli scribi e farisei ipocriti) che fa presagire l’arrivo imminente del giudizio di Dio, del giorno del Signore in cui per chi non sarà trovato pronto sarà solo “pianto e stridore di denti”. E’ il Cristo che sa che la sua venuta serve a mettere in chiaro i meandri misteriosi dei cuori e a farne uscire le contraddizioni (“Non crediate che sia venuto a gettare pace sulla terra, non sono venuto a gettare pace ma spada/ fuoco e divisione”): e per questo chi vorrà seguirlo scoprirà che la prima divisione è quella della famiglia! Questo è il Cristo dei vangeli, non certo l’uomo dei pannicelli caldi che purtroppo siamo abituati a pensare! Ma allora  la pace di Cristo, la sua bontà, il perdono e tutto il resto? Certo, ci sono anche quelli nel vangelo, ma guai a far diventare questi suoi doni come il frutto di accomodamenti della verità, di silenzi complici del peccato, di rinunce a praticare la giustizia.  Questo è il Cristo in cui credo, che non abbassa la qualità delle sue richieste pur di aumentare il numero dei suoi seguaci: dopo che l’ha abbandonato il popolo a Cafarnao, ai discepoli che si lamenteranno che il suo era un “discorso troppo duro” non dirà “ora vedo di alleggerirlo” ma “volete andarvene anche voi?” Perché lui ci ha dato il massimo ed è giusto che a noi chieda il massimo! E io penso che un prete questo massimo debba tentare di darlo lui e di chiederlo dai suoi parrocchiani. Perché gli sconti non li ha fatti Cristo né li può fare la Chiesa. Si fanno solo al supermercato. E allora, cari miei soliti quattro lettori, questo è il mio augurio per il Natale (che, ricordiamolo, è la sua festa): vi interessino o meno le esternazioni di un povero prete, poco importa, ma almeno abbiate il coraggio, credenti o non credenti, quest’anno, di lasciarvi provocare dalla venuta del Cristo, quello vero!

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